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563. Francesco Sforza a Simone da Spoleto 1452 giugno 21 "apud Castrum Gonellarum".

Francesco Sforza conferma a Simone da Spoleto di avere inteso quanto Lallo da Orte va dicendo: č un suo modo di attestare ingratitudine verso chi gli č stato cortese. Passi tutto, ma non tollera che quegli uomini perorino da lui quello che loro spetta, e li paghi come "rasone et honestā" esige. Lo avverte che la scorreria che Carlo ha fatto in quel di Leno, č avvenuta con il consenso del duca in contraccambio delle beffe che i Lenesi si son fatti di lui. Avverta gli uomin di Manerbio che se riceveranno danno da quei di Leno ne farā loro scontare il doppio. Consegni agli uomini i mulini della terra e non permetta che vi si intromettano i soldati.

[ 147r] Ser Simoni de Spoleto.
Havimo recevuto le tue lettere et inteso quanto tu ne scrivi de Lallo da Orte, quale ha predicate et usate quelle parole cum quilli nostri homini cum dire che tornarā anchora ad alogiare lā, et cetera. Dicimo che ha facto bene, propriamente da homo ingrato, havendoli nuy (a) usato cortisia et piacevoleza, et luy facia el contrario, nč gli volimo perhō per questo fare altro. Ma quanto alla parte che li homini nostri rechedeno el dovere et quanto debbeno havere da luy, dicimo che ne pare molto bene rasone, et sebene li havimo concesso salvoconducto per luy et sue robbe, non č perhō che vogliamo preiudicare alle rasone delli homini nostri, sichč providi pur honestamente che li homini siano pagati como vole la rasone et honestā. Alla parte de quilli da Leno, te advisamo che Carlo ha facto la correria de nostro consentimento, perchč quilli homini se hanno facto beffe de nuy, advisando quilli nostri homini da Manerbio che, se receveranno damno alcuno per casone de quilli da Leno, ghe lo farimo rifare in duplo per quilli da Leno. Alla parte delli molini della terra, volimo che omnino tu ne consingni uno alli homini, como tu ne scrive, et quello non lassaray operare nč occupare per soldati, ma solo per li homini. Ex felicibus castris nostris, apud Castrum Gonellarum die xxi iunii 1452.
Ser Iacobus.
Cichus.

(a) Segue corte depennato.