342. La Famiglia agricola

Sottotitolo Periodico agrario-industriale-economico-morale. Organo dell'Istituto e della Colonia agricola degli artigianelli (Brescia) poi Periodico agrario-morale-industriale-commerciale della Colonia agricola dell'Istituto artigianelli (Brescia) poi Periodico agrario-morale-industriale-commerciale poi Periodico agrario-morale-industriale-commerciale. Periodico settimanale pratico di moderna agricoltura poi Periodico tecnico-pratico di moderna agricoltura poi Periodico tecnico-pratico di moderna agricoltura. Organo della Colonia agricola e Scuola agraria "P. Bonsignori".
Luogo Brescia.
Durata 17 ottobre 1896 (a. I, n. 1) - 15 luglio 1942 (a. XXXIX, n. 26*). Presumibilmente la pubblicazione non esce tra il 1913 e il 1920 malgrado la continuità delle serie annuali non lo registri.
Periodicità Settimanale poi quindicinale poi trimensile poi settimanale.
Direttore Francesco Gorini poi Giuseppe Butturini poi Pietro Cerutti.
Gerente Nessuno, poi Daniele Perlotti poi Giuseppe Battagliola poi Ottorino Scalini.
Editore Daniele Perlotti (proprietario responsabile) poi nessuno.
Stampatore Brescia, Tip. Queriniana poi Asola, Prem. Tip. Scalini, Carrara e C. poi Brescia, Tip. Vescovile Queriniana dell'Istituto artigianelli.
Pagine Da 4 a 10.
Formato Da 43x32 cm a 29x21 cm.

Con la nascita della Colonia agricola di Remedello Sopra diretta da padre Giovanni Bonsignori - direttamente collegata all’Istituto degli artigianelli di Brescia presso cui hanno sede l’amministrazione della rivista e la Tipografia queriniana - prende corpo l’idea “di dar vita ad un periodico il cui scopo fosse quello di istruire con chiarezza e semplicità la classe degli agricoltori intorno al modo di coltivare le nostre terre per ritrarne con minor disagio e maggior compenso tutta quella ricchezza che le fertili plaghe italiane nascondono in seno” (Un po' di storia, 17 ottobre 1896). Indirizzato espressamente alle famiglie cristiane, perché “si informino ai veri principî di ordine e di morale, e vangano istruite in tutto ciò che riesce loro giovevole nel governo della casa, dei campi, del commercio, dell’industria” (Programma, 17 ottobre 1896), la «Famiglia agricola» opera a favore della diffusione di metodiche razionali e di criteri scientifici nella pratica agricola, informando però questo intento ai principî del paternalismo clericale: “Accresciuta la produzione dei campi e migliorata l’economia delle famiglie, i poveri coloni, per una conveniente agiatezza miglioreranno nella sanità e nelle forze, diverranno meno facile preda delle allucinazioni del liberalismo e del socialismo massonico. Educati ai santi principî cattolici nella modesta e tranquilla vita dei loro campi, si manterranno virtuosi, amanti del loro lavoro, rassegnati, anzi contenti del loro stato” (Autorevole incoraggiamento di monsignor vescovo alla «Famiglia agricola», 17 ottobre 1896, e, sulle stesse tematiche, L’agricoltura e il clero, 17 ottobre 1896).

Oltre quindi ai numerosi articoli tesi da un lato a rafforzare la moralità dei contadini contro i pericoli dell’alcolismo, del gioco e delle leghe rosse, e dall’altro a mettere invece in luce le benemerenze della Chiesa cattolica a favore della classe rurale, la rivista dedica gran parte delle sue pagine alla diffusione di nozioni pratiche di bachicoltura, gelsicoltura, cerealicoltura, caseificio, concimazione, enologia, frutticoltura, pollicoltura, viticoltura, zootecnia e giurisprudenza, alternandole alle numerose tabelle dei prezzi raggiunti dai vari prodotti agricoli sui principali mercati dell’alta Italia. Si aggiungono inoltre le rubriche “Quesiti e risposte” e “Piccola posta”, “per aver campo di trattare più praticamente i casi che nell’azienda agraria occorrono” e, a partire dal 1902, “Affari di famiglia”, rubrica di inserzioni per la vendita e l’affitto di poderi, e “Cronaca”, nella quale, “dispensati dal trattare interessi strettamente locali, si compendierà tutto ciò che di più importante, vantaggioso e interessante si agita nel mondo agricolo”.

A partire dal 1897 il periodico pubblica una lunga serie di “brevi, ma popolarissime conferenze, rivolte in modo specialissimo ai piccoli proprietari, coloni e mezzadri, onde persuaderli ed istruirli a seguire il nuovo metodo Solari di fertilizzazione dei terreni” (24 gennaio 1897), articoli firmati per lungo periodo da G. Bonsignori, principale divulgatore dei principî agronomici di Stanislao Solari, ampiamente propagandati sulla «Famiglia agricola» per tutti i suoi lunghi anni di pubblicazione.

I contratti agrari, e soprattutto “il contratto di affittanza vigente in quasi tutta la parte piana ed irrigua dell’alta Italia” (Contratti agrari, 2 febbraio 1899), vengono in più occasioni studiati per saggiare la loro influenza sul progresso agricolo nazionale, “se lo inceppino in dannose ed inutili restrizioni... o se rispondano veramente alle esigenze agraria del giorno” (Contratti agrari, 2 febbraio 1899); in particolare gli affitti collettivi vengono considerati “atti a favorire lo sviluppo della nuova remuneratrice agricoltura, una potente leva per rialzare moralmente e materialmente gli agricoltori, e della massima utilità anche per i proprietari stessi” (Fragor, Gli affitti collettivi, 24 ottobre 1901 e, sul medesimo argomento, G. Bonsignori, Cooperazione e affitti collettivi, 15 giugno 1905); e ancora, sulle necessarie modificazioni che i patti colonici devono subire in relazione alle nuove metodologie agraria, Per la mezzadria moderna, 3 agosto 1899 e La nuova agricoltura e i trattati di mezzadria, 1° aprile 1909.

Sulle sue pagine si trovano poi sviluppate molte delle tematiche che stanno alla base dello sviluppo del movimento sociale cattolico, ed in particolare del carattere cooperativistico assunto in breve dallo stesso; numerosi dunque gli scritti tesi ad illustrare i vantaggi della cooperazione, intesa come pratica “che tende a scemare l’ineguaglianza delle fortune, non col diminuire il capitale del ricco, che è sacro, ma coll’aumentare il patrimonio del povero... e che non ammette la parola rivendicazione e non vuole società collettiviste a base di delitto” (Alpinus, La cooperazione nei paesi alpini, 14 giugno 1900 e seguenti). Verso quindi i contadini “soffocati dagli artigli dell’usura” propugna in più punti la necessità dello sviluppo delle casse rurali cattoliche, in quanto “a noi principalmente sacerdoti tocca di andare a loro con alcuno di quei molteplici mezzi che saprà additare la cooperazione cristiana. Usciamo dunque dalle sacrestie ed operiamo a seconda delle nostre forze!” (Id., 12 settembre 1901). La categoria alla quale i vantaggi dell’associazionismo devono essere maggiormente propagandati è quella dei piccoli proprietari terrieri, “dei conduttori di proporzionati poderi: perché è nel favorire la piccola proprietà privata che sta, a nostro parere, la chiave dello scioglimento del problema sociale” (Riforma agraria?, 1° febbraio 1900).

Sulla questione del dazio sul grano la rivista si attesta su posizioni di netta difesa del protezionismo granario che, per lunghi anni e soprattutto a seguito del progresso tecnico reso possibile da forti investimenti di capitali, offre alla cerealicoltura della pianura padana la possibilità di conseguire elevati profitti: “L’agricoltura nazionale senza il dazio verrebbe rovinata dalla concorrenza estera trascinando nella rovina non solo i 5 milioni di proprietari di terre, ma oltre un milione di mezzaiuoli, circa mezzo milione di affittaiuoli e danneggiando ancora circa 3 milioni di salariati agrari, i quali vedrebbero subito abbassarsi il salario qualora i proprietari non potessero più corrispondere quelli attuali” (G. Bonsignori, Il dazio sul grano, 21 febbraio 1901).

Con frequenza vengono pubblicate le Proposte presentate al Consiglio provinciale di Brescia dal consigliere provinciale Giovanni Bonsignori ai fini della “resurrezione economica” della provincia bresciana, gravata dalla “misera produzione della massima parte delle terre, dalla mancanza quasi assoluta di industrie agrarie, dai pericoli che sovrastano le nostre preziose coltivazioni, dall’avvilimento del prezzo del nostro bestiame, dalla pochezza del valore che hanno in generale le nostre terre, e quale conseguenza di tutto questo, dal malessere generale fisico, economico, morale” (5 ottobre 1899). Se la causa della depressione economica e produttiva della zona consiste nella “mancanza di cognizioni tecniche degli agricoltori, delle industrie agrarie, per le associazioni agrarie” (G. Bonsignori, Per la resurrezione economica di tutta la provincia bresciana, 12 ottobre 1899 e seguenti), il rimedio principale viene individuato nell’istituzione di un moderno ed efficiente sistema di assistenza tecnica, ottenibile tramite la capillare diffusione delle cattedre ambulanti di agricoltura, delle stazioni agrarie sperimentale dei consorzi agrari. La necessità dell’istruzione agraria popolare è infatti un’altra delle tematiche essenziali che trovano svolgimento sulla rivista, “avendo l’esperienza addimostrato che là ove la nuova scienza agraria è conosciuta anche soltanto nei suoi primi rudimenti, e viene fedelmente praticata, le popolazioni ritornano a quell’amore per l’agricoltura che nell’atto pratico faceva dei nostri campi una vera risorsa morale ed economica (Fragor, La «Famiglia agricola» e l’istruzione agraria, 17 ottobre 1901; e ancora, sull’argomento, Istruzione e organizzazione, 9 novembre 1905; Istruzione agraria, 15 ottobre 1921; Istruzione agraria popolare, 10 gennaio 1922; L’importanza sociale delle scuole agrarie, 30 agosto 1922; La crisi delle scuole d’agricoltura, 25 settembre 1931).

Persistendo quindi nel suo intento di “sradicare i vecchi pregiudizi e redimere il contadino da inveterati errori, continuando a rendere sempre più accessibile a tutte le intelligenze la nuova scienza agraria, sacrificando talvolta la terminologia tecnica e sacrificando le questioni di gabinetto, pur di essere letti volentieri, intesi anche da chi non ha troppa confidenza coi trattati di polso ed obbediti anche dai più ritrosi alle novità” (La «Famiglia agricola» e l’ambiente agrario, 13 novembre 1902), con l’ingresso nel nuovo secolo la rivista continua ad occuparsi di tematiche di più vasto respiro, come quelle relative al fenomeno della disoccupazione e a quello ad esso collegato dell’emigrazione, non uscendo però dalla semplicistica visione di un urbanesimo causa di tutti i mali, in quanto “accorrere sfrenato e inconsulto delle forze più vitali della campagna alla città” (Disoccupazione e urbanesimo, 28 dicembre 1905). Anche nelle motivazioni che stanno alla base dei numerosi scioperi agrari che agitano le campagne dell’Italia settentrionale nel primo decennio del Novecento, “le lusinghiere attrattive della città” hanno, per il periodico, un peso preponderante: “Il nostro contadino ha perduto il giusto equilibrio, nel bilancio domestico, fa la spesa e l’entrata. Da 20 anni a questa parte ha cambiato addirittura il suo sistema di vita: ha perduto le sue abitudini semplici, punto dispendiose, dandosi a una vita più costosa e più spensierata: i suoi appetiti, mancando il denaro, non possono essere tutti soddisfatti... e senza accorgersene cade nel vizio, a porgere l’orecchio a chi ad arte gli fa intravedere un miglioramento economico, un modo qualsiasi di trovare denaro” (Arturo Alamanni, Le vere cause del malcontento e del disagio dei contadini, 14 febbraio 1907; e ancora, A. Marescalchi, Il contadino e l’urbanesimo, 20 febbraio 1927).

Nei suoi primi dieci anni di vita i nomi dei principali collaboratori della rivista, oltre a quello di G. Bonsignori (che presumibilmente si nasconde anche dietro le firme di Fragor e Alpinus) sono: Pio Benassi, Antonio Bianchi, Carlo Bresciani, Giovanni Maria Longinotti, Giuseppe Micheli, Egidio Pecchioni, Girolamo Serlupi, Mario Trabucchi.

Nel 1906, con la direzione di don Francesco Gorini si assiste ad un brusco cambiamento delle prese di posizione della rivista riguardo ad importanti questioni economiche. Da una posizione di difesa del protezionismo granario, infatti, si passa ad esempio a un atteggiamento fermamente abolizionista: “È giusto che noi mettiamo una barriera al grano estero col dazio, quando diversamente questo genere di prima necessità ci verrebbe ad un terzo meno di quanto a noi costa di produzione, mentre a noi occorre, occorre soprattutto ai nostri fratelli, acciò possano vivere meno disagiatamente?... Noi crediamo che l’abolizione del dazio protettore sul grano sia questione umanitaria, sia questione fisiocratica cristiana, sia questione di interesse generale” (F. Gorini, L’abolizione del dazio sul grano, 14 gennaio 1909). vengono conseguentemente consigliate colture alternative e maggiormente remunerative e soprattutto, un maggior sviluppo dell’allevamento del bestiame all’interno dell’azienda agraria “perché latticini e carne sono e saranno ognora più altamente remunerativi, perché la loro richiesta e consumo devono andare di pari passo collo sviluppo dell’industria per concomitanza col benessere dell’operaio” (Ibidem; sempre sulla questione zoologica anche Il rincaro delle carni. cause, dati statistici, rimedi, 22 settembre 1910 e La crisi casearia attuale. Cause e rimedi, 8 febbraio 1910).

Dopo un silenzio durato presumibilmente otto anni, dal 1913 al 1920, la «Famiglia agricola» col numero del gennaio 1921 “risorge a nuova vita, e noi con rinnovata lena ci accingiamo a pubblicarla nelle nuova tipografia onde poter trattare in tempo opportuno gli argomenti sociali, tecnici e pratici della moderna agricoltura, e così giovare a tutta la classe dei lavoratori dei campi che più che mai in questi tempi devono studiare e mettere in efficienza quei mezzi che possono dare raccolti colla minima possibile spesa” (Agli abbonati, agli amici, a quanti amano il progresso agrario e le alte produzioni, 15 gennaio 1921).

Nel 1922 si arricchisce della rubrica “La pagina della donna”, affinché anche il pubblico femminile possa venir istruito ai principî fondamentali dell’agronomia e “non neghi la sua opera all’impellente bisogno di una pronta e completa restaurazione agraria” (A voi donne italiane!, 21 novembre 1921).

Salutando l’avvento del regime fascista come “un rinnovamento politico profondo, che dà speranza di avere finalmente un governo forte, che sappia, con mano sicura, condurre la patria al conseguimento de’ suoi gloriosi destini” (Attraverso i campi, 10 novembre 1922), la rivista ricorda come per lunghi anni abbia operato per propagandare “tutte le buone novità agrarie, quelle specialmente che hanno un’importanza nazionale, come la coltura del frumento che, in brevi anni, deve darci tutto il pane quotidiano e risparmiarci l’umiliazione di comprarne quasi la metà fuori casa, e la ricostituzione dei vigneti filosserati; abbiamo esortato anche la coltura del tabacco per eliminare il guaio di tanti milioni che, senza motivo, andavano all’estero; ai prodotti di vino, agli apicoltori, ai bachicoltori non è mancato il nostro consiglio illuminato. Abbiamo curato la zootecnica, la praticoltura e la cerealicoltura. Forse i primi in Italia abbiamo chiamato la donna a cooperare coll’uomo al nostro rifiorire agricolo: non è mancato neppure il racconto agrario, per invogliare anche gli apatici ad interessarsi d’agricoltura” (Il tramonto dell’anno 1922, 20-30 dicembre 1922).

In questo periodo la rivista si occupa a lungo della questione granaria, considerata “il problema economico più assillante che grava sulle strenue finanze italiane” (Il problema della produzione del grano, 15 gennaio 1921). Di fronte alla drammatica verità che la guerra ha contribuito a rilevare, “che se le altre nazioni non ci aiutano con ingenti forniture di grano noi restiamo senza pane per circa 4 mesi all’anno” (Decalogo per coltivare il grano, 15 marzo 1921), con una serie di scritti che si susseguono numerosi sulle sue pagine per tutto il 1921 cerca di fornire “un modesto contributo per affrettare il giorno dell’autonomia che segnerà per tutti una grandiosa vittoria, la quale non può che essere frutto di un governo cosciente, di una scuola agraria diffusa per tutta la penisola e di una generale collaborazione di tutti gli agricoltori padroni ed operai” (Per un migliore raccolto del grano, 30 settembre 1921). Oltre quindi alle opere di bonifica , irrigazione e agli intensi perfezionamenti colturali, fra i metodi che possono concorrere ad accelerare il moto della produzione granaria viene posta in cima a tutti “la sicurezza degli ordinamenti giuridici afferenti alla proprietà, che improvvisazioni legislative non dovrebbero ad ogni istante mettere in dubbio. Con ciò viene così a mancare la necessaria fiducia nell’investimento dei capitali nella terra, condizione essenziale per conseguire l’incremento della produzione” (Il problema granario in Italia e in Francia, 10 settembre 1922). Di fronte infatti alla crisi che in quegli anni colpisce la piccola proprietà coltivatrice, non più in grado di pagare i debiti contratti per l’acquisto delle terre e di reggere contemporaneamente il peso delle imposte e la generale diminuzione dei prezzi, si pubblica, dal giugno all’ottobre 1928, un lungo articolo in più puntate teso alla salvaguardia della piccola proprietà terriera, quale elemento “che ha sempre contribuito all’ordine, alla moralità, alla religiosità, alla laboriosità, all’economia e alla potenza della nostra stirpe” (Pietro Cerutti, Salviamo la piccola proprietà terriera, 30 giugno 1928 e 10 ottobre 1928).

Favorevole alla diffusione del piccolo affitto, della mezzadria e terzeria, e in generale di tutte quelle forme contrattuali di compartecipazione giudicate più favorevoli alla conservazione della struttura sociale esistente, in quanto “contratti che acuiscono nei contadini l’amore alla coltura agraria e al lavoro” (P. Cerutti, I fattori morali della produzione terriera, 30 agosto 1922), anche se nel complesso meno adatte all’introduzione di innovazioni tecnologiche rispetto alla conduzione a salariati (La mezzadria può dirsi sorpassata?, 15 agosto 1931), la «Famiglia agricola» si adopera costantemente a favore della diffusione del consumo di concimi chimici quale strumento privilegiato per aumentare le rese unitarie per ettaro.

Per il 1929 si propone di continuare “ad armonizzare i principî tecnico-agronomici della scuola solariana cogli ultimi dati del progresso agricolo; a richiamare l’attenzione degli agricoltori italiani sul problema del prato, che è il massimo problema agrario ma che oggi è un po’ dimenticato; a eccitare gli agricoltori a ben combattere, dopo la battaglia del grano, quella del mais” (P. Cerutti, Io dico seguitando..., 10 gennaio 1929).

La rivista, che tratta ormai pressoché esclusivamente tematiche di tecnica agraria, pubblica saltuariamente scritti del direttore P. Cerutti sul generale rallentamento produttivo subito dall’agricoltura italiana nel periodo tra il 1925 e il 1940: L’attuale terribile crisi granaria. Le cause e i rimedi, 10 febbraio 1925; La crisi agraria. Il linguaggio delle cifre, 10 settembre 1927; Per uscire dalla crisi, 2 febbraio 1931; I compiti dell’agricoltura nell’attuale crisi economica, 20 febbraio 1937; Agricoltori coraggio!, 20 maggio 1938.

Tra le firme dei collaboratori della rivista in questo periodo si segnalano quelle di Michele Cappellazzi, Franco Cigola, Attilio Guarneri, Salvatore Ricca, Ferruccio Zago.

C. Ro.

Raccolte: MI120: 1896-1910. BS020