comune di Milano 1749 - 1796

A partire dai primi anni del Settecento, per mezzo secolo, gli eserciti di tutta Europa si accamparono o transitarono sulle terre della Lombardia: per Austria, Francia, Spagna, Piemonte lo stato di Milano rappresentava una posizione chiave per la realizzazione dei loro progetti egemonici o espansionistici sul continente.
Nel 1700 la morte senza eredi del re di Spagna, Carlo II, aprì infatti, nonostante i reiterati tentativi di Inghilterra e Olanda di dirimere diplomaticamente le diverse pretese francesi, asburgiche e piemontesi per il dominio della Lombardia, una lunga guerra per la successione al trono – prima delle tre guerre dinastiche che caratterizzeranno la prima metà del secolo – la quale, divampando in tutta Europa, coinvolse direttamente anche lo stato milanese.
Nel 1706 l’Austria si affermò “signora” indiscussa della Lombardia: dominio che durò per circa 150 anni, interrotto solo dal ventennio rivoluzionario napoleonico.
La pace firmata ad Aquisgrana nel 1748 chiudeva definitivamente quel capitolo di storia europea che si era aperto al principio del secolo con la guerra di successione spagnola, che era proseguito con quella polacca e che aveva trovato conclusione nella guerra di successione austriaca. L’Austria confermava definitivamente il proprio dominio sullo stato Milanese che, persa metà delle sue terre ai confini con lo stato sabaudo, si allargava verso est incorporando il ducato di Mantova.
Durante questo primo cinquantennio di dominazione austriaca in Lombardia, l’organizzazione amministrativa centrale, provinciale e locale dello stato era continuata secondo gli schemi della precedente legislazione e tradizione spagnola.
Ma l’ascesa al trono di Maria Teresa aprì un periodo di grandi trasformazioni sia a livello centrale sia periferico. Per far fronte alle impellenti necessità finanziarie dovute soprattutto ai continui conflitti, Maria Teresa, assumendo la pesante eredità del padre Carlo VI, si trovò a combattere contro la lentezza, le dispersioni e le insufficienze della struttura statale, e si rese immediatamente conto delle debolezze del sistema vigente, dell’insufficienza dell’autorità centrale, che non riusciva ad imporsi sui particolarismi locali, del cattivo funzionamento della macchina amministrativa, priva di un’omogenea organizzazione all’interno di ciascun provincia della monarchia.
Da queste considerazioni nacque la spinta alle riforme che agì tanto a livello centrale quanto a livello periferico – quindi nella periferica Lombardia austriaca – ed interessò i settori finanziario, fiscale, amministrativo.
Partendo dal riordino del sistema degli appalti, sulla cui base si regolavano le operazioni di riscossione delle imposte indirette, la riforma si estese alla “sistemazione” del debito pubblico e soprattutto alla uniformazione del sistema fiscale. Ma per riorganizzare quest’ultimo settore era necessario estendere il campo di riforma. L’instaurazione di un sistema fiscale uniforme necessitava, come premessa, l’uniformità degli organi destinati ad applicare tale nuovo sistema. Le operazioni catastali, necessarie per una completa riforma fiscale, avrebbero trovato il loro esatto coronamento – sosteneva Pompeo Neri, presidente della seconda Giunta del censimento istituita nel 1749 – solo nella riorganizzazione dell’apparato amministrativo provinciale e locale. E per fare ciò al criterio di uniformità avrebbe dovuto corrispondere quello di centralità.
Regolata quindi in modo uniforme l’amministrazione dei comuni minori, il governo austriaco passò ad ordinare l’organizzazione amministrativa delle province e delle città capoluogo, “poiché a nulla avrebbe giovato la prima riforma se ancora avesse dovuto sussistere la forma antica del governo cittadino e provinciale, l’antica opposizione tra città e campagna” (Valsecchi 1959, p. 247).
Il 10 febbraio del 1758, in seguito al compimento dei lavori catastali e all’applicazione della riforma degli ordinamenti locali, venne pubblicata la “Riforma al governo della Città e Ducato di Milano”: “Dovendosi, secondo il sistema del nuovo Censimento corrispondente agli Ordini Sovrani di Sua Maestà, riunirsi questa Capitale colla sua Provincia sotto una sola amministrazione a maggiore beneficio de Censiti, si è venuto dopo maturo esame, sentiti gli Interessati, in determinare, che debba istituirsi una nuova Congregazione del patrimonio nella città di Milano, ed appoggiarsi alla medesima l’universale Amministrazione tanto per la Città, che per la Provincia, colle regole espresse ne' seguenti Articoli” (editto 10 febbraio 1758).
La gestione amministrativa di Milano e della sua provincia doveva quindi essere esercitata dalla riformata Congregazione del patrimonio. La “universale amministrazione” della città e della provincia milanese era assegnata ad un organo, composto dal vicario di provvisione, dal suo luogotenente, da due dottori del Collegio – tassativamente patrizi – eletti dal governatore su terne proposte dal Consiglio dei sessanta decurioni – da quattro estimati non decurioni eletti per la prima volta da un Convocato di vocali delle pievi e in seguito per cooptazione dalla Congregazione del patrimonio stessa.
Sopravviveva infine il Tribunale di provvisione con tutte le competenze esecutive e giurisdizionali in materia di strade, vettovaglie, luoghi pii, che gli erano state riconosciute dalle Nuove Costituzioni cinquecentesche, privato “solo dell’amministrazione della cassa urbana, non più distinta da quella della provincia, e di qualsiasi ingerenza di gestione finanziaria della città e del Ducato” (Cuccia 1977, p. 17).
Nonostante i propositi di uniformità il particolarismo lombardo riscosse ancora una sostanziale vittoria: l’influenza del Consiglio dei Sessanta decurioni – simbolo del patriziato milanese – sulla Congregazione del patrimonio rimase rilevante, fornendo quattro membri su quattordici ed influenzando l’elezione di altri otto; ancora saldo si manteneva quindi il legame tra il Consiglio e l’antico organo esecutivo della città.
Nel 1780, morta la sovrana Maria Teresa e salito al trono il figlio Giuseppe II, si aprì una nuova era che decretò il definitivo tramonto del particolarismo lombardo.
Nel 1786 le Nuove Costituzioni, che da due secoli avevano regolamentato la vita dello stato milanese vennero soppresse e con esse tutti quei corpi e magistrature statali e municipali che, monopolizzati per secoli dal patriziato lombardo, e soprattutto milanese, avevano rappresentato e difeso il particolarismo e l’autonomia lombarda.
L’equilibrio tra forze locali e presenza centrale creato nell’organizzazione amministrativa milanese dai riformatori teresiani, nell’arco di due anni, venne definitivamente sgretolato dal programma giuseppino. Nel 1786, soppresse le magistrature municipali di origine ducale, a Milano e nelle altre province della Lombardia austriaca venne istituita la Congregazione municipale, presieduta da un prefetto e costituita da un numero variabile di assessori, a cui erano assegnate attribuzioni assai vaste, dalla finanza, alla polizia, all’economia (Cuccia 1971; Valsecchi 1959).
Salito al trono Leopoldo II, l’organizzazione amministrativa del comune di Milano fu ancora oggetto di riordino: con reale dispaccio del 1791 la Congregazione municipale venne ampliata nel personale e negli appannaggi e “abilitata a giudicare in prima istanza in materia di carico o di imposta” (dispaccio 24 gennaio 1791 a).
Nel 1796, in seguito all’ingresso nei territori lombardi delle armate francesi, la Congregazione municipale di Milano venne “provvisionalmente ritenuta sotto il nome di Municipalità della città di Milano” (Annoni 1959; Capra, Sella 1984; Cuccia 1971; Cuccia 1977; Mozzarelli 1987; Valsecchi 1959).

ultima modifica: 29/05/2006

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