Moltiplicazione dei pani e dei pesci

Fetti, Domenico

Moltiplicazione dei pani e dei pesci

Descrizione

Autore: Fetti, Domenico (1589 ca.-1624)

Cronologia: ca. 1620

Tipologia: pittura

Materia e tecnica: tela/ pittura a olio

Misure: 853 cm x 356 cm

Descrizione: Lunetta realizzata in origine per decorare la parete di un refettorio conventale.

Notizie storico-critiche: Attorno al 1620 Domenico Fetti dipinge questa grandiosa lunetta per il refettorio della chiesa di Sant'Orsola, fondata da Margherita Gonzaga d'Este, alla cui morte (1618) l'artista compone anche un componimento poetico, allegato all'orazione funebre (SAFARIK 1990, p. 333 n. 22bis). Nel convento delle orsoline il quadrone è segnalato per la prima volta da CADIOLI (1763 , pp. 74-76): a nessuna opera d'arte egli dedica nella sua Descrizione tanto spazio e tante lodi. Nel 1786 Giovanni Bottani include la tela tra quelle da portare nel Regio Ginnasio: lì essa è nel 1793 quando la vede LANZI (1793 [ed. 2000], p. 164), che appunto la descrive "Nello [-] studio"; lo stesso LANZI (1795-1796, p. 248) in seguito segnala "la Moltiplicazione de ' pani è ora nell'accademia di Mantova; pieno di figure veramente grandi piuttosto che grandiose; ma variate, scortate, colorite da buon maestro". La lunetta sarebbe giunta presso la biblioteca nel 1794, secondo la SICOLI (1998, p. 304), ma forse non prima del 1799, quando Volta per lettera ne chiede appunto lo spostamento (cfr. p. 13). Attorno al 1794 comunque la Moltiplicazione dovrebbe essere stata restaurata; un secondo intervento è documentato nel 1863, quando la tela è inviata, assieme al tizianesco Cristo che appare alla madre di Medole, a Venezia. Nel 1892 il lunettone è trasferito, assieme al Tempio della Trinità di Rubens, nel Museo Civico presso il palazzo Accademico (cfr. p. 29); lì un nuovo restauro è effettuato nel 1911-1912, alle soglie del trasferimento in palazzo Ducale, che avviene nel 1915 (TAMASSIA 1996, p. 59), anche per motivi di sicurezza, vista l'entrata dell'Italia in guerra. Nel 1917 la Moltiplicazione è temporaneamente ricoverata a Firenze, e da lì torna entro il 1921, per essere nuovamente restaurata, proprio nel 1921, nel palazzo Ducale dove da allora è esposta (TA MASSIA 1996, p. 49). Il soggetto è tratto ovviamente dai Vangeli (Mt 14,1 3-21; Mc 6,34-42; Lc 9,13-17; Gv 6,5-13). La composizione è la più articolata tra quelle dipinte da Fetti, un hapax in un catalogo formato per lo più da opere di grandezza media o piccola. Per articolare la composizione l' artista si è ispirato alla pittura del Tintoretto e in particolare ai soffitti della scuola veneziana di San Rocco. Tre gruppi di figure occupano l' enorme lunetta, posti in geometria triangolare: a lati due gruppi più avanzati e al centro uno più arretrato, nel quale spicca la figura di Cristo intento a saziare le turbe. La pennellata rimarca la collocazione spaziale: più compatta e densa nei primi piani, più filamentosa, rapida ed evanescente nel secondo piano, mentre le forme sono quasi solo suggerite nella lontananza. Dopo una proposta iniziale della ENDRES-SOLTMANN (1914, p. 30) al 1615-1616; NEUMANN (1966-1967, pp. 68 e 74 nota 25) sulla base di a me ignoti documenti indicatigli dalla Perina, afferma che la tela esisterebbe già nel 1616; la critica recente tende invece una datazione verso il 1620 e SAFARIK (1990, p. 19) ha supposto che un pagamento effettuato nel 1619 dalla corte a favore di Fetti sia un anticipo per lo straordinario incarico. Nessun dubbio è stato mai espresso circa la paternità dell'opera, ma varrà la pena segnalare che presso la Fototeca della Fondazione Roberto Longhi le foto della lunetta recano sul retro, per mano dello studioso, annotazioni col nome di "Monsù Bernardo", ossia Keilhau: certo a suggerire un'affinità stilistica col pittore danese, che LONGHI nel 1938 mette in relazione con Fetti. Anche Volpe (in Mostra di Opere Restaurate 1980, p. 32) insiste nell'accostare Fetti agli artisti d'Oltralpe, in particolare quelli attivi a Roma agli albori del XVII secolo; a questa determinante influenza lo studioso aggiunge quella della pittura romana e fiorentina del tempo, escludendo invece - anche per un'opera matura come la nostra - qualsiasi tangenza con l'arte veneziana. La proposta di rintracciare nel Cristo della Madonna del popolo del Barocci agli Uffizi, il modello per il Redentore della nostra tela (MORSELLI 2009, p.188), non mi persuade. È stato proposto di indicare nella figura all'estrema destra del dipinto un autoritratto (E.A. Safarik, in Domenico Fetti 1996, pp. 173-177), ma non è il solo volto rivolto a noi: anche il giovane nel margine sinistra, sopra il vecchio con berretto rosso, ci punta lo sguardo. LEHMANN (1967, p. 96) suggerisce che, nella turba da sfamare, la figura femminile che con la mano indica Cristo possa essere un ritratto di Margherita Gonzaga. Ma la donna era verosimilmente morta, quando il lunettone viene dipinto. La GRISERI
(1966, p. 17 8) suggerisce un accostamento tra un disegno di collezione privata, che attribuisce a Fetti, e la "Caduta della manna", titolo col quale immagino voglia riferirsi al lunettone; l'abbinamento è improprio e anche l'attribuzione a Fetti del foglio, ora conservato a Stoccolma (National Museum, inv. NM 277/1968), è stato a ragione messa in dubbio (BJURSTROM 1979).(L'OCCASO 2011,pp. 308-309). (PROSEGUE IN OSS)

Collezione: Collezioni pubbliche del Museo Ducale di Mantova

Collocazione

Mantova (MN), Museo di Palazzo Ducale

Credits

Compilazione: L'Occaso, Stefano (2009)

Aggiornamento: ARTPAST (2009); Montanari, Elena (2012)

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