contado di Lodi sec. XIV - 1757

Nel corso del XIV secolo la città di Lodi e il suo contado erano ormai saldamente inseriti nella struttura politica dello stato milanese. Se da una parte l’affermazione della struttura politica ducale, sovracittadina, in rapporto con più interlocutori (comunità minori, feudi, terre separate, borghi) comportò una minore autonomia di Lodi e un suo minore potere di controllo e coercizione sul contado, dall’altra l’elemento urbano (città e cives) restò privilegiato rispetto agli abitanti del contado stesso. In Lombardia (come nel Veneto e a differenza della Toscana), l’avvento del principato su scala territoriale regionale non comportò una rimodellazione dei contadi e distretti cittadini da parte della dominante (Chittolini 1978). Nella Lombardia del XV e XVI secolo si assistette quindi alla contemporanea presenza e complementarietà di legislazione principesca, comune a più parti del dominio, e legislazione statutaria, con gli elementi di particolarismo che tale legislazione comportava, ferma restando, almeno in via teorica, la prevalenza del diritto ducale in caso di contrasto.
Come per il resto del ducato, anche per Lodi lo statuto cittadino, riformato per volontà di Gian Galeazzo Visconti e integrato dalla legislazione principesca, rimase il principio giuridico fondamentale, tanto è vero che il podestà e gli ufficiali preposti al governo della città erano tenuti a giurare di rispettare gli statuti del comune (Archidata Lodi).
Nonostante un rapporto privilegiato nel dialogo con le strutture centrali dello stato, sembra appurato che Lodi abbia pagato duramente lo scotto della vicinanza e della rivalità con Milano, nonché della capacità del ceto dirigente milanese di operare su scala regionale. La presenza patrimoniale di famiglie milanesi nel contado lodigiano fu infatti molto forte e precoce. Nel XIV secolo Bernabò Visconti, in funzione antilodigiana, cedette proprietà nel contado a enti milanesi; Bertonico apparteneva all’Ospedale Maggiore di Milano (Vigo 1983); nel corso dell’ultimo quarto del XV secolo Borghetto Lodigiano passò dal capitolo della cattedrale alla famiglia da Rho, potente alleata del duca (Chittolini 1973; Agnelli 1917). La massiccia presenza di interessi milanesi portò come conseguenza al depauperamento dei ceti dirigenti locali. Significativi possessi milanesi, o più genericamente non lodigiani, tanto laici che ecclesiastici, sono attestati con discreta continuità per l’intera età moderna (Roveda 1987; risposte ai 45 quesiti).
Pur con i limiti ricordati, il lodigiano, similmente alle altre province dello stato di Milano, vide sempre conservata la distinzione tra la città e il contado e la prevalenza dei cittadini sui rustici.
Da un punto di vista geografico non si verificarono mai variazioni particolarmente significative nei confini territoriali. Nel secolo XIII la città era suddivisa in porte: porta Pavese, Cremonese, Regale e d’Adda. Il tessuto urbano era scandito dalle “vicinie”, probabilmente dotate di una certa autonomia amministrativa (Agnelli 1917). La fascia di territorio immediatamente circostante la città era occupata dai Chiosi, in origine quattro, uno per ciascuna porta. Secondo la relazione inviata nel 1609 dalla città al visitatore generale dello stato di Milano don Felipe de Haro e stesa dal canonico Gian Francesco Medici, i Chiosi di porta Cremonese contavano sessantaquattro fuochi per una popolazione di trecentotrenta abitanti, quelli di porta Pavese sessanta fuochi per duecentotrentasei abitanti, quelli di porta Regale quarantasei fuochi con centossessantuno abitanti e infine quelli di porta d’Adda centodieci fuochi per quattrocentotrentasei abitanti (Vigo 1983). Dopo la chiusura di porta Pavese i Chiosi furono ridotti a tre e il territorio già costituente i Chiosi di porta Pavese fu suddiviso tra i Chiosi di porta Cremonese e quelli di porta Regale (Agnelli 1917).
In linea di massima la “piana lodigiana”, nel tardo medioevo come in pieno XVIII secolo, era disegnata dai corsi del Lambro (a ovest), del Po (a sud), dell’Adda (a est e a nord), della Muzza (a nord) (Fusari 1986). Il contado risultava già in età spagnola articolato in vescovati (superiore, di mezzo e inferiore; quest’ultimo ulteriormente suddiviso in vescovato inferiore di strada piacentina e vescovato inferiore di strada cremonese), all’interno dei quali le singole comunità godevano di discreta autonomia amministrativa (Manservisi 1969). Nel corso del tempo, a loro volta, i vescovati furono sottoripartiti in delegazioni (editto 26 settembre 1706; editto 10 giugno 1757).

ultima modifica: 03/01/2006

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