comitato di pubblica difesa 1848 luglio 27 - 1848 agosto 6

La notizia della sconfitta dell’esercito piemontese a Custoza, avvenuta tra il 23 e il 26 luglio, suscitò allarme e discussioni a Milano. L’opinione prevalente era che si potesse, e si dovesse, difendere energicamente la città con l’aiuto delle truppe sarde. Il governo provvisorio di Lombardia decise così, anche grazie alle pressioni di Carlo Cattaneo, di Giuseppe Mazzini e dei repubblicani e democratici in genere, di istituire il 27 luglio un comitato di pubblica difesa con il compito di provvedere “coi più ampi poteri a tutto ciò che alla medesima si riferisce” e per “[…] rendere più pronte ed efficaci le disposizioni dell’Autorità” (Raccolta 1848, p. 472). A farne parte furono chiamati Pietro Varesi, Francesco Arese e Cesare Correnti e come segretario l’avvocato Francesco Restelli. Di fronte al rifiuto dei primi furono il giorno successivo nominati il generale Manfredo Fanti, Pietro Maestri e confermato Francesco Restelli, “uomini valenti e onesti, e amatori più o meno aperti di libertà” (Cattaneo 1849, p.163).
Il comitato di pubblica difesa, entrato immediatamente in funzione, governò a tutti gli effetti Milano nei giorni che precedettero la sconfitta piemontese e l’armistizio di Salasco, prendendo provvedimenti di natura militare, finanziaria, annonaria e di polizia pur senza essere quel supremo “magistrato dittatorio” che avrebbe potuto dare “a tutti gli altri vigore, ardimento e velocità e, ove fosse stato necessario, secretezza” (Cattaneo 1849, p. 164). A Milano infatti, almeno teoricamente, governava ancora il governo provvisorio.
Nonostante questo dualismo di poteri il comitato seppe prendere con autorità e immediatezza numerose decisioni: ordinò un prestito forzoso sulle famiglie più agiate; progettò fortificazioni per la campagna e per la città di Milano (istituendo l’ufficio per la direzione dei lavori di difesa della città nel locale della direzione del censo in piazza San Fedele); esortò ripetutamente i cittadini ad erigere di nuovo le barricate di fronte all’avanzare degli austriaci; proclamò la leva in massa di tutte le guardie nazionali mobilizzabili (cioè di tutti gli uomini dai 18 ai 40 anni) e autorizzò il canonico Luigi Vimercati e il sacerdote Luigi Malvezzi a costituire una legione di sacerdoti da affiancarsi ai nuovi arruolati; chiamò a raccolta le donne per provvedere alla fabbricazione di cartucce. Furono inoltre requisiti i cavalli di lusso, ventimila sacchi di frumento e riso e le armi in commercio. Giuseppe Garibaldi, che si era visto rifiutati i suoi servigi da Carlo Alberto, fu mandato a Bergamo con un corpo di volontari (Cattaneo 1849; Raccolta 1848).
Ma la battaglia che il comitato di pubblica difesa doveva combattere era anche e soprattutto politica: il 1° agosto furono infatti nominati dal governo di Torino i regi commissari per la Lombardia (il generale Angelo Olivieri di Vernier, il deputato Massimo Cordero di Montezemolo e il lombardo Gaetano Strigelli) e il giorno successivo il governo provvisorio di Lombardia si trasformò in consulta straordinaria. L’obiettivo di Carlo Alberto più che difendere Milano era ormai impedire che in città prendesse il potere il partito repubblicano, per evitare che una eventuale vittoria popolare travolgesse la monarchia: quando l’esercito piemontese abbandonò l’Adda, rendendo inutili i preparativi di difesa organizzati dal comitato, Fanti e Restelli si recarono a Lodi per chiedere spiegazioni ma non furono neanche ricevuti dal sovrano (Cattaneo 1849).
I contrasti tra i regi commissari, che costituivano il consiglio amministrativo generale, e i membri del comitato generarono inevitabilmente confusione e sfiducia anche per i diversi obiettivi che avevano: il 4 agosto l’Olivieri protestò con i membri del comitato sostenendo non fosse loro compito neanche organizzare le barricate e chiamare a raccolta i cittadini. L’ultimo accorato appello del comitato, infatti, in cui si incitavano i cittadini a ergere le barricate e a combattere in attesa delle truppe francese recitava “[…] resistiamo qualche giorno e, lo ripetiamo, la vittoria sarà nostra!” (Raccolta 1848, p. 528). A quel punto il comitato, senza consultare il regio commissario, “fece battere la generale, toccare a stormo in tutti i campanili dentro e fuori la città, e distribuire ai cittadini le armi” (Cattaneo 1849, p. 177). Ma era ormai troppo tardi: nella notte tra il 4 e il 5 agosto l’accordo armistiziale tra i piemontesi e gli austriaci si concluse. A nulla valsero le proteste dei membri del comitato convocati a palazzo Greppi la mattina del 5 agosto, quando l’Olivieri comunicò i termini dell’accordo austro-piemontese: il re consegnava a Radetzky la città e le truppe di Carlo Alberto iniziavano la ritirata al di là del Ticino (Avetta 1938; Candeloro 1960; Cattaneo 1849; Curato 1950; Curato 1960; Marchetti 1948 a; Marchetti 1948 b; Meriggi 1987; Raccolta 1848).

ultima modifica: 19/01/2005

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