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726. Copia di lettera che accusa Galeotto Ratti e altri officiali 1451 settembre 8 Milano

Copia di lettera in cui un anonimo accusa Galeotto Ratti, giudice delle vettovaglie, e gli officiali di cattiva e personale gestione della cosa pubblica.

Copia.
Illustrissimo signore mio, zelo de iusticia et ferventissima devocione et fede che io porto et sono obligato portare alla signoria vostra et al stato suo, me strenze a fare notitia a quella delle infrascripte cose nele quale ha grandissima colpa et defecto persone delle quale sono benivolo et amico et che in ogni altra cosa che non tochasse alla signoria vostra et al iusto et bono governo del stato vostro et de vostri subditi, maxime de questa vostra afflicta et meza consupta citade piutosto gli vorria coprire che accusargli et deffenderli a mia possanza fina a mettergli la vita per loro; ma como disse coluy: "Amico Socrate, amico Plato, più amica me è la verità, la iustitia", la signoria vostra et questa tribulata citade, et perché l'andare a Piasenza sole fare amici et la verità parturire odio, non me curo che la signoria vostra sappia al presente ch'io sia, che altra gratia non voglio da quella per questo, se non che quella gli facia suso quella consideracione gli parerà et provisione a suo piacere perché la soa cità sia governata con magiore contentamento de citadini che in ogni evento gli sarà più salubre et honore non è adesso, siando governate le cose a modo sono. Et se mei amici non fosseno in colpa voria che la signoria vostra me facesse mozare la testa, se quello io dirò non è lo vero. [ 168r] Et se la prefata signoria ne vorà prehendere informacione a mandare spia fidata in questa cità ad orechiare quello dicono, non solamente popolari, ma etiam boni citadini se alchuno gli n'è rimasto qui, et dico de quelli sono stati ad altro tempo et sono vostri veri et devoti servitori, a quali rencresce fina all'anima per respecto della signoria vostra, ma taceno talvolta per non farse inimici, trovare essere como io scrivo; la verità è, illustrissimo signor mio, che la consumptione fa questa pestilentia a questa vostra citade, summamente afflige et squassa li citadini, maxime la plebe, ma più li sbati de cuore vederse non guadagnare uno dinaro et le provisione essere cativissime, cossì in administracione de iusticia civile como in le victualie. Troppo se doleno de messer Galeotto Ratto, che se impaza de cose civile in fare favore, forza, rasone et torto a chi et segondo pare a luy, et purché bocca d'oro zuga, el pervertiria ogni dritto. Non è che luy non sappesse addure vellami de rasone ale cose fa et colori falsi, ma 'l facto è che la signoria vostra sa bene che non è alchuna cosa cossì iniqua nì iniusta che uno suo pare non sappia vellare; ma el meglio saria che non se impazasse del civile se non del stato, et de quello havesse da vuy speciale commissione, lassa pur fare a luy, ove el vede potere abochare, el fa la zana più largha che uno luppo più che scrivere non se poteria. El fa le più inique cose del mondo et ogni homo se ne lamenta et dicono ch'el non sapperà providere ali latrocinii et sceleragine se fano la nocte per Mediolano. Et curlarà bem qualchuno de bona fama senza indicio alchuno et altra testimonianza, solamente a suasione de qualchuno malivolo, che facia zugare el dido pollese. Ell'è anchora imputato de parcialità, ma io nel vero lo cognosco più partiale del dinaro che d'altro; et questo è lo vero. Alle victualie è questa previsione: ogniuno vende como voleno, li bechari non toleno se non tri soldi la livera della carne de vidello et dano meza de vacha per zonta et carne de bò uno dinaro l'onza; lo pane se fa mancho de pesa, sozo et mal sasonato. Lasso stare le altre victualie, che quando in queste dove la signoria vostra intende tale manchamento, pensare po' che debbe essere nel resto che non sono cose necessarie; ogniuno va per una lengua, ch'el vicario della provisione n'è casone che mangiaria tutto el mondo. Et si è lo vero, siande casone gli ha anchora el [ 168v] iudice delle victualie chi non è qui, et quello officio è a parte fra tri, zoè Boniforto Rosso, Antonio Morono chi ha el padre del vostro Consilio, et uno da Lampugnano datiero da carne. Mò che abbominacione è questa, onde se dice ogni dì questa canzone, che questa terra non fo may pezo governata quanto a cose civile non zà per manchamento della signoria vostra, ma per li officiali, che al'umbra de altri presumeno fare ogni cosa. Se dicesse cosa che dispiacesse alla signoria vostra, pregho me perdonati: zelo, iusticia, fede, devocione et fervore mel fa fare. Sempre a quella reccomandandome. Mediolani, viii septembris 1451.