maestri delle entrate straordinarie sec. XIV - 1541

Magistratura finanziaria “di importanza più limitata rispetto alla camera ordinaria, poiché gestiva introiti fiscali di diversa natura che davano un gettito inferiore”, i maestri delle entrate straordinarie si occupavano della gestione delle acque di alcuni fiumi, dei Navigli e dei canali artificiali da essi derivati, rogge, e canaletti indispensabili per l’irrigazione dei terreni; erano di loro competenza inoltre la cura di alcuni porti – Sale, Cugnolo, Falcone – e di tutti i beni patrimoniali del signore. Ai Maestri delle entrate straordinarie spettava inoltre occuparsi – attività che divenne la principale nel periodo di governo di Galeazzo Maria – della composizione ed esazione di multe e condanne, della liquidazione dei beni confiscati; e ancora si occupava di feudi, eredità vacanti, e dell’esazione delle tasse straordinarie (annate e mezze annate) imposte a feudatari, ecclesiastici.
Questa magistratura coniugava quindi funzioni sia di carattere amministrativo sia di carattere giurisdizionale: “di giurisdizione repressiva, volta cioè a condannare gli abusi e le frodi, in particolare in materia di biade, e di giurisdizione civile, avendo competenze sulle controversie relative all’uso ed al godimento di determinati beni” (Leverotti 1994, p. 44).
Il numero dei maestri, uno dei quali sempre giurisperito, nominati direttamente dal duca, variò, nel corso della prima metà del Quattrocento tra due e quattro e venne in seguito, da Galeazzo Maria, portato a cinque. Il duca, intenzionato a consolidare sempre più il proprio potere personale, riformò infatti radicalmente questa magistratura: da un lato ne limitò le competenze, subordinandola sempre al controllo di un segretario di Camera e di un cancelliere, dall’altro licenziando i vecchi maestri e sostituendoli con nuovo personale di sua fiducia.
Per lo svolgimento dei numerosi compiti loro delegati i maestri “straordinari” erano inoltre affiancati da “due ragionieri con due coadiutori, un ingegnere specializzato nella derivazione delle acque, un cancelliere addetto alle cacce, due notai delle possessioni con [alle dipendenze] quattro servitori, ed ancora due, talora tre, notai che esercitavano funzioni di sindaci fiscali con due coadiutori, tre avvocati che curavano gli interessi del duca nelle cause fiscali, sette o otto vicari e sindacatori generali, cioè giureconsulti incaricati di sindacare gli ufficiali alla fine del mandato e di dirimere le cause civili, criminali o miste affidate loro dal duca” (Leverotti 1994, p. 48).
Con la eliminazione, per volere di Galeazzo Maria, della Tesoreria del comune di Milano e della Tesoreria straordinaria – sino a quel momento subordinata ai Maestri “straordinari” – e la istituzione della Tesoreria generale, anche la Camera straordinaria, come quella ordinaria, subì notevoli limitazioni. A differenza di quanto era avvenuto prima del 1471, anno in cui la Tesoreria generale incominciò ad essere operativa, la camera straordinaria, una volta incassati i proventi di multe, condanne pecuniarie, tasse straordinarie, doveva versarli immediatamente al tesoriere generale, unico officiale da quel momento autorizzato a provvedere ai pagamenti.
Ma le competenze dei Maestri delle entrate straordinarie vennero ulteriormente limitate con la istituzione dell’officio dei revisori. Composto da tre persone con esperienza specifica nel settore finanziario, tale officiale si vide infatti affidate, direttamente dal duca, tutte le operazione connesse al recupero dei crediti, una delle maggiori incombenze fino ad allora attribuite alla camera straordinaria, alla quale spettava anche recuperare i crediti non esatti dalla ordinaria (Leverotti 1994; Leverotti 1997).

ultima modifica: 19/01/2005

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