giudice dei dazi 1541 - 1786

Se già con l’affermarsi del potere signorile l’officio dei dazi, la cui origine risale probabilmente al XIII secolo, quando a Milano ai dazi vecchi esistenti andarono aggiungendosi altri cespiti tributari, incominciò ad acquistare un ruolo ben definito, con la promulgazione delle Novae Constitutiones del 1541 l’officio del giudice dei dazi venne ulteriormente qualificato e disciplinato.
Dipendente dal Magistrato ordinario il giudice dei dazi era un magistrato di grande rilievo: l’importanza della sua carica era infatti testimoniata non solo dal fatto che fosse unico in tutto lo stato e venisse direttamente nominato dal sovrano bensì anche dal fatto che potessero accedere alla carica solo coloro i quali avessero già ricoperto altre cariche di grande rilievo. Nell’esercizio del suo ufficio – che poteva avvenire solo dopo aver prestato giuramento nelle mani del presidente del Senato durante il periodo spagnolo, e del governatore dopo le riforme austriache, dato il progressivo esautoramento delle magistrature lombarde – portava, come tutti i giudici, il bastone “virgam ligneam consuetam”.
Durante il periodo della dominazione spagnola assai diffusa era la pratica secondo cui il titolare dell’officio di giudice dei dazi ne fosse solo “proprietario”: l’esercizio effettivo della carica veniva dal medesimo affittato ad altri.
Allo scadere dell’incarico, che aveva durata biennale, il giudice dei dazi veniva sindacato ed in seguito all’esito della sindacazione poteva ottenere di mantenere il mandato sino al “disbrigo totale degli affari più urgenti”.
Il giudice dei dazi era giudice privativo: la sua giurisdizione non poteva cioè essere cumulata a quella di nessun altro giusdicente. I reggenti delle città, i comandanti delle fortezze e gli ufficiali dell’esercito, se richiesti, dovevano addirittura porsi al suo servizio e prestare aiuto per l’adempimento delle sue mansioni. Qualsiasi giusdicente poteva trattenere presso i suoi uffici i contrabbandieri del dazio sulla mercanzia ma non poteva procedere senza aver preventivamente ricevuto l’autorizzazione dal giudice dei dazi; nessun giudice poteva ingerirsi nelle cause daziarie o da esse dipendenti; spettava inoltre al giudice dei dazi poter procedere nelle cause criminali degli ufficiali del dazio della mercatura secondo le disposizioni stabilite dalle Nuove Costituzioni e secondo gli ordini intimati dal governatore e dal magistrato ordinario. Era tuttavia obbligo del giudice non ingerirsi in alcuna causa criminale né altra in cui si trattasse dell’interesse della regia Camera, senza essere stato preventivamente autorizzato dal regio Fisco.
La giurisdizione di questo officio si estendeva quindi a tutti i dazi dello stato e a tutte le cause annesse, connesse e dipendenti da quelli.
Data l’importanza della materia che trattava – i dazi rappresentavano infatti una delle principali entrate e rendite dello stato – il giudice del dazi dipendeva, come si è già detto, direttamente dal Magistrato ordinario che aveva facoltà di giudicare in appello tutte le cause daziarie da lui trattate in prima istanza.
L’organizzazione dell’officio rimase pressoché invariata sino al periodo delle grandi riforme settecentesche: con la riforma del 1771 il giudice dei dazi – la cui attività già dal 1749 era stata subordinata all’autorità del Magistrato camerale, frutto dell’unificazione dei due Magistrati ordinario e straordinario – venne direttamente sottoposto al “senato camerale” – uno dei due rami in cui, in seguito alla riforma, venne organizzato il Senato – che soprintendeva agli affari contenziosi dell’amministrazione finanziaria (Bendiscioli 1957 a; Bendiscioli 1957 b; Pugliese 1924; Visconti 1913).

ultima modifica: 19/01/2005

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