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657. Francesco Sforza a Michele Attendoli. 1452 luglio 11 "apud Trignanum".

Francesco Sforza dice a Michele Attendoli di aver preso saputo del comportamento ricevuto da Firenze e lo esorta ad essere tollerante, non ritenendo essere il momento più opportuno per provocare quella signoria. Quanto al denaro crede che con il tempo lo accontenteranno. Abbia per certo che scriverà a Cosimo, a Neri e a Boccaccino rassicurandolo sul buon trattamento che riceverà da loro e, quando saranno sistemate le cose sul suo fronte, provvederà asistemare i fatti suoi. A proposito del fronte gli ricorda che i nemici se ne stanno fermi nelle paludi ove si sono così bene sistemati che è impossibile snidarli. Comunque, per provvedere alla scarsità di strami dovranno prendere qualche decisione che gli consentirà di attaccarli.

(a) Domino Micheli de Actendolis.
Havimo recevuta vostra lettera, et inteso quanto scriviti gravandovi delli tractamenti ve sonno stati facti per quello magnifico regimento della città de Fiorenza, et cetera.
Respondimo che, siando cussì, ne maravigliamo et si ne rencresce perché è contra la expectatione et speranza nostra, quantuncha crediamo che la vacillatione deli tempi et conditione occurrente ne siano potissima casone. Pur non possiamo credere che, siando vuy cosa nostra, non debiano havere vuy per suo, como nuy che siamo suy, et cussì le cose vostre. Non di mancho, havendo consideratione alla antiqua et mutua amicitia et benivolentia continuata fino de presente tra quella excelsa signoria et casa nostra et nuy, per non volere deviare da quella, ma piutosto augumentarla, non ne pare se debia al presente attendere de provocarla ad cosa alchuna che li spiaza; siché (b) pertanto ne pare che debiati patientemente tollerare ogni cosa et deportarvi cum ogni humanitade et gratitudine cum tucti quilli cittadini, per cussì facendo et deportandose, quantunqua sia sua nactura ogni communanza sia remessa et tarda. Al facto del dinaro non dubitamo che col tempo infine non se reducano ad farvi delle cose, et recognoscere (c) vuy et vostri figlioli in modo che haveriti ad contentarvi, chiarendovi che speramo in breve redurre le cose nostre de qua in tali termini et cum tale prosperitade che non dubitamo de quella excelsa signoria se redurrà facile ad ogni vostra amplitudine et grandeza et de vuy et delli figlioli vostri. Pur nuy scrivemo al magnifico Cosmo, ad Neri et ad Beccacino per le alligate in opportuna forma siché porriti, como havimo dicto, intendervi cum dicti cittadini cum [ 166v] humanitade et piacevoleza che non possimo credere che, cussì facendo, non habiati altro che bono tractamento, et quando (d) habiamo acunze le cose de qua, como speramo conzarle, nuy actenderimo ad aconzare li facti vostri in modo passaranno bene como desiderati.
Et è nostro debito et intentione nostra. Data in castris nostris apud Trignanum, die xi iulii 1452.
Cichus.
Post datam. Perché la signoria vostra intenda quanto occorre del canto de qua, la adviso che li inimici sonno pur in li loro logiamenti, dove gli sonno stati xxvi dì, quale alogiamento è fortissimo tra certi paduli, poy fortificati de tagliate et de fossi et de sbarre per modo che sonno più forti che se stesseno in una cità. Ma quello non se pò fare al presente cum la forza, lo faremo cum l'ingengno et astutia. Nuy li havemo reducti ad grandissima extremità de strami che bisongna vadino ad sacomanno dodece et quatordece miglia della longa, siché bisongna che, overo mutino alogiamento che non sarrà sì forte, o che piglino partito per modo habiano ad fare male li facti loro et, mutandose, cercharimo adcostarsi più a loro et sforzarimone de apizarse cum loro, et non dubitamo puncto che se nuy potemo atachare cum loro che non gli fazamo uno male servitio, et speramo prestissimo farvi sentire novelle che ve piaceranno, et de quanto seguirà ve farimo de continuo advisati. Et cussì vi confortiamo vuy ad darci adviso de quanto occorre deI canto dellà. Data ut supra.
Ser Iohannes.
Cichus.

(a) Precede Cosme de Medicis depennato.
(b) Segue ne pare depennato.
(c) Segue delle cose depennato.
(d) Segue cosa depennato.