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Introduzione

L’archivio della Mensa Vescovile di Lodi conserva il 75% delle pergamene lodigiane anteriori all’anno 1200 e se ne possono seguire le vicende a partire dal XVII secolo, epoca a cui risalgono i primi repertori [1]: rispetto al patrimonio documentario presente allora in archivio le perdite relative al periodo che va fino a tutto il XII secolo sono minime (un solo pezzo); rispetto poi alla consistenza attestata a cavallo dei secoli XVIII e XIX, l’archivio è rimasto del tutto integro.

La prima inventariazione sistematica documentata si deve a Giulio Cesare Gavazzi e fu disposta dal vescovo Taverna nel 1604: sono tuttora conservati in archivio l’Inventarium scripturarum archivii episcopali e il Regestum membranarum archivii episcopalis Laudensis a saeculo X [2], il primo dei quali costituisce lavoro preparatorio per il secondo, più completo (il Regestum registra infatti alcuni documenti in più rispetto all’Inventarium). Alle due fasi del riordino testimoniate dall’Inventarium e dal Regestum ne corrispondono almeno altrettante di lavoro materiale sulle pergamene, come si deduce dalle annotazioni tergali di mano dello stesso Gavazzi, vergate in momenti diversi: inizialmente egli siglò i pezzi con la propria iniziale “G” e in alcuni casi provvide a prime note di datazione e contenuto; solo in un momento successivo appose la numerazione, ulteriori elementi di datazione e talora anche un breve regesto. La segnatura Gavazzi è costituita da una numerazione unica che esula sia dal criterio cronologico che da quello tematico: deve dunque rispecchiare un ordinamento per consistenza.

Nel 1674 Giacomo Antonio Porro riordinò l’archivio vescovile e compilò l’Inventarium tabularii episcopalis [3], oltre a un indice cronologico dei documenti che venne riportato in coda al Regestum del suo predecessore Gavazzi. Le annotazioni del Porro sono presenti solo su pochi pezzi, poiché il suo lavoro consistette soprattutto nella ricollocazione materiale delle carte utilizzando la segnatura già in uso. L’ordinamento Porro è di tipo tematico: egli raggruppò fisicamente i documenti dell’intero archivio (compreso l’archivio corrente) in armaria numerati (il secondo e il terzo) suddivisi in cassettini parimenti numerati ma anche signati con le lettere dell’alfabeto (p. es. cassettino I signato A e così via) e infine in rotuli topografico-tematici contenenti le pergamene. Le pergamene non recano traccia della conservazione in rotoli disposta dal Porro, presentandosi tutte distese e con le chiarissime tracce della piegatura originaria: la scelta di conservare le pergamene distese si deve al Bonomi, responsabile del successivo e definitivo riordino dell’archivio negli ultimi anni del XVIII e nei primi del XIX secolo.

Queste le prime operazioni sistematiche di ordinamento che conosciamo nei dettagli: sul verso delle pergamene, tuttavia, sono presenti anche altre segnature precedenti, oltre a regesti del XIII, XIV e XV secolo.

Alcuni gruppi di pergamene recano regesti e segnature sicuramente omogenei tra loro, cioè della stessa mano, ma non ci sono evidenze bastevoli per individuarne la ratio, e, comunque, essi possono essere classificati come interventi non sistematici.

Ricorre invece frequentemente una segnatura che pare doversi attribuire al XVI secolo e che interessa 50 dei 186 pezzi segnati dal Gavazzi più altri 4 che erano stati collocati in disordine e che furono ritrovati solo nel secolo XIX; essa è caratterizzata da numeri romani e cifre arabiche e non sembra riconducibile a criteri tematici o territoriali. La segnatura deve essere stata apposta sulle pergamene in ordine sparso: si può tuttavia notare che, pur sovrapponendosi all’intero periodo che consideriamo, essa si dirada all’avvicinarsi della fine del XII secolo (densità alta per i secoli X-XI, media per il XII e quasi nulla dagli anni Settanta in poi – quando, invece, il numero dei pezzi conservati è molto più alto –). Inoltre, il presunto ordine sparso in cui l’anonimo archivista cinquecentesco trovò le pergamene non corrisponde nemmeno all’ordine di consistenza registrato dal Gavazzi: non c’è infatti alcun rapporto tra le segnature del XVI secolo e la numerazione seicentesca.

Sappiamo infine che un archivista Cipelli, la cui mano è parimenti seicentesca, consultò l’archivio: le annotazioni, sul verso di sole due pergamene (che non hanno legami diretti tra loro), sono del tipo “Visa per C. Cipellum archivistam”. Egli va probabilmente identificato in Carlo Cipelli, canonico della cattedrale di Lodi, publicus apostolica auctoritate notarius in archivio Romane Curie descriptus, notaio e vicecancellarius del vescovo di Lodi [4].

La segnatura attualmente in uso si deve invece all’opera di Ermete Bonomi, convocato dal vescovo Della Beretta: egli lasciò due strumenti ancora oggi fondamentali, conservati insieme alle pergamene, la Synopsis chronologica tabularum Laudensis episcopatus, risalente agli anni 1797-1804, e i Veterum ex membranis monumentorum quae in Tabulario Sanctae Laudensis Ecclesiae Episcopii adservantur exemplaria, del 1811 [5].

L’ordinamento Bonomi rispetta rigorosamente l’ordine cronologico e corrisponde alle segnature, di sua mano, in cui sono riportati l’anno in numeri romani e il numero progressivo in cifre arabiche. La numerazione arriva a 226, tante sono le pergamene fino all’anno 1200 contenute nelle prime due tabulae, oltre ad altre 11 unità inserite nella numerazione mediante l’uso di asterischi (tale criterio è usato dal Bonomi nei casi in cui una stessa membrana contiene più documenti e in quelli in cui reperì i pezzi successivamente). Di queste 11 pergamene due non hanno segnatura Gavazzi: una è stata donata all’episcopato nel 1804 e proviene da tutt’altro archivio (S. Damiano di Dovera), l’altra deve essere semplicemente sfuggita al Gavazzi perché conservata in disordine, visto che presenta la segnatura cinquecentesca. I due volumi manoscritti del Bonomi contengono ampi regesti delle pergamene fino all’anno 1309 e sono provvisti di indici analitici: il secondo tomo, oltre a costituire la continuazione in ordine cronologico del primo, riporta la trascrizione di alcuni documenti di particolare rilevanza e le integrazioni rispetto al primo volume di cui abbiamo detto.

Infine, tutte le pergamene della Mensa Vescovile sono state recentemente riordinate in ordine cronologico e reinventariate da un’équipe al servizio dell’Archivio Diocesano di Lodi grazie al finanziamento della Fondazione Cariplo [6].

Veniamo ora all’esame diacronico della consistenza dell’archivio.

La segnatura cinquecentesca non rende conto della reale consistenza dell’archivio a quell’epoca: possiamo quindi basarci solo sugli inventari seicenteschi, che registrano 203 pezzi (a uno dei quali, anche se comunque siglato dal Gavazzi, non corrisponde alcuna segnatura) [7], a cui vanno aggiunti i 3 pezzi ritrovati dal Bonomi, senza segnatura Gavazzi ma provvisti di quella cinquecentesca, e altri 6 originariamente cuciti tra loro in un rotolo e a cui corrisponde la segnatura cinquecentesca ma non quella del Gavazzi. Registriamo quindi un totale di 212 pezzi alla fine del XVII secolo.

Tra l’epoca del Gavazzi e quella del Porro non ci sono state dispersioni, anzi, l’archivio risulta essersi accresciuto di 12 unità (difficile però stabilire se si tratti di munimina o semplicemente di pezzi sfuggiti al Gavazzi e ritrovati dal suo successore).

Entro l’epoca del Bonomi, invece, le perdite rispetto alla segnatura Gavazzi, che abbiamo computato in 212 unità, ammontano a un solo pezzo fino all’anno 1200: l’archivio risulta anzi nel complesso essersi accresciuto di ben 25 documenti che non presentano né la segnatura Gavazzi né quella cinquecentesca, giungendo così a 237 unità.

Abbiamo accennato a 6 pergamene segnate dal Bonomi ma non dal Gavazzi, che erano presenti in archivio in precedenza. Esse fanno parte di un nucleo documentario costituito in origine da 10 pergamene cucite tra loro, risalenti agli anni tra il 1152 e il 1226, di cui le quattro duecentesche (le ultime della serie) perdute. Le 6 pergamene superstiti recano tutte la segnatura Bonomi ma non quella del Gavazzi e una di esse è provvista di quella cinquecentesca: le diverse pergamene, cucite insieme, devono essere apparse all’archivista cinquecentesco come un’unità archivistica singola ed egli, evidentemente, deve avere ritenuto di apporre la segnatura soltanto su una di esse. Si tratta di sentenze (due lodigiane, due milanesi, una cremonese) in merito ai diritti episcopali sui pascoli di Cavenago, contesi a privati, dalle quali il vescovo esce sempre vincitore, e di un’investitura (nn. 62, 80, 141, 144, 156, 170). Esse sono numerate (“I exemplar” e così via) e contrassegnate da corrispondenti lettere dell’alfabeto: tutte presentano forellini di cucitura lungo i margini superiore e inferiore che – per quelle contrassegnate come contigue – si sovrappongono perfettamente (due hanno anche un richiamo “A” nei margini rispettivamente inferiore e superiore). Recano regesti di mano tardo-trecentesca, la stessa che ha vergato le lettere d’ordine: la conservazione unitaria di questo gruppo in forma di documenti cuciti tra loro deve risalire dunque a quell’epoca. Un’annotazione di mano moderna sul verso della prima sentenza (cioè la seconda pergamena del gruppo, la stessa che reca anche la segnatura cinquecentesca), parrebbe di mano del Porro e suggerisce pertanto di attribuire a costui il ritrovamento delle 6 pergamene in questione, probabilmente fino ad allora conservate in disordine.

Quattro pergamene provviste di segnatura Gavazzi e sfuggite al Bonomi vennero aggiunte, fuori dalla serie, alla fine del secolo XIX: esse furono collocate nella tabula settima (nn. 99, 110, 120, 220, insieme ad alcuni documenti più tardi). Con esse è conservato l’elenco dei regesti intitolato “Pergamene non comprese nella serie”, di mano di Giovanni Agnelli (convocato dal vescovo Giovan Battista Rota quale responsabile dell’archivio alla fine dell’Ottocento), il quale non apportò altre modifiche all’ordinamento Bonomi. Possiamo stabilire che il ritrovamento di tali pezzi avvenne nel 1885, durante la stampa dell’ultimo volume del Codice diplomatico del Vignati: l’edizione dei documenti corrispondenti, infatti, vi fu aggiunta solo all’ultimo momento e inserita nell’indice dei nomi e e dei luoghi in coda a voci attinenti al contenuto. Che tali pergamene siano state conservate separatamente, confuse tra altre carte più recenti che il Bonomi non considerò, si può forse spiegare osservando che trattano di argomenti simili e che all’epoca del Porro erano conservate “in rotulo: sopra li hospitali”: è quindi probabile che siano state utilizzate in un periodo successivo al Seicento e poi non ricollocate correttamente [8].

Una quinta pergamena senza data, del XII secolo, anch’essa provvista di segnatura Gavazzi, non fu numerata dal Bonomi ma solo datata approssimativamente (ed erroneamente) ed è oggi collocata nella tabula terza insieme ad altri pezzi non datati (n. 129).

Un documento del 1162 è invece inserto in uno del 1234 e si trova quindi nella tabula IV (n. 97): esso non reca una segnatura Gavazzi bensì solo quella riferita al documento duecentesco [9].

All’inizio del XX secolo, infine, a tutte le pergamene fu apposto il timbro in inchiostro nero recante la dicitura “Vescovato di Lodi” esso compare sul recto, generalmente in basso a destra, di fianco o sotto la completio.

In conclusione, considerando che a 237 segnature presenti al Bonomi, più le 5 sfuggitegli ma già presenti in archivio, quindi le attuali 242, corrispondono, come abbiamo calcolato in precedenza, 212 pezzi (206 segnature Gavazzi conservate, comprese quelle che Gavazzi ignora ma con segnatura del XVI, il gruppo delle 6 cucite – con segnatura del XVI e del Porro su una di esse in riferimento a tutto il gruppo – e quella perduta), significa che, oggi come all’epoca del Bonomi, sono presenti 37 pergamene in più rispetto al Seicento. Dodici di esse, prive di segnatura Gavazzi ma recanti annotazioni del Porro, devono essere giunte in archivio tra il 1604 (riordino Gavazzi) e il 1674 (riordino Porro); le restanti 25 sono comparse tra il 1674 e il 1811 (completamento del riordino Bonomi).

Questi 25 pezzi comparsi tra l’epoca del Porro e quella del Bonomi non appartengono all’archivio antico della Mensa Vescovile: di 6 di essi sappiamo che sono stati aggiunti arbitrariamente in età moderna per le ragioni che vedremo e vanno quindi scorporati e ricondotti ai fondi originari di provenienza, in ragione di 5 all’archivio del monastero di S. Chiara Vecchia e di uno a quello di S. Damiano di Dovera; per gli altri 19 pezzi, invece, potrebbe verosimilmente trattarsi di munimina giunti in archivio a seguito di transazioni avvenute tra il 1674 e il 1811 e si ritiene dunque di considerarle comunque come parte di questo archivio.

L’aggiunta alle carte vescovili delle 5 pergamene di S. Chiara Vecchia si deve al Porro e va collocata nel 1682 o poco dopo: in quel periodo, infatti, egli curò il riordinamento di quell’archivio [10] e, trovati là cinque livelli concessi dal vescovo in relazione ai beni situati nel territorio di Cavenago d’Adda, passati nel frattempo al monastero delle francescane di S. Chiara, ritenne opportuno trasferirli materialmente presso l’archivio della Mensa (insieme ad almeno una ventina di altri simili livelli del secolo XIII). I 5 documenti [11], registrati nell’inventario di S. Chiara Vecchia del 1583 [12], non sono infatti presenti in quello redatto dal Porro per il medesimo archivio nel 1682 [13] e compaiono invece nell’inventario del Bonomi delle carte vescovili. A riprova della meccanica del trasferimento, si consideri che le 5 pergamene recano la segnatura dell’ordinatore di S. Chiara Vecchia corrispondente all’inventario del 1583 ma non la segnatura Gavazzi (che risale infatti al 1604) e, infine, che esse non figurano nell’inventario Porro delle carte della Mensa redatto nel 1674, cioè otto anni prima del riordinamento dell’archivio di S. Chiara Vecchia. Porro non lasciò alcuna traccia di questa operazione: la loro identificazione è quindi possibile solo attraverso il repertorio di S. Chiara Vecchia del 1583. Bonomi, che probabilmente non conosceva il fondo del monastero e il relativo strumento cinquecentesco, registrò queste pergamene insieme a tutte le altre della Mensa.

L’ultima integrazione, che riguarda un solo pezzo, deriva invece da un dono del 1804: la pergamena proviene dall’archivio di S. Damiano di Dovera, dal quale era stata probabilmente trafugata dopo il 1775, per poi essere recuperata da un ecclesiastico [14]. La sua presenza tra quelle vescovili è quindi del tutto casuale e il pezzo non fa parte dell’archivio della Mensa.

Nella tabella che segue sono evidenziate le segnature corrispondenti ai diversi ordinamenti sopra descritti. Distinguiamo le segnature legate a singoli pezzi o a gruppi particolari da quelle sistematiche (quella del XVI secolo, quella del Gavazzi del 1604, le rare ulteriori annotazioni del Porro del 1674, infine quella del Bonomi tra XVIII e XIX secolo, che costituisce anche il riferimento attuale).

Archivio vescovile – Schema riassuntivo
altre segnatureXVI sec.GavazziPorroBonomi (tabb.I-II)
1157 lug 130198oggi manca
1163 apr 40875
1170 mar 110896
1174 ago 200213
1176 circa0686
1196 dic 100980
883 giu 22III.50362001
883 giu 22 (altra copia)0887002
*924-942*III.50022003
951 feb 10004
*951*III.5sig. +005
975 nov 24007
*975 nov 24-983*0076sig. I006
985 set 4III.50731008
986 ago 15III.100832009
994 mar 29III.90103010
1002 *feb 5-dic 24*011
1025 mag 45I.221000011*
1025 mag 45I.221000011*
1025 mag 55I.221000011*
1044 mag 245I.221000011*
1037 ago 7III.50662012
*1039 dic 25-1049 dic 24*0786013
1044 mag 24XI; +; lI.70397014
1050 ago 1VIIII; A; hI.70814015
1051 apr 8+I.70338016
1051 apr 8 (altra copia)I.70629017
1051 agoI.70923018
1065 apr 23III; +I.70474019
1076 feb 263III.10019*
1112 lug1045020
*1112 lug*1045021
1112 set1048022
XII sec. ?023
XII sec. ?023
1115 ott 80999024
11*16* feb0960025
1116 ago0984026
1117 lug 4III.90673027
1119 set 60342028
1121 magIII.91018029
1121 magIII.90005030
1121 magIII.90947031
1121 mag0920032
1123 dic 90620033
1125 dicsig. B034
1125 dic (altra copia)III.50053035
1126 lugA0403036
1127 ottI.220865037
1128 mar1046038
1140 genIII.50574039
1142 setIII.60243040
1142 ott0958041
1143 apr0933042
1143 dicI.130937043
1145 feb0790044
1146 feb 23sig. G045
1146 feb 23sig. G046
*1146 dic 25-1147 ago 31*Z047
1147 mar 5III.50087048
1147 apr0733049
1147 ott 23CipellusI.130046050
1148 feb0328051
1148 mar 7III.30874052
1149 lug0971053
1149 lug 8N.2; 10III.60531053*
1151 ago 70860054
1151 set 30330055
1152 mag 270982056
1152 giuIII.60086057
1152 giuddd058
1153 gen0375059
1153 mag1016060
1153 giuIII.50366061
1153 dic1019062
1154 mag 9sig. b063
1155 ago 140017064
1155 ago 14065
1155 dic 310524066
1156 gen 30524067
1156 gen 250524068
1156 gen 31sig. c069
1156 mar 130364070
1156 mar 130857071
1156 giu 5072
1156 set 20III.90692073
1156 ott 6III.4sig. a074
1156 ott 19 e 260359075
1156 *ante nov 12*0427076
1156 *ante nov 12*0427077
1156 nov 120427078
1156 nov 150427079
1156 nov 150427079
1156 nov 150427080
1156 nov 150427081
1156 nov 150427082
1156 nov 150427083
*1157* mar0025084
1159 setIII.90113085
1159 dic 240327086
*1159 set-1160 apr 30*0608087
1160 magIII.50106088
1162 mag 300146089
1162 mag 30 (altra copia)III.40844090
1162 mag 30 (altra copia)0147091
1162 mag 30 (altra copia)III.40067092
1162 lug(0028)(IV,266)
1162 nov 30III.40049093
1163 apr 41001094
1163 apr1001094
1164 set 240367095
1164 set 24 (altra copia)0578096
1164 dic 6III.40883097
1164 dic 6 (altra copia)098
1164 dic 6 (altra copia)099
1164 dic 60721100
1164 dic 6 (altro esempl.)0669101
1164 dic 6 (altra copia)0630102
1165 mar 2450451103
1165 mar 28x0754104
1166 ott 240390105
1167 dic 18III.60043106
XII sec. (circa metà)0270107
*1177* dic 30III.50691108
1169 mar 2III.50996109
XII sec. (circa metà)0267109*
1169 giu 110639110
1171 apr+0738111
1172 *set 1-dic 24*+112
1172 mag0505112*
1172 nov 10III.70060113
1172 nov 10III.70945114
1174 apr 10839115
1174 mag 70953116
1174 giu 90077117
1174 *apr* 5118
1174 set 2I.130576119
1175 feb 26 e mar 8b0701120
XII sec.0678121
1175 lug 280957122
1175 ago0425123
1175 nov 210755124
1176 apr 210033125
1176 dic 290071126
*1177* apr 28I.130141127
1178 set 3Cipellus0757128
1179 gen 170479129
1179 giu 560240130
1179 *mar 30 opp. giu 29*0529131
1179 dic 280365132
1180 lug 290119134
1180 lug 300119194135
1180 lug 30 (altra copia)0783136
1180 set 210969137
1180 ott 16o; D0851138
1180 dic 29139
1181 feb0299140
1181 feb0131141
1181 ago 6A; 8142
1181 ago 9d0584143
1181 ago 290675144
1181 ott 22A0861145
1181 ott 22 (altra copia)b; 4; 60311145*
*1181 post ott 22*b; 4; 60311145**
1181 ott 310824146
1182 feb 40163147
*1182* giu 40688148
1182 set 12CCCCXV149
1183 feb 240968150
1184 feb 20748151
1184 ago 210045153
1185 mar 30dd154
1186 feb 231008155
1186 mar 460411156
1186 mar 4420952157
1186 mar 40771158
1186 mar 470475159
1186 lug 40010160
1186 set 90080161
1186 set 230763162
1186 set 280676163
1187 mar 140019164
1187 mar 15+165
1187 apr 140433166
1187 giu0217167
1187 giu 24III.50613168
1187 giu 25III ex.; C169
1187 lug 26170
1187 set 70100171
1187 nov 300756172
1188 gen 310078173
1188 set 27h0715174
1188 dic 90050175
1189 feb 120050176
1189 feb 151003177
1189 feb 15 (altro esempl.)III.90164178
1189 mag 251063179
*ante 1189 lug 4*0445179*
1189 ott 40751180
1190 giu 3sig. a; sign. D181
1190 giu 40845182
1190 ott 100261183
1190 ott 270796184
1191 feb 271030185
1191 mar 27030457186
1191 apr 20966187
1191 mag 28sig. A188
1191 ott 130977189
1191 ott 180735190
1192 feb 12191
1192 mar 10192
1192 mag 290637194
1192 mag 291007195
1192 ago 110781196
1192 dic 221014197
1193 apr 270297198
1194 giu 26198*
1194 ott 180871199
1194 nov 300016200
1194 dic 90743201
1194 dic 220034202
1194 dic 220034202*
1195 gen 40747203
1195 gen 230228204
1195 gen 230919205
1195 giu 201025206
1195 ago 10175207
1195 ago 18I; BV; +1041208
1195 set 90064209
1195 set 130098210
1195 set 130603211
1196 gen 170961212
1196 gen 300983213
1196 feb 150140214
1196 feb 15214*
1196 mar 26b0853215
1196 nov 260383216
119743sigla Gavazzi217
1197 ago 19Ø218
1198 mag 310682220
1198 mag 310568221
1198 set 221049222
1199 gen 19223
1200 mag 80913225
1200 giu 60764226

Note

[1] A questo proposito si vedano: G. AGNELLI, L’archivio vescovile di Lodi, in «Archivio Storico per la città e comuni del circondario di Lodi», a. IX (1890), pp. 144-149 e L. SALAMINA, Le pergamene della Mensa Vescovile di Lodi, in «Archivio Storico Lodigiano», LIX (1940), pp. 42-53, continua in LX (1941), pp. 37-46 e pp. 155-162, LXI (1942), pp. 26-30; G. VIGNATI, L’archivio della Mensa vescovile di Lodi nei secoli XVII-XX, in «La diocesi di S. Bassiano», n. 1 (1988).

[2] AMVLo, Armario IX.

[3] AMVLo, Armario IX.

[4] Lo ritroviamo quale rogatario di alcuni atti per il Consorzio del clero: per es., cfr. doc. del 16 dicembre 1644, ASMi, Fondo di religione, cart. 4954. Un “sig. Cipelli” che, data la qualifica, non pare possa essere la stessa persona, è poi citato da Defendente Lodi ne Storia dei monasteri, conventi, collegi religiosi della città e diocesi di Lodi, risalente alla metà del XVII secolo (BCLo, ms. XXIV A 33, per es. f. 184).

[5] Entrambi in AMVLo, Armario IX.

[6] Pergamensa, inventario informatizzato a cura di E. Canobbio, M.G. Casali, A. Grossi e L. Vignati (direzione scientifica A. Grossi), consultabile in Archivio Storico Diocesano di Lodi: oltre alle schede di tutti i pezzi conservati nell’archivio della Mensa Vescovile (1500 dal IX al XVI secolo) sono disponibili le immagini digitalizzate delle pergamene; per le pergamene anteriori all’anno 1200 sono stati predisposti links a questa edizione digitale.

[7] Le segnature registrate dal Gavazzi corrispondono a 193 numeri: a questi bisogna aggiungerne altri 9 corrispondenti ai casi un cui una medesima segnatura Gavazzi si riferisce a più pezzi.

[8] Esse sono infatti relative a rapporti tra l’episcopato e gli ospedali di S. Biagio, de Guado de Tavazzano, di Senna e S. Leonardo. Lo stesso Agnelli, in L’archivio vescovile di Lodi cit. dichiara di avere trovato l’archivio in grande disordine, con varie pergamene fuori posto.

[9] Nella Synopsis il Bonomi segnalato l’inserto e ne dà il regesto a parte, senza però attribuirvi un numero specifico.

[10] Cfr. A. Grossi, Le carte del monastero di S. Chiara Vecchia di Lodi (1149-1199).

[11] Ed. A. Grossi, Le carte del monastero di S. Chiara Vecchia di Lodi, nn. 5, 6, 8, 9, 10 degli anni 1180, 1184, 1192, 1197 e 1199.

[12] ASMi, Fondo di religione, cart. 5166, mazzo Z, n. 1269, Registro di tutte l’escriture et instrumenti et altre quale si ritrovano nel monasterio di Santa Clara Vechia di Lodi quali si ritrovano signati sotto di alfabeti et numeri come da basso si discrive et quale tutte scriture si ritrovano esere messe nelli carneri conforme alli boletini sopra essi posti come si contiene in esso registro.

[13] ASMi, Fondo di religione, cart. 5166, Inventario delle scritture publiche e private, libri, privilegii, essentioni et ragioni che si ritrovano nel archivio del monastero delle monache minori conventuali di S. Chiara vecchia di Lodi descritto da Giacomo Antonio Porro rettore di S. Giacomo Maggiore della stessa città ad instanza del signor Antonio Vertuano protettore del monastero predetto l’anno 1682.

[14] Si tratta di un documento pontificio del 1169 mediante il quale S. Fabiano di Farinate viene annesso a S. Damiano di Dovera (ed. C. Vignati, Codice diplomatico laudense, parte seconda: Lodi nuovo, 2 voll., Milano 1883-1885 (Bibliotheca Historica Italica, III-IV), n. 44; reg. KEHR, VI/1, p. 304, n. 5) e se ne sono conservate diverse copie, conservate in ASMi e in BAMBg. In AMVLo è presente l’originale donato dal padre Giovanni Brich il giorno 19 aprile 1804. Nel 1775 tale originale risultava conservato presso l’archivio del monastero dei SS. Cosma e Damiano di Lodi (BCLo, ms. XXI A 20, Storia della fondazione e delle successive emergenze dell’insigne monastero di S. Damiano della città di Lodi con un repertorio di tutte le scritture esistenti nel di lui archivio, MDCCLXXV, opera del sacerdote Giovanni Spino): ne consegue che deve essere stato sottratto tra il 1775 e il 1804, quando ricomparve nell’archivio del vescovo, a cui il Brich, dopo averlo recuperato probabilmente da qualche antiquario, lo donò, non conoscendone la provenienza precisa. Non possiamo verificare se il verso della pergamena recasse la segnatura Spino: la membrana, non in buono stato, è stata incollata ad un pezzo di iuta (forse anche per occultare eventuali segnature che avrebbero potuto tradire la probabile sottrazione dolosa, avvenuta così poco tempo prima).

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