consulta straordinaria per la Lombardia 1848 agosto 2 - 1849 maggio 20

Il 9 giugno 1848 giunsero a Torino Giuseppe Durini, Gaetano Strigelli ed Emilio Broglio, membri della commissione incaricata dal governo provvisorio di Lombardia di discutere le modalità dell’annessione e della fusione della Lombardia al Piemonte decisa dal plebiscito del 29 maggio. Il problema della sopravvivenza del governo lombardo era molto sentito e infatti la condizione preliminare per le trattative con i piemontesi era l’istituzione di una consulta lombarda, trasformazione nominale del governo provvisorio di Lombardia, con l’incarico quantomeno di approvare i trattati internazionali concernenti la Lombardia stipulati eventualmente dal re. La proposta lombarda suscitò naturalmente aspre polemiche in Piemonte anche perché contrastava con quanto era accaduto nelle province emiliane (Parma, Piacenza, Modena e Reggio) dove la fusione era stata votata senza condizioni.
Il 15 giugno, comunque, si conclusero le trattative. In base alla convenzione stipulata la Lombardia e le province venete facevano parte integrante dello stato; nella regione restavano in vigore la guardia nazionale e le leggi vigenti sulla libertà di stampa e di associazione (così come le leggi e i regolamenti esistenti) e il re non avrebbe potuto concludere trattati politici o di commercio senza preventivamente concertarsi con una consulta straordinaria lombarda composta dagli stessi membri del governo provvisorio. La convenzione stabiliva inoltre che la legge elettorale per la costituente sarebbe stata promulgata entro un mese dalla accettazione della fusione e che la costituente si sarebbe dunque riunita entro il 1 novembre 1848.
Nonostante le critiche da parte piemontese – il Cavour ad esempio sottolineò la pericolosità di lasciare in vita il governo provvisorio lombardo anche sotto forma di consulta perché nella convenzione non si faceva cenno all’esercizio del potere legislativo in Lombardia – tra il 28 giugno e il 27 luglio la camera ed il senato subalpini votarono i diversi articoli della legge sull’annessione e sul regime interinale della Lombardia (Candeloro 1960; Curato 1950). Il 2 agosto fu così reso noto che il re, in base alle legge sull’annessione stessa, nominava un consiglio amministrativo generale, composto da Angelo Olivieri, Gaetano Strigelli e Massimo Cordero di Montezemolo, e che “il cessante governo provvisorio assume[va] le funzioni di una consulta straordinaria avente voto deliberativo per la stipulazione dei trattati politici e commerciali, e per l’esercizio del potere legislativo” (Raccolta 1848, p. 512-515). Più in particolare l’articolo 6 della legge stabiliva che “Il governo del Re non potrà concludere trattati politici e di commercio, né fare nuove leggi, abrogare o modificare le esistenti, senza concertarsi previamente con una Consulta straordinaria composta dei membri attuali del governo provvisorio di Lombardia […]”.
La consulta doveva essere quindi l’organo cui era deferito il potere nel periodo di transizione tra lo spoglio dei dati del plebiscito del 29 maggio e la convocazione della costituente: una sorta quindi di “governo fantasma”. In realtà, se si eccettuano i primi proclami, datati 4 agosto, che esternarono ammirazione e riconoscenza all’esercito e a Carlo Alberto (Raccolta 1848), i compiti del consesso potevano dirsi esauriti dopo la disfatta di Milano e dopo le trattative sulla capitolazione della notte tra il 4 e il 5 agosto, che portarono all’abbandono di Milano da parte dei piemontesi e all’esodo dei patrioti lombardi.
Comunque l’Alfieri, presidente del consiglio subalpino, riconobbe alla consulta la facoltà di presentare al ministero memorie sopra qualsiasi argomento e infatti le riunioni si tennero a Torino prima nella abitazione del conte Casati (Casa Manati, Porta Nuova) – ormai dimissionario e sostituito come presidente del consiglio dall’Alfieri stesso – e successivamente, ottenuti dei finanziamenti da parte del governo, in un locale attiguo al ministero dell’interno. Presidente fu naturalmente Gabrio Casati, segretario Achille Mauri. Gli altri membri furono Antonio Beretta, Vitaliano Borromeo, Antonio Dossi, Giuseppe Durini, Cesare Giulini, Pietro Moroni, Gaetano Strigelli e Gerolamo Turroni, Azzo Carbonera, Francesco Rezzonico. Pompeo Litta e Luigi Anelli non parteciparono mai alle sedute; Annibale Grasselli fu arrestato dagli austriaci e tradotto a Mantova dove rimase fino all’amnistia generale concessa dall’imperatore.
Dai verbali delle sedute e dalle posizioni prese dai consultori emerse la natura di organismo ibrido ed oscillante tra l’essere un organo legislativo ed un organo esecutivo, che era inevitabilmente insita nella consulta, che peraltro fu duramente attaccata da Mazzini e dai democratici emigrati nel Canton Ticino come “bramosa di potere”. Comunque la consulta oltre ad un deciso impegno a favore degli esuli lombardi riaffermò con decisione la volontà della Lombardia di unirsi agli stati sardi e la necessità di costituire un forte regno di alta Italia.
Il 20 maggio 1849 il presidente del consiglio subalpino D’Azeglio decise di scioglierla, forse anche per facilitare la ripresa delle trattative di pace tra il Piemonte e l’Austria, incagliatesi per la questione del pagamento da parte del Piemonte dell’indennità di guerra. La pace portava alla rinuncia della fusione ed al Regno d’alta Italia, quindi rendeva definitivamente inutile la sopravvivenza dell’organo che era nato presupponendo la fusione stessa (Curato 1950; Raccolta 1848).

ultima modifica: 19/01/2005

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