Registro n. 7 precedente | 378 di 2129 | successivo

378. Francesco Sforza ad Andrea Dandolo, provveditore a Brescia 1452 aprile 6 Milano.

Francesco Sforza scrive ad Andrea Dandolo, provveditore a Brescia, e gli comunica di aver scritto a Gentile da Leonessa, suo governatore, nella speranza che intervenisse per riparare una "cosa dishonestissima" perpetrata da quelli del conte Giacomo Piccinino che portatisi di notte a Soresina nella casa di Giovanni Rubino, uomo d'arme ducale, gli rubarono in casa e gli tolsero dalla stalla quattro cavalli, non comportandosi diversamente "che se fosse stata guerra bandita et pubblica". Alla lettera scritta da Gentile da Leonessa per la restituzione della refurtiva, il conte Giacomo rispose che non avrebbe fatto nulla, perchè quatro giorni prima era stata fatta la stessa cosa ai suoi. Il duca ribatte che ciò non era vero e si dilunga a citare casi del pessimo comportamento da parte veneziano (un milanese a tre miglia da Milano viene derubato di danari e robe "de valimento de più de 300 ducati". Giacomo da Pontevico "tagliato ad peze" fra Caravaggio e Treviglio e tolto anche a lui "de valimento più de 300 ducati". Un fantaccino nei pressi di Crema viene fatto prendere da Giacomo Antonio Marcello e "gli ha facto dare molte et moltissimi squassi de corda et tenelo im presone").

Domino Andree Dandulo, provisori in Brixia.
Nuy scripsimo l'altro dì ad Zentile, vostro governatore, credendo ch'el remediasse ad uno inconveniente et una cosa dishonestissima che era stata facta ad uno delli nostri homini d'armi, parendone essere certissimi che ad vuy et ad luy dovesse essere rencresciuto simele atto: quanto luy gli habia remediato vuy lo intenderiti. Et primo lo acto et inconveniente che è stato è questo, che quilli del conte Iacomo vennero l'altra nocte ad Sorexina ad casa de Iohanne Rubino, nostro homo d'arme presente portatore, et tolsegli per forza quatro cavalli della stalla et robogli la casa et non altramente faceno che se fosse stata guerra bandita et pubblica. [ 98r] Et parendone esssere certi che al signoria, ad vuy et ad Zentile rencresesse simile acto, como havimo dicto de sopra, subito gli scripsimo credendo che li facesse restituire, et in scambio de restituire, ne responde in questa forma: che luy scripse una lettera al conte Iacomo persuadendogli ch'el dovesse rendere li cavalli ad questo homo d'arme, ma ch'el conte Iacomo ha resposto non volerli rendere, perchè pochi dì inanzi erano stati tolti quatro cavalli alli suoy in simele forma. La qual cosa non è veramente, perchè de quilli che sonno fuziti, in fuora che siano stati in suso lo nostro terreno, non se trovarà may che niuno delli nostri sia vinuto in lo terreno vostro a torre per forza, como hanno facto quisti vostri, et quando lo havesse facto, nuy non lo haverissimo comportato et haverissimo castigato chi lo havesse facto, anzi ne havimo facto rendere molti et moltissimi de quilli che se ne sonno fuziti, et cussì haverissimo facto, sempre se fosse stato facto lo simele ad nostri. Sichè non ne pare che questa excusa baste a dire che non voglia rendere quisti cavalli, perché è stato facto cussì ad quilli del conte Iacomo, perchè questa è stata scusa per non rendere li cavalli, et non è raxonevele, quando se fa uno male, che solo una simplice excusa basta ad non restituire la robba, perché la excusa vole essere vera et non ficta, et trovare la verità. Et pertanto quilli che dicono che gli sonno stati tolti li cavalli per forza vengano da nuy et dicano perchè et in che modo gli sonno stati tolti et chiarificano la cosa, como fa questo nostro, perchè non gli mancharà niente del suo. Et niente de meno piaciave de fare rendere li cavalli al nostro homo d'arme, che sonno stati tolti in acto como guerra publica, et quando non gli siano renduti, nuy tenerimo questa cosa volere dire altro et ne serrà necessario de demostrare che questo acto non ne sia rencresciuto. Basta bene che ne havimo comportato che ad uno nostro citadino de Milano sia stato rubato, fra dinari et cose portava adosso, de valimento de più de 300 ducati, sulo nostro terreno presso ad Milano tre miglia dalli vostri fanti ad pe', del che ne siamo doluti preso li vostri rectori delle citade et anche proveditori et capitaney, [ 98v] et non è stata voluta fare raxone, et sonno in le terre vostre et se sa chi sonno, perché gli hanno mogliere et figloli. Anchora uno homo d'arme deli nostri, (a) chiamato Zo(r)zo da Ponte Vicho, è stato tagliato ad peze fra Caravazo et Trivì, andando como se fa de qua et de là, et non per altro, et toltogli de valimento de più de 300 ducati, che alli vostri è fatto honore et cortesia per tucto lo nostro paese. Anchora uno nostro fante ad pe', compagni de Iacomo d'Arquà, passando de fora de Cremma, messer Iacomoantonio Marcello, mandò per luy et gli ha facto dare molte et moltissimi squassi de corda et tenelo im presone, che quando lo havesse facto cum raxone, et ch'el fosse venuto per qualche tractato o per desviare alcuno delli vostri et lo havesse impichato, nuy ne serissimo stati patienti, perchè lo simele faressimo alli vostri, quando venisseno in lo nostro terreno per fare simele cose. Moltissime cose gli sonno de simele natura, ma dicimo questa, perché è più nova et mò gli è questa ultima, sichè, ad stare (b) queto et comportar ogni cosa, el saria uno dare exempio ad ogniuno che ne venisse ad torre lo pane denanze quando mangiassemo. Nuy siamo ben contenti de havere monstrato et monstare ad ogniuno che da nuy non sia manchato nè mancha lo ben vivere, ma non de comportare che ne siano facti simili acti. Sichè piaciavi de fare restituire li dicti cavalli al nostro homo d'arme et fare relaxare quello fante a pe', destinuto in Cremma et provedere ad tucti questi inconvenienti, ad ciò che non se habia casone de incorrere in qualche sinistro et inconveniente. Data Mediolani, die vi aprilis 1452.
Persantus.
Cichus.

(a) deli nostri in interlinea.
(b) Segue questo depennato.