Il pluralismo. Razionalismi e classicismi

p. Fotografia di Emilio Sommariva: Milano - Arengario in costruzione; Biblioteca Nazionale BraidenseUn desiderio mancato ed un’attesa delusa, quelli del razionalismo e della sua elezione ad architettura di Stato. Se, infatti, il movimento ha facoltà di espressione all’interno della politica edilizia fascista e, a tratti, sembra la linea vincente appoggiata dallo stesso Mussolini, i grandi concorsi romani decretano la vittoria di un’architettura più tradizionalista, in grado di conciliare la modernità con la monumentalità classica ed in particolare romana, necessaria allo spirito conservatore del regime e funzionale alla sua retorica celebrazione. La rappresentazione dell'impero è dunque affidata al cosiddetto _Stile Littorio_, intransigente e puro. Marcello Piacentini ne fornisce un’interpretazione con il suo _classicismo_ schematizzato ed imponente, definito dall'uso di materiali quali il marmo e il travertino, e di elementi tratti dalla storia, come gli archi o gli alti colonnati, sottoposti a stilizzazione e reiterati. p. Fotografia di autore non identificato: Milano - Palazzo della Camera Confederale del Lavoro, già dei Sindacati fascisti dell'industria in Corso di Porta Vittoria, post 1932; Civiche Raccolte d'Arte Applicata ed Incisioni, Civico Archivio FotograficoUna sconfitta anticipata dagli scontri ideologici originatisi in occasione della seconda Esposizione Italiana di Architettura Razionale, nel 1933. Ad infervorare gli animi dei combattivi architetti del regime è un’opera controversa presentata dai principali protagonisti del movimento: la "Tavola degli Orrori", un collage di tutte le realizzazioni sorpassate dalla nuova poetica razionalista e di quei classicismi, o presunti tali, della tradizione architettonica italiana. L’inclusione in questo elenco di _orrori_ di alcune opere di Piacentini decreta lo sdegno della componente istituzionale dell’esposizione e lo scioglimento definitivo del MIAR. p. Fotografia di Alberto Modiano: Milano - Palazzo di Giustizia, post 1940; Archivi dell'Immagine - Regione LombardiaIntanto, a Milano, direttamente nel cuore cittadino, l'architettura fascista erige i simboli del potere di cui si fa portavoce. Incide sull'assetto urbano della città con l'apertura di nuove vie e nuove piazze, di cui un esempio è piazza Diaz, e realizza le strutture rappresentative della nuova Italia, primo tra tutti il "Palazzo di Giustizia":http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/3m080-00054/ progettato da Piacentini. Su questo scenario, alcuni architetti, come Giovanni Muzio, Piero Portaluppi e Gio Ponti, tentano di rispondere problematicamente alla richiesta di compromesso avanzata dallo stesso regime, modulando il proprio linguaggio novecentista. Rispecchiano le tensioni e le ambiguità connesse alle istanze fasciste edifici come il "Palazzo dell'Informazione":http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/3m080-00096/, progettato da Muzio in piazza Fiume, ora piazza Cavour, e l' "Arengario":http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/3m080-00071/, concepito da un eterogeneo gruppo di architetti a completamento delle sistemazioni di piazza Duomo, dove il richiamo simmetrico alle logge medioevali e rinascimentali tenta un faticoso dialogo con l'eleganza classica di Palazzo Reale. L'eco littoria si fa sentire anche nella massiccia edificazione di strutture destinate all'istruzione primaria e secondaria, alla cultura ed alla ricreazione fisica, come le "scuole":http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/ricerca/?provincia=&comune=milano&intestazione=&tipologia=3-64&autore=&annop=&annoa=&libero=&what=ib, le palestre, le "piscine":http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/ricerca/?provincia=&comune=milano&intestazione=&tipologia=3-50&autore=&annop=&annoa=&libero=&what=ib e gli ospedali.Vanto e gloria della nuova Milano fascista. E mentre la _storiografia militante_ comincia a celebrare le _epiche_ imprese del razionalismo, sono molte a Milano le architetture costruite secondo un approccio meno rivoluzionario, che non bandisce le decorazioni e gli elementi convalidati dall’uso e suggeriti dalla storia. Se ne riconosce la presenza percorrendo le vie cittadine con lo sguardo rivolto alle facciate che le incorniciano.