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351. Francesco Sforza a Carlo de Armagnac 1452 aprile 6 Milano

Francesco Sforza esprime a Carlo de Armagnac Visconti Recensagelli, governatore di Vercelli, di essere dispiaciuto per le lamentele da lui fatte nei riguardi di Angelello da Lavello, tanto più per averlo ammonito di comportarsi adeguatamente con i sudditi del Savoia. Domani o dopo Angelello si porterà a Rosasco e, accertato che sia avvenuto quanto il governatore recrimina, ordinerà la restituzione di ciò che è stato illegalmente sottratto. Lo Sforza, però, avverte il governatore a non credere a tutte le lagne, perché vi sono anche quelli che si lamentano perché si pretende da loro l'osservanza della legge. Gli chiede di ascoltare Angelello in merito ai cavalli a lui tolti e uccisi da quelli di Confientia.

[ 112v] Magnifico militi tanquam fratri et amico nostro carissimo domino Karolo de Armignaco Vicecomiti Recensagelli, et cetera, gubernatori Vercellarum.
Havimo recevuto littere dala magnificentia vostra, et inteso per quelle de quanto ve agravate de Angelello de Lavello. A noy certamente rincresce, non mancho che a vuy, che luy o li suoy faciano cosa che ve rincrescha, che seria tucto contrala mente nostra. Et molto più ne rincresce che, siando luy monito da noy ch'el se porti modestamente et honorevolmente cum quelli del'illustrissimo signore duca de Savoya, nostro honorevole cusino, sia proceduto a veruno altro inconveniente, avisando la vostra magnificentia che havimo havuto da noy dicto Angelello et monitello che domane o l'altro sia a Rosascho, et trovando che li suoy habbiano commettuto quello ne scrive la magnificentia vostra, facia restituire ogni cosa integramente, et cossì siamo certissimi ch'el farà, confortando la vostra magnificentia che non voglia sempre credere ogni cosa ad quelli che se vengono alamentare delli nostri, perché havimo pur trovato alle fiate che quelli se vengono alamentare non hanno ragione, perché sonno de quelli voriano menare biave, sale et altre cose contra l'ordini nostri et in nostro preiudicio. Et siandoli prohibito et alle fiate proceduto contra de bona ragione, se vengono alamentare che gli fi facto torto e non, è perhò cossì, como s'è veduto et conosciuto per expresso de quelli che menavano le nave a Vercelli et non volevano pagare il datio contra il dovere, et cussì dicemo del'altri, li quali preterendo li ordini et facendo rechiesti al devere [ 113r] se vengono alamentare. Ma sia como si voglia, nostra intentione è et volimo che quelli del prelibato illustrissimo (a) signore nostro cusino sempre siano reguardati dal canto nostro como li nostri proprii, et melio. Ceterum, confortiamo anchorala magnificentia vostra che voglia intendere la ragione del dicto Angelello, il quale domanda ragione de certi cavalli aluy tolti et morti da quelli de Confientia, et etiam d'alchuni suoy famigli robbati. Ex Mediolano, die vi aprilis 1452.
Ser Iacobus.
Cichus.


(a) illustrissimo in interlinea.