podestà di Milano 1186 - sec. XIV

Quando alla fine del secolo XII i crescenti contrasti tra i consoli milanesi, la difficoltà di equilibrare i rapporti tra potere civile e potere militare, la lenta e talvolta contraddittoria azione pubblica, avviarono inevitabilmente l’istituto consolare alla decadenza, il bisogno di una magistratura suprema, che esprimesse nello svolgimento delle varie funzioni unità di governo divenne una necessità. Al governo dei consoli incominciò quindi a sostituirsi quello di un podestà forestiero o ancora quello di più persone, scelte fra i cittadini milanesi che comunque presero il nome di podestà.
Per la prima volta nel 1186 il governo del consolato veniva infatti sostituito da quello del podestà Umberto Visconti, piacentino, e nel corso degli ultimi decenni del XII secolo, sino al 1213, la città venne alternativamente governata da un gruppo di cittadini milanesi, probabilmente rappresentanti di varie fazioni della città che “presero il titolo di potestates in quanto collegialmente detenevano il potere”(Santoro 1968); dagli atti del comune raccolti dal Manaresi è possibile infatti ricavare il numero dei podestà che negli anni suddetti gestirono gli affari della città milanese: tre nel 1201, sei nel 1204, dodici nel 1212, ed infine quattro nell’anno seguente.
E ancora dopo il 1213, nonostante la definitiva affermazione dell’istituto podestarile, in occasione di particolari situazioni, la città di Milano vide il podestà forestiero affiancato da un rappresentante dei nobili ed uno del popolo, anch’essi col titolo di podestà, come risulta scorrendo l’elenco dei podestà relativo al periodo 1162-1311, compilato dal Giulini. (Giulini 1854).
Nella figura del podestà forestiero che andò via via imponendosi, si accentrarono la somma dei poteri del comune divenendo così la carica pubblica che più caratterizzò la storia milanese del XIII secolo.
Data la particolare posizione di capo del comune, magistratura super partes al di sopra delle fazioni, il podestà veniva scelto tra esponenti di casate nobili ed illustri di una delle città straniere che, al momento della nomina, intrattenevano rapporti di amicizia o di alleanza con Milano. La scelta avveniva generalmente in base al criterio di vicinanza: la città dalla quale fu attinto il maggior numero di podestà – dodici – fu la vicina Brescia a cui seguirono Lodi, Piacenza, Bologna, Como, Vercelli, Bergamo, Mantova, Genova, Parma, e poi ancora Venezia, Modena, Cremona, Pavia, Reggio e Forlì con un solo podestà.
Designato dal podestà uscente il podestà, per la durata generalmente di un anno, veniva investito di tutti i poteri politici, amministrativi, economici, fiscali, militari, giudiziari che erano stati precedentemente esercitati dal consolato: egli poteva concludere trattati, dichiarare guerra, comandare gli eserciti, stipulare paci sia con le città straniere sia con le avverse fazioni cittadine; aveva facoltà di battere moneta, confiscare beni, mettere al bando. E ancora erano di sua competenza le sentenze e condanne riguardanti le frodi circa gli inventari, l’indebito possesso di terre e le cause penali – quelle civili rimanevano di competenza dei consoli di giustizia. Ma per l’adempimento di particolari mansioni, quali ad esempio la concessioni a privati di privilegi, la creazione di nuovi borghi, o la promozione di particolari modifiche all’assetto istituzionale del comune, il podestà era vincolato all’approvazione del Consiglio generale, definito anche consiglio dei savi: in tali occasioni egli era infatti tenuto a convocare il Consiglio generale della città e, solo dopo aver esposto le ragioni della convocazione, a chiedere parere ed ottenerne conferma. Al podestà era ancora affidato il compito di nominare i vari officiali del comune: balestrieri, capitani, servitori per la difesa della città.
Nell’assumere la carica il podestà si impegnava inoltre a fare l’inventario dei beni dei cittadini, borghesi, rustici e nobili foresi ed a non restare lontano dalla città per più di 20 giorni consecutivi.
Gli Ordinamenti del 1211 e del 1225 stabilivano infine l’ammontare del salario da corrispondersi al podestà e soprattutto imponevano che, scaduto il mandato, il podestà uscente dovesse comunque trattenersi a Milano per una quindicina di giorni al fine di essere sottoposto a “sindacato”, antica pratica attraverso cui veniva esaminato e giudicato l’operato del funzionario in congedo e che consentiva di rifarsi in solido sui beni del giudicato qualora si fossero rinvenute irregolarità nella gestione degli interessi del comune o abusi di potere.
Verso la seconda metà del XIII secolo, con l’affermarsi della Signoria la magistratura del podestà andò gradatamente svuotandosi di ogni potere politico, rimanendo solo nominalmente il capo del Comune. E il sacramentum potestatis fatto approvare da Napo della Torre e fatto giurare nel 1272 al podestà piacentino Visconte de’ Visconti ne è un esempio: “il podestà si impegnava infatti a governare non soltanto per il bene della Città di Milano ma anche della famiglia Torriani e di obbedire a tutti i precetti della Credenza di Sant’Ambrogio: il podestà non doveva più osservare e fare osservare le sole norme comunali, ma osservare e fare osservare gli ordini del Signore” (Santoro 1948, p. 29).
Nello svolgimento delle proprie mansioni il podestà era coadiuvato da un numero variabile di giudici ed assessori la cui prima menzione risale alla fine del XII secolo (Manaresi 1919).
Negli Ordinamenti del 1211 venne invece precisato che i giudici ed assessori scelti dal podestà tra coloro che esercitavano tale professione nella sua città di origine, e da lui stipendiati, dovessero essere sei.
Gli Ordinamenti del 1225 modificarono radicalmente le modalità di elezione ed il numero di tali officiali: non solo si stabilì infatti che il numero di giudici ed assessori dovesse essere ridotto a cinque ma la loro nomina venne sottratta al podestà ed attribuita al Consiglio generale, il quale venne incaricato anche di determinare l’ammontare dei loro salari che sarebbero stati, da quel momento, pagati con denaro pubblico.
Un corpo di notai, nominati dal podestà stesso, completavano infine l’organigramma dell’officio podestarile: ad essi, per una durata strettamente vincolata a quella dei loro superiori, era demandato il compito di redigere, sottoscrivere e registrare tutti gli atti inerenti alle mansioni del capo del comune e dei suoi stretti collaboratori (Barni 1954; Franceschini 1954; Giulini 1854; Manaresi 1919; Santoro 1968).

ultima modifica: 19/01/2005

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