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637. Francesco Sforza a Giovanni Galeazzo Trotti 1452 settembre 9 apud Quinzanum

Francesco Sforza scrive a Giovanni Galeazzo Trotti che suo figlio Antonio gli ha mostrato la lettera con la quale lo sollecita a tornare a casa, mostrando chiaramente timori per le vicende lì succedutesi. Ritiene tali timori ingiustificati, specie dopo la botta data a Gugliemo con la cattura di Giovanni dalla Noce, traditore di tutti i servitori del duca e del duca stesso. Il Balivo, luogotenente di Asti, con molta gente del sovrano di Francia è pronto a muoversi contro Guglielmo di Monferrato e chiunque vorrà attaccare su quel fronte. Sicuro della situazione da quella parte, non vuole che gli richiami il figlio Antonio, che è impegnato nei suoi servizi.

[ 225r] Nobili dilecto nostro Iohanni Galeaz de Trottis.
Misser Antonio, vostro figliolo, ne ha monstrato una lettera, quale gli haveti scripta confortandolo et carricandolo ch'el voglia venire a casa per essere cum vuy et favorire le cose vostre. El quale scrivere vostro ne ha facto maravegliare de vuy, parendone che siati mosto a scriverli questo per pagura e sospecto che habiate dellà per le cose seguite, che non ne pare debiate havere perché, essendo seguita la rotta del signore Guilielmo, essendo ancora seguitala presa de domino Zohanne dalla Noxe, quale con tanta iniquità et perfidia cercava de tradirne, immo tradiva vuy et tucti quelli nostri servidori fideli dal canto dellà et nuy stessi. Et venendo alli subsidii et favori nostri, el magnifico Bayli, locotenente de Ast, cum bona quantità de gente, a nome della sacra mayestà del Re de Franza, contra el signore Guilielmo et qualunque ne vorrà offendere in quella parte non ne pare habiate a sbigutirvi et dubitare tanto delle cose delà, immo, persuadervi et essere certo, per le dicte casone, che de quella impresa non sia per succedere se non certa, evidente et indubitata victoria contra nostri inimici in exaltatione, amplitudine et gloria del stato nostro et reposso, tranquilità et contentamento vostro et de tucti li nostri amici, et servidori delà. Et certamente, essendo nuy intenti et occupati a questa cossi grande (a) importante et relevata impresa per la quale non solamente exponemo le gente d'arme, stato et tucte le facultate nostre, ma etiandio, la propria persona, haveressemo creduto et tenuto per certo per la fede et devotione che ne portati, ne dovesti havere mandato el dicto domino Antonio, senza essere richiesto, non che revocarlo de qua, essendo adoperato in li servicii nostri. Pertanto ne pare et cossi ve confortiamo, caricamo et stringemo che vogliati deponere tucte quelle sospectione et pagure quale haveti concepte nel animo vostro et vivere letamente et senza dubio alcuno. Immo etiandio confortare tucti li altri dellà a fare el simile, perché certamente le cose delà passarano bene, et in pochissimi dì vedereti tale principio [ 225v] alle cose dellà che iudicareti essere vero quello ve scrivemo, et che li traditori haverano mal facto. Nì anche ne rechiedeti più el dicto misser Antonio, perché non lo lassaressimo partire de qui per modo alcuno, dispositi ch'el stia presso de nuy et attenda a questa impresa fin alla expeditione d'essa, quale, speramo in Dio, fornire presto cum gloriosa victoria et fatale ruyna de nostri inimici. Ex nostris felicibus castris apud Quinzanum, die viiii septembris 1452.
Irius.
Cichus.


(a) Segue impresa depennato.