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1771. Francesco Sforza a Marco de Attendolis, commissario di Borgonovo piacentino 1454 luglio 15 Milano.

Francesco Sforza comunica a Marco de Attendolis, commissario di Borgonovo piacentino, di aver avuto ancor oggi notizia che gli uomini di lì, o parte di loro, hanno, venerdì scorso, nonostante la disposizione ducale e la dichiarazione del Consiglio di giustizia, commesso furti di biade ai danni dei gentiluomini e cittadini di Piacenza che hanno le loro possessioni a Borgonovo e hanno altresì ferito dei gentiluomini. Vuole, perciò, che lui, Marco, comandi ai sottoscritti, irriverenti a Dio e ai Santi e disobbedienti al duca, che paghino ciascuno 50 ducati alla Camera ducale e, a tre giorni dal comando loro fatto, si portino da lui o dai membri del Consiglio di giustizia e non li lascino senza loro licenza. Se non avesse il coraggio di farsi obbedire, gli provvederà un altro luogotenente, perché ridonda a vergogna del duca e a danno dei sudditi la disobbedienza agli ufficali, specie se agiscono in esecuzione di tante lettere ducali. Siccome é convinto che ci si comporti così perché si é supportati da altri, vuole che si informi bene di chi li spalleggia e di tutto lo avvisi per porvi rimedio. I citati sottoscritti sono: Antonio da Rezzano detto Ferrarino, Alovise dalla Valle, Pietro Suliano detto Toresano, Antonio Manerio, console di Ziliano.

[ 471v] Marco de Attendolis, comissario Burginovi Piacentie.
Pur ogii ancora habiamo inteso che li homini di quella terra, overo molti de quilli venerdì proximo passato fecero grande eccesso in robbare le biade delli zentilhomini et cittadini de Piazenza, quali hanno le loro possessione in quelio territorio, et ulterius ferire alcuno delli dicti zentiihomini contra la dispositione della dechiaratione zà più di facta per noy cum deliberatione et iuditio del nostro Consiglio della ìustitia; la qual cosa come detestabile a nuy, n'é stata molestissima et per essa molto se siamo turbati. Et disponendo ripremere l'insolentia de quilli homini quali pare non temano né riverissino (a) Dio né Sancti, nì vogliano obbedire accosa gli scriviamo, volemo che, viste le presente, commandi alli infrascricti che socto pena de l ducati per uno da fi(r) applicata inrimissibiliter alla Camera nostra, infra tre dì poi il comandamento facto vengano qua da nuy personaliter, overo alli spectabili del Consiglio nostro della iustitia, et non si partano senza loro spetiale licentia; et se forte saranno desubidienti vogliamo scode statim la dicta pena da loro et ulterius li comandi sotto pena del doppio, siano qua, ut supra, et fatti obbedire. Et se pur non ti bastasse l'animo de farte obbedire, provederimo de uno altro locotenente lì a chi non manchi l'animo, perché é nostra vergogna et damno delli subditi quando alli officiali non fi obbedito, et maxime in executione de tante nostre lettere. Et perché non possiamo credere che siano tanto insolenti senza scudo de alcuno altro, vogliamo che detro habbi bona informatione, e tucto quello trovaray, subito ne scrive ad ciò possiamo provedere. Magnifico Antonio da Rezano dicto Ferrarino, Alovise dala Valle, Petro Suliano dicto Toresano, Antonio Manerio, consule de Ziliano. Data Mediolani, xv iulii 1454.
Cichus.

(a) Segue depennato.