comune di Lodi sec. XII - 1757

L’affermazione del comune di Lodi è attestata dall’attività di consoli, attestati in numero di sei dal 1142 e pienamente legittimati quali rappresentanti dei “cives” di Lodi nel 1158, quando Federico I investì il collegio consolare lodigiano del terreno di Monte Guzzone, destinandolo a sede della nuova città. Fino alla fine del secolo XII il collegio consolare di Lodi non presenta un’articolazione ben definita: il numero dei suoi componenti variava da sei a otto.
Dal 1153 il collegio consolare risulta affiancato nella sua attività dalla “credentia”, un’assemblea consultiva, i cui membri – i “sapientes”- si impegnavano a mantenere il riserbo in merito alle questioni sulle quali erano interpellati dai consoli; nel 1188 essa appare ormai come un organismo più ampio, un’assemblea pubblica “o, perlomeno, il nome di “credentia” è passato a un altro tipo di assemblea, diversa dalla precedente anche se da quella originato”.
Alla fine del sec. XII, verosimilmente sulla spinta dell’aumento di incombenze da sbrigare, il collegio consolare si sdoppiò tra “consules iusticiae” , attestati dal 1196 e preposti all’esercizio della giustizia, e “consules de communi”, attestati dal 1196 con competenze politico militari; nella loro attività entrambi i gruppi erano affiancati da “servitores communi”, da “massarii” e da “canevarii”, con mandato semestrale o annuale. Fu probabilmente la forte tensione politica innescata negli stessi anni dagli scontri tra le fazioni cittadine a determinare la delega del potere esecutivo a uno straniero, estraneo alle discordie cittadine: dal 1180 è attestata l’attività di un podestà, che assunse buona parte delle funzioni del collegio consolare, senza peraltro determinarne la scomparsa. L’alternanza di governi podestarili a governi consolari è indice della grande fluidità istituzionale del periodo: solo dagli anni Venti del Duecento, infatti, il podestà presenta un profilo ben definito, quello di un magistrato ordinario, assistito dal giudice e assessore. Nello stesso torno di anni acquistarono maggiore visibilità anche gli organismi rappresentativi del comune: probabilmente dalla “credentia” si evolsero infatti il “conscilium generale et plenum civitatis Laude”, attestato dal 1224, e il “sapientium consilium”, che affiancava ancora i consoli nell’esercizio delle funzioni giudiziarie (Caretta 1978). Parallelamente andava accentuandosi sulle istituzioni la pressione dei ceti commerciali e artigiani, organizzati nei paratici, per poter essere rappresentati nel collegio consolare: segno del riconoscimento di questa aspirazione fu l’affermazione della “credenza di S. Bassiano”, organismo di popolo che ottenne che ai propri membri fosse riconosciuto il diritto a rivestire la carica di console.
Nella prima del Duecento la lotta politica all’interno della città sfociò nel primo esperimento di regime signorile, sia pure connotato in senso “popolare”: per dieci anni infatti Sozzo Vistarini ricoprì la carica di “podestà del popolo”, assicurando la preminenza politica alla propria famiglia, pur nel formale rispetto degli organismi comunali. La tendenza si consolidò agli inizi del secolo successivo con la signoria di Antonio Fissiraga e quindi di Pietro Temacoldo, che nel 1335 cedette di fronte all’espansionismo visconteo. Con la presa da parte di Azzone Visconti, la città entrò nell’ orbita milanese, con due brevi parentesi rappresentate dalla signoria di Giovanni Vignati (1403-1416) e dalla dedizione a Venezia al tempo della Repubblica Ambrosiana (1447-50).
Al pari delle città entrate a far parte dello stato regionale visconteo, anche Lodi fu interessata dalla riorganizzazione amministrativa attuata dai Visconti: gli statuti promulgati da Gian Galeazzo Visconti nel 1390 sancirono il nuovo assetto istituzionale della città. Massima autorità cittadina era il podestà, forestiero di nomina ducale, eletto probabilmente con mandato biennale, affiancato da alcuni giudici (uno dei quali con funzioni di vicario), da alcuni birri (”barovarii”) e da una propria “familia”. Altro funzionario di nomina ducale era il referendario: affiancato da due o più notai era responsabile dell’incanto dei dazi, dei pedaggi e delle gabelle. A fianco dei rappresentanti del potere centrale, rimasero istituti dell’età comunale: nell’ordinaria amministrazione della città il podestà era coadiuvato dal “conscilium duodecim sapientium”, eletti in seno al consiglio generale; otto consoli di giustizia affiancavano i giudici del podestà pronunciandosi in cause di diritto civile. L’organico amministrativo della città era completato dal camerario o canevario, da sei estimatori (uno dei quali giudice), dagli officiali dei chiosi, dai giudici alle vettovaglie (tenuti a vigilare sull’operato dei panificatori e sull’osservanza degli statuti regolanti la molitura), dai campari e dai servitori del comune (Statuta et ordinamenta Civitatis Laudae).
Più articolato sembra essere stato l’apparato amministrativo della città in età sforzesca: gli elenchi dei funzionari attestati in Lodi nella seconda metà del Quattrocento menzionano ai vertici dell’organigramma istituzionale un podestà e un commissario (le due cariche risultano unite dal 1473), un referendario, un tesoriere, un officiale alle bollette, un avvocato fiscale, un procuratore fiscale, un “coscriptor salis”, un esattore della tassa del sale, un cancelliere, razionatori, un “massarolus”, un ingegnere, un addetto “super libris custodiarum nocturnarum”, officiali della Muzza, un esattore, officiali “alogiamenti equorum in partibus Laudensibus”, un “offitialis cabellariorum Laude” (Santoro 1968).
Le fonti coeve, ancora, evidenziano come i massimi organi di autogoverno della città – consiglio generale e Consiglio dei dodici- fossero appannaggio delle famiglie eminenti della società urbana, con preminenza dei Vistarini e dei Fissiraga. Nel 1492 il ceto dirigente lodigiano acquisì una fisionomia più definita attraverso l’intervento di Ludovico Sforza che riconobbe lo “ius decurionale” a trenta famiglie dell’oligarchia cittadina: da queste erano tratte i sessantadue decurioni perpetui che, riuniti nei Consigli Maggiore e Minore furono da allora preposti all’amministrazione della città. Il Consiglio Maggiore, costituito di cinquanta decurioni, si occupava sostanzialmente della nomina dei pubblici funzionari, mentre ai decurioni del Consiglio Minore era affidata l’amministrazione ordinaria della città, specialmente in materia di spesa pubblica, di annona, di autorizzazioni, di normativa circa il funzionamento degli offici (Agnelli 1917 a).
Con la caduta degli Sforza, la città seguì le sorti del Ducato: dopo la breve parentesi della dominazione francese, nel 1535, con la morte di Francesco II Sforza, il Lodigiano fu incorporato all’impero asburgico e, dopo la divisione dell’impero di Carlo V (1559), ai domini spagnoli. Nel 1609 la relazione di Giovanni Francesco Medici al visitatore de Haro mostra come gli organismi dell’amministrazione cittadina avessero mantenute sostanzialmente intatte le loro prerogative. Era ancora attivo il consiglio generale composto da sessantadue decurioni, sorteggiati tra le famiglie decurionali e tenuto a riunirsi due volte all’anno per le “occorrenze importanti”, mentre l’ordinaria amministrazione era sbrigata dal Consiglio Minore. Affiancavano i due organi rappresentativi “il Vicario di Provvisione (…), sei Giudici delle Vettovaglie e strade, i Consoli di Giustitia, quattro de quali non sono togati, l’Oratore, due Sindici, de quali uno togato, un Tesoriero, due Elletti sopra la Muzza, due Forrieri, et Monitioneri, due Censitori, un Controscrittore, due Cancellieri, due Computisti o Ragionati, un Causidico, due Sollecitatori, un Esattore o Commissario, due Portieri, due Trombetti, un Maestro d’humanità, et alcuni altri inferiori”. Esigua era la compagine dei rappresentanti del potere centrale, tutti nominati per un biennio dal governatore e approvati dal Senato di Milano: un podestà, dottore in legge – che generalmente svolgeva anche funzioni di vicario di provvisione – presiedeva le riunioni del consiglio generale e giudicava, in prima istanza, le cause civili e criminali; un Referendario – per lo più dottore in legge – era preposto all’amministrazione fiscale; un castellano, insieme a un reparto di soldati, garantiva la sicurezza della città; il Fiscale rappresentava lo Stato nelle contese tributarie . Eletto e dipendente dal podestà era il giudice pretorio delle vettovaglie e delle strade, mentre il Commissario delle Tratte dei Grani, preposto all’annona, era nominato dal Magistrato delle entrate regie straordinarie, al quale era subordinato (Vigo 1983). La polizia cittadina era presieduta dal bargello, dal quale dipendevano i birri. (Archidata Lodi).
Nel 1626, su deliberazione del consiglio generale, fu istituito l’organismo dei “Conservatori del patrimonio”: tratti in numero di sei dal ceto decurionale, con competenze in materie d’estimo, cause fiscali, cause patrimoniali tra privati, prezzi delle merci, i Conservatori operarono fino al 1755. Fu nel 1755, infatti, che si precisò il nuovo assetto istituzionale della città di Lodi, progettato dal governo austriaco con la “Pianta delle provvidenze prescritte da Sua Maestà per il regolamento della città e provincia di Lodi” e attuato nel 1757 con la “Riforma al governo ed amministrazione della città e provincia di Lodi”. La riforma riguardò anzitutto il ceto decurionale, ridotto a ventisette famiglie, alcune delle quali in gravi difficoltà finanziarie, e accusato di abusi e corruzione: alcuni decurioni furono sospesi con l’accusa di malversazioni o di aver esercitato attività incompatibili con il rango di patrizio, e si introdussero criteri censitari per l’elezione ai consigli. Città e contado furono uniti in un solo corpo; le attività delle soppresse Congregazioni furono assorbite dalla Congregazione dei Prefetti al Patrimonio della città e provincia di Lodi, costituita dai rappresentanti dei possidenti del Lodigiano e preposta all’amministrazione della città, con prerogative anche in ambito fiscale. Trait d’union tra organi centrali e periferici, diversamente da altre province dove tale ruolo fu affidato al delegato regio, divenne il podestà o, in sua assenza, l’avvocato fiscale; organi di nuova istituzione furono la camera del mercimonio e la congregazione militare, responsabile degli alloggiamenti delle truppe (Fusari 1986). Dal punto di vista territoriale, la riforma del 1757 introdusse le delegazioni, circoscrizioni aggreganti almeno una comunità, fino a un massimo di venti. Lodi città fu posta a capo della I delegazione, comprendente i Chiosi di Porta Cremonese, i Chiosi di Porta d’Adda, i Chiosi di Porta Regale, Vigadore con Riolo e Portadore, tutti scorporati dalla città (editto 10 giugno 1757).

ultima modifica: 10/01/2005

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