Il rumore della guerra

*Tappa nona da Cerese a Pietole nuovo* *(al 23 luglio)* Stanchi, infreddoliti, inzuppati, pieni di una quantità di fango che seccandosi sulle divise li rende dei ridicoli fantocci, digiuni dal giorno prima stanno stendendo i panni di lana al sole quando ricevono l’ordine dal generale Poerio di portarsi da Cerese a Pietole a due miglia da Mantova per completare il blocco della città e si parte subito: l’ordine è imperioso. La strada è pericolosa ed è un contadino a indicare una scorciatoia più scomoda ma sicura per non porgere il fronte ai cannoni del nemico; la truppa sarda li scorta. Si cammina per 5 ore per 8 miglia. bq. Chi in quella giornata si fosse scontrato coi nostri battaglioni, se pure così potevasi chiamare una massa di 1500 giovani sparuti nel volto di forze sfiniti e d’abiti assai malconci camminare l’un dentro l’altro… a tutta ragione ci avrebbe scambiato per gl’avanzi d’un corpo in ritirata dopo una piena rotta… Per fortuna non li vede nessuno perché la strada è troppo pericolosa e deserta per la paura degli Austraci. Genebardo è affamato, come può esserlo un ragazzo di ventun anni; nello stomaco ha solo due limoni da quasi due giorni, lui e i suoi commilitoni sono _…sfiniti domandatasi pane ma l’imperizia dei governatori a nulla aveva provveduto_; si attendono le vettovaglie e quando arrivano è un assalto ai carri: _la loro vista fu come segnale d’un saccheggio_. bq. La voce dei capi non era ascoltata. L’istinto solo imperava e prevalse in un momento i carri furono sollevati del loro peso. Fu cosa veramente straziante il vedere il fiore della Lombarda Gioventù gittarsi affamati su quelle crude carni sul formaggio e vino, l’un l’altro respingendosi per arrivare primi a ghermire cibo: venne poscia distribuita legna per cuocere le carni, e una specie di brodo, alla vista nauseoso con essi si fece della minestra. Stavamo divorando quell’orribile pasto ma la fame indiavolata che ci rodeva rese eccellente quando alcune palle del cannone di Mantova vennero ad augurarci il ben’ arrivato. Nel tempo stesso voci d’allarme ci vennero dagli avamposti e un fuoco di fila d’una sortita dalla fortezza. Abbandonato il rancio schierati a battaglia sotto le armi aspettavasi… stanchezza e fame furono dimenticate.
bq. I colpi serpeggiavano: qui il campanile battuto da varie palle in più luoghi screpolando minacciava di cadere. Una bomba venne a scoppiare a poca distanza da noi senza portarci però danno alcuno. Quella musica nuova alle nostre orecchie, d’apprima ci sbigottì, ma breve fu la tema, poscia c’infuse coraggio e ardore. Eccola finalmente la battaglia: Genebardo, corre e scappa, si defila, si protegge dalla pioggia di colpi; non è in prima linea, sembra in balia di ordini talvolta avventati e di impeti giovanili e imprudenti. Ma la guerra a due passi da lui c’è, e fa le sue vittime. bq. Un aiutante del generale Poerio arriva a briglia sciolta comunicati brevi ordini al nostro colonnello e parte. Non v’era tempo a congetture: il colonnello ci rivolse poche ma calorose parole disse esser forse giunto il momento di mostrare le nostre armi al nemico che tentava una sortita da Mantova: per essi assicurati che le nostre armi erano ben pronte e che le giberne ben fornite di cartuccie il colonnello ci ordinava battaglioni attenzione! Spall’arm! portat’arm! Pel fianco destro! Per fila sinistra! Al passo di carrica! March! E per una stretta viuzza preceduti dal Colonnello ci portammo di corso al luogo destinatoci… Il sentiere sul quale stavamo sfilati conduceva direttamente alla fortezza… Posizione peggiore per la difesa ed offesa non poteva essere scielta. I canoni di Pietole con pochi colpi ci potevano fulminare, ma ciò fare ristette. Da mezzora stavamo in aspettativa numerando le palle che venivano scagliando da Mantova verso il campo sardo. Avvisati gli Austriaci dal luccicare delle baionette che scintillanti riverberavano i raggi del sole e da un imprudente grido viva l’Italia e la libertà strappatoci dall’ardore di pugna della presenza del nostro corpo su di noi diresse il fuoco. Molte palle si seguirono senza nostro danno: venne il generale Perrone e ordinava la ritirata, Poerio vi si opponeva godendo della festa e fu caso che non rimanesse offeso da una palla che venne a cedere al suo fianco: deve salvezza al suo cavallo che impennandosi lo portava fuori dalla mira. Fuggiva il generale a quel saluto confermando l’ordine di ritirata, ma era tardi; uno scoppio terribile di bomba per lungo tempo oscillò per l’aria: alcune scheggie di ferro fino a me giunsero (centro della linea) alla bomba successo tosto un vivo cannoneggiamento diretto su di noi [n.c.] accelerata la ritirata e per fianco sinistro! Passo di carica! Ricalcammo la strada poco prima battuta. La ritirata dapprima seguì con ordine, ma sollecitati dalle palle nemiche che di continuo cadevano ai nostri piedi, ordinata la corsa alla rinfusa guadagnammo la cascina. bq. Nella ritirata ebbesi notizia essere rimasti sul campo alcuni dei nostri. Riordinate le file sifè ritorno all’accampamento. La giunti ci ripresentò triste spettacolo 5 o 6 dei nostri quel sorretto a braccia, quale su improvvisate lettighe più o meno feriti dalla bomba di anzi scoppiata. 3 della prima compagnia già erano morti sul campo dalla stessa bomba assai turpemente mutilati. Della causa di quell’allarme che ci costò 4 o 5 vittime, fu una sortita operata da piccolo corpo di Cavalleria queste che di frequente assalivano le truppe sarde senza altro scopo che di molestare le loro operazioni… La compagnia fa ritorno al campo e non può far altro che proteggersi mentre le palle di cannone piovono come grandine. Seguono giornate di calma e perfino noia interrotta da qualche falso allarme, mentre iniziano a serpeggiare la sensazione che la causa sia perduta. bq. Nove lunghe giornate contammo accampati la sotto le baracche da noi stessi fabbricateci con rami svelti e tagliati a danno della circostanti piantaggioni e loro proprietari. La noia era interrotta dal turno di sentinella morta, da qualche falso allarmi dall’allerta ripetuto ad ogni quarto d’ora e che gridato successivamente da sentinella a sentinelle, dal campo al forte e dal cannone di Mantova che l’alba e il tramonto d’ogni giorno salutava. Un bel genere di vita durò fino al 23. La mattina del 22 aveva attirata la nostra attenzione un lontano cannoneggiamento che durò quasi tutta quella giornata; soppesi poi che era il combattimento di Rivoli favorevole pei nostri. La sera del 22 circolava sommessa per le baracche la voce che fosse giunto l’ordine di trasportare il campo fino a Governalo. La notizia non piacque: essa ci avvertiva della cattiva piega che prendevano gli avvenimenti e ne fummo rattristati. Lasciando Pietole ci sembrò di abbandonare la causa che alla nostra bandiera ci univa e che questa fosse perduta. Sgraziatamente così fu.