Collezione archeologica Lagioia-Jatta

Definizione: raccolta

Tipologia: artistico

Datazione: post 400 a.C. - ante 200 a.C.

Istituto di conservazione: Museo Archeologico, Milano (MI)

Consistenza

La Collezione Lagioia-Jatta comprende 685 reperti archeologici (per un totale di 691 oggetti) databili tra il IV e il III secolo a.C. provenienti dalle necropoli della cittadina di Ruvo di Puglia, a cui si aggiunge un nucleo numismatico di 193 pezzi di uguale provenienza.
L'elenco dettagliato dei reperti comprende: 337 esemplari di ceramica decorata e dipinta con vari stili e tecniche; 70 statuette e rilievi in terracotta (coroplastica); 4 oscilla, ovvero oggetti in terracotta a forma di disco con fori di sospensione per essere appesi; 64 bronzetti figurati e oggetti in metallo; 24 oggetti in osso e avorio; 40 lucerne e oggetti in vetro; 127 gemme e ornamenti; 19 manufatti in selce.

Notizie storico critiche

La Collezione Lagioia, accostabile per tipologia di reperti, provenienza e origini storiche, sebbene di dimensioni inferiori, a quella conservata presso il Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia, comprende circa 700 esemplari di ceramiche, vasellame e terracotte figurate, ma anche gemme, bronzi e rilievi per la maggioranza provenienti dalle numerose necropoli del territorio di Ruvo di Puglia, uniti ad un nucleo numismatico di quasi 200 monete.
La raccolta, oltre che per la qualità e l'interesse scientifico dei reperti, è di fondamentale importanza per inquadrare il ruolo economico e culturale della città di Ruvo dall'inizio del V secolo in avanti, soprattutto in relazione con la recente ipotesi dell'esistenza di due grandi gruppi di produzione vascolare, quello settentrionale di Canosa e appunto Ruvo, e quello meridionale di Taranto e del Metaponto, entrambi caratterizzati dalla presenza di comunità indigene sempre più aperte alle influenze delle colonie greche. È infatti in questo ambito di contatto con la cultura greca che si sviluppa la definizione in senso aristocratico e guerriero della classe dirigente locale, con il conseguente fiorire di officine artistiche dedite alla produzione di raffinati corredi funerari (da cui provengono i reperti della collezione), in cui si fondono abilmente le forme e il repertorio figurativo greco con il gusto per scene affollate e fastose della cultura colonica.
La varietà del repertorio iconografico dei vasi della collezione ha permesso di studiare il significato delle scelte delle immagini da parte degli artisti che le eseguivano, anche in funzione della trasformazione del manufatto all'interno dell'immaginario corrente, da oggetto funzionale a supporto per figurazioni simboliche e celebrative: anche in questo ambito si assiste al progressivo aumento di connessioni e riferimenti al modo di vivere e alla cultura greca sul modello proposto dalla città di Taranto, quali ad esempio la celebrazione dell'efebia e della vittoria agonistica.
Per quanto riguarda più specificatamente le tecniche esecutive, la produzione vascolare della Collezione Lagioia comprende: 15 esemplari di ceramica greca d'importazione, prodotta dai maestri dello stile severo e classico; 32 ceramiche indigene, prodotte dalle officine collocate a Taranto e dintorni e caratterizzate da grande fantasia nelle decorazioni geometriche e a fasce; ben 141 manufatti di ceramica apula, magnogrecha e lucana a figure rosse; 47 esemplari di ceramica nello stile di Gnathia e 35 di tipo Saint Valentin sovraddipinte a colori; 67 manufatti di ceramica e coppe megaresi dipinte a vernice nera.
A questo nucleo di opere maggiore si affiancano una serie di materiali, alcuni dei quali databili fino all'epoca romana, appartenenti a diverse classi e raccolti con criteri in apparenza casuali molto probabilmente sul mercato antiquario: si tratta di oggetti bronzei e in metallo; di statuette in terracotta a stampo con destinazione votiva o funeraria (coroplastica); di oggetti in vetro, in osso, in selce e infine di una piccola ma pregevole raccolta di glittica, difficile da ricondurre a specifiche cronologie e manifatture. Non mancano infine alcuni pezzi di dubbia autenticità o nei quali gli interventi di restauro subiti sono così prevalenti da non permettere più una corretta lettura della parte originale antica, ma che sono stati ugualmente inseriti nel catalogo ragionato della Collezione in calce alle rispettive tipologie di oggetti, nell'intento di documentare una precisa fase del collezionismo tardo Ottocentesco, nella quale quale si venne sviluppando in Italia meridionale un artigianato artistico dedito alla riproduzione di falsi e di oggetti "in stile", poi entrati occasionalmente nelle raccolte private (Sena Chiesa, 2004).