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117. Francesco Sforza a Ventura de Monte Sicardo, luogotenente di Lodi 1452 gennaio 29 Milano.

Francesco Sforza scrive a Ventura de Monte Sicardo, luogotenente di Lodi, per il rifiuto di dare a Frasco un anello del defunto Mignosco; l'ordine del duca è di dare le cose del morto a un famiglio di Roberto, nipote dello Sforza ad eccezione dell'anello. Quanto a Burato, prigioniero, lo Sforza vuole non sia rilasciato senza suo permesso.

Ser Venture da Monte Sicardo, locuntenenti Laude.
Frasco ne ha dicto che, domandandote uno suo anello qual havea el quondam Mignoso, gli hay resposto havere in scripto commissione da nuy de dare tucte le cosse del dicto quondam Mignoso ad uno fameglio de misser Roberto, nostro nepote; del che molto ne maravigliamo perché nuy non te fessemo may, nì havemo facto fare tal commissione, né in scripto né a bocha. Pertanto volimo che daghi al dicto Frasco el dicto anelo, et del resto del dicto Mignoso non ne daghi cosa alcuna a persona del mondo se non vedi littera sottoscripta de nostra propria mano et ne mandi quelle littere o scripto che hay da tal commissione; et se l'havesti per bocha, volimo ne advisi chi è quello te ha facto dicta commissione per nostra parte. Ulterius intendimo che hai in presone uno chiamato Burato, che ne piace et volimo non lo debii relassare senza licencia sottoscripta de nostro propria mano. Et benché de sopra dicamo che dela robba del dicto quondam Mignoso non ne daghi cosa alcuna senza littere sottoscripte de nostra propria mano, nondimeno siamo contenti che quando te serà scripto quello doveray fare della dicta robba, se le littere non saranno migha sottoscripte de nostra mano, exequissi quanto per nostre littere, etiam non sottoscripte de nostra mano, te sarà scripto circa dicta robba. Mediolani, xxviiii ianuarii 1452.
Iohannes.