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836. Francesco Sforza a Sceva de Curte 1452 ottobre 17 apud Lenum

Francesco Sforza dice a Sceva de Curte, oratore ducale presso il doge di Genova, che dopo le tante lettere inviategli e i chiarimenti dati al suo ambasciatore Bartolomeo, sperava che ogni dubbio genovese fosse fugato. Ma dalle lettere arrivate da Firenze e da quello che il doge ha scritto a Cosimo, ritiene opportuno scrivere ancora al doge la lettera che gli acclude. Quanto al denaro, lo sprona a fare quanto ha scritto e a riferirgli notizie circa i diecimila ducati richiesti.

Spectabili militi et doctori domino Sceve de Curte, oratori nostro dilectissimo apud illustrem ducem Ianuensem.
Credimo havere scripto tanto a quello illustre signore duxe et a vuy, che ne pare essere certissimi che la mente de quello illustre signore duxe et de quelli cittadini debbia essere chiara, contenta e satisfacta verso nuy, et che debbia essere tolto via ogni dubio che gli fosse, et maxime mò, alla ritornata de domino Bartholomeo, ambassatore de quello signore duxe et comunità, quale è ritornato chiaro e benissimo disposto et hedificato, non ne pareria che dovesse bisognare, circa questa materia, più littere. Se non che, havendo avute alcune littere da Fiorenza et notizia de quello ch'el signor duxe [ 307v] ha scripto al magnifico Cosimo, n'è parso, ancora per maiore satisfactione della mente nostra, de scrivere ancora quest'altralettera al'illustre signore duxe, della quale ve mandiamo la copia qui inclusa. Siché non sapemo que dire altro, se non che ne advisate se per dicte nostre littere et per quanto gli haveti dicto vuy a bocha et che gli (ha) dicto domino Bartholomeo, ambassatore, serà remaste le mente de quello illustre signore duxe et de quelli citadini bene contente e satisfacte, et se ve pare che circa ciò che gli habiamo a fare più una cosa che un' altra.
Resta mò el facto del denaro, che è quella cosa che importa tucto el facto nostro, siché vogliati attendere e solicitare de fare quanto ve habiamo scripto, et che speranza gli possemo havere et, dovendose havere, avisarne quando se porrano al più tardo havere, perché nuy aspectiamo de hora in hora che almeno ne mandiati quelli x mila ducati. Siché de tucto respondetene chiaramente e prestissimo. Data in castris nostris apud Lenum, die xvii octobris 1452.
Leonardus.
Cichus.