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326. Francesco Sforza al milite e oratore fiorentino Angelo Acciaioli 1453 ottobre 1 "apud Gaydum".

Francesco Sforza scrive al milite e oratore fiorentino Angelo Acciaioli di aver saputo da Americo Sanseverino che re Renato è partito da Milano per Melegnano venerdì, per essere a Lodi sabato e lunedì raggiungere Pizzighettone, ma che, non avendo pronti i suoi soldati, egli non ritiene di osservare questo ruolo di marcia, per cui passeranno giorni prima che passi l'Adda. Se alla ricevuta della posta, il re non s'è mosso, il duca vuole che Angelo vada dal re per dirgli di far pure come vuole, nonostante il "desconzo grandissimo" dei sudditi sforzeschi. Gli faccia ad ogni modo sapere che venendo presto, "la victoria de qua è apparecchiata et l'honore serà suo", mentre tardando "è dubbio che se possa fare quello male a l'inimici che speramo poterli fare".

[ 86v] Magnifico domino Angelo Azayolo, militi et oratori Florentino.
Per lettere de Americo da San Severino restamo avisati como la mayestà del Re s'è partita venerdi da Milano et veniva a Melegnano, sabbato a Lodi, et hogi, lunedì, veneria a Pizghetone et che, non havendo impuncto Ii suoy a suo modo, se rendeva alquanto difficile a fare queste zornate, perché, per havere tuti Ii suoy insieme, Ii pareva differire anchora alcuni dì più la venuta soa prima ch'el passasse Adda. Il perchè volemo, non obstante quanto per Zohanne Bono, nostro fameglio, ve habiamo mandato a dire delli modi havevati a servare nel passare dela mayestà prefata et delle altre nostre gente de qua d'Ada, se ala recevuta de questa nostra letera, la mayestà soa et voy altri anchora non fosti partiti per venire verso Cremona et cognoscesti che la mayestà del Re non havesse Ii suoy con sì, et che mal voluntere venesse de qua senza (a) tuti Ii suoy, siati con essa soa mayestà et Ii dicati che, parendoli anchora de tardare uno, doy o tre dì più el suo passare de qua per unire tuti Ii suoy, che la pò fare como Ii pare e piace, non obstante che aIe cose sonno da fare de qua et ali subditi nostri de Lodesana daghi dicto tardare desconzo grandissimo, como è verissimo. Volemo bene et ve confortamo ad usare ogni sollicitudine possibile con la dicta mayestà soa ad expedirse presto perché, venendo presto, la victoria de qua è apparecchiata et l'honore serà suo, et tardandose più è dubio che non se possa fare quello male a l'inimici che speramo poterli fare. Data apud Gaydum, die primo octobris 1453.
Irius.
Iohannes.

(a) senza in interlinea su con depennato.