Alcune tecniche della fotografia astratta

La fotografia astratta investe tutto un mondo di sperimentazioni declinato sostanzialmente lungo due filoni di ricerca; da un lato l’impiego di tecniche diverse da quelle tradizionali al fine di indagare le possibilità espressive del mezzo fotografico, dal fotogramma ai movimenti della camera, dal mosso all’elaborazione digitale; dall’altro l’utilizzo della normale ripresa fotografica, rivolta però ad aspetti della realtà che già offrono allo sguardo forme astratte, senza necessità di ricorrere a elaborazioni o trattamenti particolari. Molteplici ed eterogenei gli orientamenti tecnici di cui troviamo testimonianza nel Fondo Colombo: i fotogrammi in bianco e nero, o a colori, di Luigi Veronesi; le sperimentazioni geometriche e ottiche di Franco Grignani; i movimenti di macchina di Paolo Monti; i chimigrammi, pirogrammi, idrogrammi e cliché-verre di Nino Migliori. E ancora: i fotogrammi di Floris Neusüss; i chimigrammi di Pierre Cordier e di Olivo Barbieri ai suoi esordi.
Luigi Veronesi, Sovrimpressione, 1957Franco Grignani, "Uomo scala". Sperimentale di filtro, 1950 / stampa 1978Paolo Monti, Senza titolo, metà anni Floris Neusüss, Fotogramma, seconda metà anni Nino Migliori, Pah, 1977
I *fotogrammi* sono stampe fotografiche realizzate senza apparecchio (off-camera), posando gli oggetti direttamente sul supporto sensibile sotto l’azione della luce visibile o di altre sorgenti di radiazioni elettromagnetiche. Essenza stessa della fotografia, il fotogramma rivela che essa è – prima che imitazione o riproduzione – traccia luminosa. Realizzati in prevalenza su carta, si possono trovare anche su vetro e su pellicola. Del fotogramma Man Ray scrive nel 1928: “Quel che però adesso mi interessa di più è quello che forse definirei il _rayogramma_, l’impressione diretta dei raggi luminosi, creatrice di invenzioni pure, tecnica di una precisione che la pittura non raggiunge”. Moholy Nagy, autore dell’importante libro _Pittura fotografia film_ (1927), nel 1932 descrive sinteticamente il fotogramma come “visione astratta mediante registrazione diretta delle forme prodotte dalla luce: il ‘fotogramma’ che capta le gradazioni più delicate della luce sia nella gamma dei chiaroscuri sia nella gamma dei colori”. In realtà né Man Ray né Moholy Nagy né altri artisti del periodo parlano esplicitamente di “fotografia astratta”, ma piuttosto di forme, strutture, e soprattutto di azione e di composizioni di luce, del fotogramma come modo per trasformare le forme degli oggetti in tracce di luce, energia, organizzazione luminosa dello spazio. I fotogrammi ebbero grande fortuna in Italia nella traduzione che ne fecero, a partire dagli anni Trenta, artisti e grafici quali Veronesi, Grignani e Migliori.

Floris Neusüss, Fotogramma, seconda metà anni '60

Floris Neusüss, Fotogramma, seconda metà anni '60

Luigi Veronesi, Fotogramma, 1978

Luigi Veronesi, Fotogramma, 1978

Tecnica messa a punto nel 1956 da Cordier, i *chimigrammi* sono immagini ottenute senza macchina fotografica, con l’azione diretta di prodotti chimici su emulsione fotografica: il supporto è ricoperto da un prodotto sensibile che si corrode sotto l’azione di soluzioni liquide. La reazione fotochimica risultante può essere controllata tramite l’applicazione localizzata di sostanze che limitano la penetrazione delle soluzioni. L’assenza di riproducibilità fa del chimogramma un oggetto unico.

Pierre Cordier, Chimigramme, 1979

Pierre Cordier, Chimigramme, 1979

La tecnica del *cliché-verre*, già utilizzata nel secondo Ottocento da Corot che la trasforma in una nuova espressione grafica, consiste essenzialmente nell’utilizzare le proprietà della lastra fotografica in vetro che, ricoperta di una sostanza fotosensibile e poi grattata con punte di diverso materiale o con una rotella, viene stampata secondo la volontà dell’artista.

Nino Migliori, Cliché-verre, 1950

Nino Migliori, Cliché-verre, 1950