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1777. Francesco Sforza ai Rettori di Bergamo 1454 luglio 18 Milano.

Francesco Sforza scrive ai Rettori di Bergamo in merito a quanto gli hanno denunciato contro Mario da Reate, podestà in Valsassina, accusato di aver dato oralmente licenza ad alcuni Bergamaschi di condurre biade, e di aver poi pigliato biade e bestie e investìto i conducenti con male parole. Inteso ciò, ha convocato per punirlo detto podestà, che, però, ha negatò di aver mai data alcuna licenza né di aver profferito tali parole, e si é detto pronto a sottostare a ogni genere di punizione se si provasse la verità dell'accusa. Sebbene il duca lo conosca non così temerario da esprimere tali frasi, lo manda da loro perché, trovandolo colpevole, lo sottopongano, con gradimento del duca, a qualsiasi punizione. Se, però, non gli si trovasse colpa alcuna, vuole che detti Rettori siano più cauti a prestar fede a ogni ciancia e chiude dicendosi in attesa di un loro chiarimento su questa faccenda.

Dominis Rectoribus Pergami.
A questi dì passati le vostre magnificentie ce notificorono littere che ser Mario da Reate, nostro potestà in Valasasina, havendo già asecurato et dato licentia a bocha ad alcuni Pergamaschi de condure certe biave, non attenta la secureza data, subinde gli pigliò, aut gli fece pigliare, et tore le biave et bestie, et più ultra usò, esso nostro potestà, alcune parole manco cha honeste, segondo il tenore d'esse vostre lettere, le quale intese, subito mandassemo per luy [ 474r] cum intentione de dargli quella punitione ne pareva meritare, perché a nuy non potria far cosa qual più ne spiacesse et rencrescesse che fare né dire cosa ingrata a quella illustrissima signoria, o ali suoi, li quali volemo sempre siano tractati non mancho bene e favoriti che le nostri. Et perché interrogato da nuy diligentemente sopra tale materia fa sua excusatione, dicendo che may non fu vero ch'eI gli assecurasse né dasesse licentia a boca, né usasse veruna cativa né ìnhonesta parola, subiacendose ad qualunque punitione, casu quo se trova essere vero quanto é dicto, et perché pur non lo cognoscamo così temerario che, sapendo lui l'opinione nostra verso quella illustrissima signoria, havesse usato quelle parole, havemo deliberato mandarlo ale vostre magnificentie; et così ge lo mandiamo ad ciò che, trovandose in defecto, faciano de luy ogne punitione dela quale restaremo contentissimi et piacerane; et quando non se trova essere vero, le vostre magnificentie saperanno quanto credere un'altra fiata a quelii reportano simile parole. Ben haveremo carissimo essere giariti per vostre lettere de quanto se troverà in questa materia. Mediolani, die xviii iulii 1454.
Ser Iacobus.
Cichus.