consiglio amministrativo generale 1848 agosto 2 - 1848 agosto 6

La legge sulla fusione della Lombardia con il Piemonte, votata dal parlamento subalpino tra il 28 giugno e il 27 luglio 1848 a seguito del plebiscito, prevedeva tra l’altro la trasformazione del governo provvisorio di Lombardia in consulta straordinaria. In sua sostituzione, dietro pressioni di Carlo Alberto e dello stesso governo provvisorio di Lombardia, si insediò a Milano un consiglio amministrativo generale, composto da tre commissari regi, che ne assunse le funzioni ed i poteri. Membri del consiglio, nominato dal governo di Torino il primo agosto, furono per gli affari di guerra e di pubblica sicurezza il cavalier Angelo Olivieri, luogotenente generale e presidente del consiglio stesso; il deputato piemontese marchese Massimo Cordero di Montezemolo, cui furono affidati gli affari di finanza, e il già membro del governo provvisorio lombardo Gaetano Strigelli, incaricato per gli affari politici ed amministrativi.
Con questo organismo – composto da “uomini dei quali il popolo nostro mai non aveva udito il nome” (Cattaneo 1849, p.173) e da Gaetano Strigelli, “figlio di quello che era segretario della Reggenza, quando Milano fu data agli austriaci nel 1814” (Cattaneo 1849, p. 173) – il controllo politico e militare di Milano passava definitivamente in mano al partito dei “piemontesi”, anche perché ormai si era delineata chiaramente la strategia di Carlo Alberto, che prevedeva la cessione di Milano per la salvaguardia dell’istituto monarchico, cioè – come scrisse Cattaneo – “doveva prendere, perché doveva consegnare”.
In una missiva del governo provvisorio lombardo indirizzata a Gabrio Casati, appena eletto primo ministro di Carlo Alberto, si sosteneva che la presenza del regio commissario a Milano fosse indispensabile per non abbandonare il paese all’anarchia e per mostrarsi uniti di fatto e di diritto di fronte agli austriaci e all’Europa, (Marchetti 1948 b) ma in realtà non a caso inizialmente per il posto di commissario regio si era pensato al Durini, che conosceva bene i membri del comitato di difesa pubblica e avrebbe potuto più facilmente mettersi d’accordo con loro: il compito dei commissari – in particolar modo dell’Olivieri, che era responsabile delle questioni militari – era infatti sostanzialmente di controllare la resa di Milano e il ritiro delle truppe evitando sbocchi insurrezionali della popolazione guidata dai repubblicani o che lo stesso comitato di pubblica difesa decidesse di prendere il potere oltrepassando così il suo mandato. A Carlo Alberto infatti interessava a quel punto che a Milano non prendesse il potere il partito repubblicano, poiché solo gli elementi di sinistra repubblicani avrebbero potuto mobilitare il popolo e organizzare una valida resistenza agli austriaci. Se questa fosse poi risultata vittoriosa, la monarchia, già sconfitta e screditata dopo Custoza, sarebbe stata probabilmente travolta anche a Genova ed a Torino; ma anche se la resistenza popolare fosse rimasta schiacciata dalla repressione austriaca la monarchia ne avrebbe risentito a causa della inevitabile contrapposizione tra l’eroismo popolare e la scarsa capacità del re e del suo entourage politico e militare (Candeloro 1960). L’azione di Carlo Alberto e dei regi commissari fu quindi sostanzialmente diretta ad impedire un’efficace difesa popolare.
Sono dunque comprensibili gli aspri contrasti che sorsero tra i regi commissari e il comitato di pubblica difesa. Già la sera del 3 agosto il generale, “valendosi de’ supremi suoi poteri” richiamò “i signori del comitato ai limiti del loro incarico” (Cattaneo 1849, p. 176), dolendosi per le direttive che essi stavano impartendo al popolo che già iniziava a rialzare le barricate dopo le notizie dell’avanzata delle truppe austriache. Il mattino del 4, prima dell’attacco austriaco alla città, Fanti e Restelli (membri del comitato di pubblica difesa) chiesero di nuovo all’Olivieri il permesso di far preparare le barricate ma il rappresentante del re sostenne che non fosse il caso di “fomentare vani spaventi (e che fosse) indecoroso l’ingombrare di siffatti inciampi una città difesa già da 45 mila soldati” (Cattaneo 1849, p. 176). Alle otto di sera il consiglio di guerra riunito da Carlo Alberto a palazzo Greppi decise che sarebbe stato impossibile difendere la città e inviò parlamentari al quartier generale di Radetzky a San Donato. L’accordo tra gli interlocutori fu concluso nella notte e fu proprio l’Olivieri a palazzo Greppi a comunicare i termini dell’armistizio ai rappresentanti della città e al comitato di pubblica difesa, i quali protestarono violentemente per la disfatta e per la consegna della città senza alcuna resistenza. Finalmente, dopo vari tumulti della folla radunatasi intorno a Palazzo Greppi, nella notte tra il 5 e il 6 agosto Carlo Alberto e il suo seguito lasciarono Milano. Il compito dei commissari era esaurito (Avetta 1938; Candeloro 1960; Cattaneo 1849; Curato 1950; Curato 1960; Marchetti 1948 a; Marchetti 1948 b; Meriggi 1987; Raccolta 1848).

ultima modifica: 19/01/2005

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