Lombardia Beni Culturali

Introduzione

Sono qui presentate ed edite le otto carte della famiglia Vicedomini, cronologicamente comprese tra il 946 e il 1192.

La famiglia Vicedomini, originaria della città di Como, traeva la propria denominazione poi divenuta cognominale dall’ufficio del vicedominato, che esercitò per conto del vescovo di Como nei territori della diocesi. Nell’esercizio di tale incarico i suoi membri seppero sviluppare una capacità di iniziativa familiare tale da influire nelle dinamiche politiche, economiche, militari e sociali locali. E l’intraprendenza della famiglia incise in modo privilegiato e particolarmente efficace nei territori dell’alto lago di Como e nelle aree di imbocco della Valtellina e della Valchiavenna, tanto che al chiudersi del XII secolo i Vicedomini appaiono essere detentori della quasi totalità dei castelli presenti nell’area della bassa valle dell’Adda. L’affermazione favorita dal servizio a favore del presule lariano aveva infatti potuto contare su un ulteriore vantaggioso elemento di forza: i rapporti dei Vicedomini con l’Impero avevano infatti aperto loro significativi orizzonti politici e culturali. Tale legame si era così configurato quale canale qualificante per un significativo incremento di potere e per una ulteriore promozione dinastica [1].

L’archivio della famiglia risulta essere attualmente disperso. Tuttavia, durante la ricognizione che ha preceduto questo lavoro di edizione si sono potute ritrovare alcune significative tracce.

Soprattutto dall’archivio parrocchiale di Morbegno (So) sono venute inaspettate e significative indicazioni [2], che si assommano ai dati derivanti dalle già note carte dei Vicedomini custodite presso l’Archivio di Stato di Sondrio [3]. Questo archivio parrocchiale, infatti, conserva due unità archivistiche che, con certezza quasi completa, possono essere riferite al tabularium dei Vicedomini. Non sono invece chiare le cause e non sono noti i tempi in cui esse ivi confluirono. Infatti presso questa parrocchia, oltre ad una membrana che tramanda un instrumentum investiture rogato in data 1461 dicembre 22 da Francesco de Ripa, notarius Cumanus scribaque curie episcopalis Cumane [4], è conservato l’unico esemplare attualmente noto di una estratto dei diplomi concessi alla famiglia Vicedomini [5].

Si tratta della Breve narrativa e sommario de privilegi concessi alla nobil famiglia de Vicedomini di Valtellina che presenta in compendio i privilegi concessi, nel corso dei secoli, alla famiglia Vicedomini. Questa raccolta è costituita da 17 transonti posti in ordine cronologico, dal 946 al 1587. Un po’ a sé figura l’ultimo transonto che fa riferimento ad una fonte (la grida pubblica) sensibilmente differente rispetto a quelle precedentemente riferite (diplomi a favore di membri della famiglia). Esso è pertanto posto in coda ai documenti precedentemente elencati, determinando così una lieve sfasatura cronologica (le gride da cui furono tratte le concessioni presentate in compendio sono infatti del 1508 e del 1514) [6]. Sono otto i documenti anteriori al XII secolo contenuti all’interno della Breve narrativa: essi costituiscono l’oggetto della presente edizione.

Non è possibile appurare con precisione, oltrepassando delle considerazioni generiche, le cause prossime sottese alla redazione della Breve Narrativa. Sono invece chiare le modalità della sua redazione, desumibili dalle stesse parole dell’incaricato del compito. Detta raccolta, «recavata fedelmente dalli stessi originali», fu redatta da Giovanni Battista Ninguarda di Morbegno, conte palatino imperiale, il quale alla conclusione del suo lavoro, il 14 marzo 1609 sottoscrisse il complesso dei transonti:

«Io Giovanni Battista Ninguarda, conte palatino imperiale, faccio fede il soprascritto Sommario de privilegi diversi concessi alla nobil casa de Vicedomini esser stato recavato fedelmente dalli istessi originali, quali furono confidati nelle mie mani a questo effetto, et scritto di mia mano et, perché ogn’uno ne sia sicuro, mi son sottoscritto et postoci il proprio sigillo qui sotto impresso».

Il Ninguarda vi appose quindi il proprio sigillo e sottoscrisse di proprio pugno:

«Io Giovanni Battista Ninguarda da Morbegno affermo come sopra manu propria».

Seguono quindi le sottoscrizioni di due consoli di giustizia della giurisdizione di Morbegno: Giovanni Battista Stella e Raffaele Ninguarda.

«Ego Iohannes Baptista Stella nuncupatus Spandinus Morbiniensis, iuris utriusque doctor, eques aureatus, comes palatinus imperialis et consul iustitiæ in iurisdictione Morbenii tertierii inferioris Vallistellinæ dominii illustrissimorum dominorum Rhetorum ad signum bovis, præmemorata diplomata seu privilegia originalia authentica legi una cum originali præmissarum proclamationum eaque omnia præmisso ex eis privilegiis desumpto Sommario concordare comperui prout et præcedentem proclamationum copiam cum dicto originali authentico, et ideo statuta præfatæ vallis observando pro fide subscripsi, anno Domini 1609 die martis 14 mensis martii, iuxta ritum antiquorum indictione septima».

«Ego Raphael Ninguarda, iuris utriusque doctor, consul iustitiæ in iurisdictione Morbenii ut supra ad signum aquilæ, prædicta privilegia originalia et authentica legi et examinavi una cum originali dictarum proclamationum eaque omnia cum præsenti copia seu transumpto concordare inveni ideo, iuxta statutorum dispositionem, me subscripsi, anno, indictione, mense et die suprascriptis iuxta stilum antiquum».

Infine, sono presenti le sottoscrizioni di due notai morbegnesi, Pietro Foppa e Pietro Antonio Castelli Argegno, personaggi eminenti nel contesto locale.

«Ego Petrus Fopa filius quondam domini Iosephi de Morbegno, publicus imperiali auctoritate Valtellinæ notarius, suprascriptum compendium privilegiorum cum ipsis privilegiis authenticis a quibus desumptum est concordare inveni et pro fide subscripsi, anno, indictione, mense et die suprascriptis».

«Ego Petrus Antonius a Castello Arcenio Morbeniensis, filius quondam nobilis domini Iohannis Petri notarii filii olim præmortui egregii insignisque iuri Iohannis Baptista (così) publici imperiali auctoritate Vulturenæ prædictæ notarii, suprascripta privilegia suprascripto brevi compendio restricta cum eorum authenticis originalibus legi, perlegi seduloque examinavi, quæ omnia cum simul concordare comperuriem (così) me ideo per præmissorum omnem fide suprascriptis anno, indictione, die et mense, apposito demum ad maius robur tabellionatus mei consueto signo me impresso subscripsi».

Ma a noi non è pervenuta questa redazione del 1609. Infatti, nel 1619, la Breve narrativa fu nuovamente copiata e a sua volta autenticata dal notaio morbegnese Giovanni Antonio Parravicini:

«Faccio fede io Giovanni Antonio Paravicino nodaro publico di Valtellina, filius quondam Claudio da Caspano, haver fatto la presente copia cavata da un’altra copia solemnizata et authenticata, come di sopra appare, in testimonio del che concordatole prima con diligenza ho scritto et di propria mano sottoscritto la presente col mio solito segno l’anno .MDCXIX. indittione 2 adi 29 marzo».

Di seguito la sottoscrizione del pretore di Traona:

«Nos Michael Montius, Trahonæ et pertinentiæ prætor, hisce nostris certam atque indubitatam fidem facimus et adhibemus suprascriptum nobilem dominum Iohannem Antonium Paravicinum de Caspano fuisse etiamque publicum tabellionem Valtellinæ, cuius quidam scripturis in iudicio et extra indubitata fides præstatur ubique locorum adhiberi debet, in quorum fidem sigillo nostro subscriptione, nec non cancellarii nostri munitas dedimus. Trahonæ, ex ædibus prætoriis, die lunæ 29 martii 1619».

Infine la sua firma autografa «Michael», e la sottoscrizione del suo cancelliere, «Ioannes Montius cancellarius etcetera de Morbegno scripsit».

Questa redazione del 1619 venne data alle stampe in un anno imprecisato, certamente anteriore al 1723, allorché Carlo Giacinto Fontana ne redasse una ulteriore nuova copia autentica, oggi conservata presso l’Archivio di Stato di Sondrio proprio tra le carte di quel notaio ed erudito morbegnese [7].

«1723 adi 30 aprile in Morbegno. La sudetta copia de verbo ad verbum è stata cavata da un’altra stampata che si trova presso il signor Giovanni Pietro Vicedomini, figlio del signor Carlo di Morbegno, per me Carlo Giacinto Fontana nodaro di Morbegno».

Come intuibile, sia la natura della fonte sia la sua travagliata traditio impongono una particolare cautela. Se infatti, da un lato, tale raccolta ci si offre quale prezioso punto di partenza orientativo per le ricerche, dall’altro lato e nel contempo si affaccia il compito di una verifica sistematica per quanto concerne l’autenticità dei documenti riportati in compendio.

In ordine a tale intento si rivelano particolarmente fortunati e significativi i due casi per i quali è stato possibile ripercorrere a ritroso la traditio delle scritture. Infatti, l’intrinseca importanza del rinvenimento del documento apporta utili elementi anche al fine di meglio comprendere la natura della Breve narrativa e le modalità operative attivate dal Ninguarda nel 1609.

Quanto al diploma di Enrico VI, che risale probabilmente al 1193, –qui edito al numero 8– è stato assai significativo il rinvenimento di una copia della fine del XII secolo–inizio XIII secolo, attualmente conservata presso l’Archivio di Stato di Sondrio, all’interno del fondo Manoscritti della Biblioteca civica Pio Rajna. Per i dettagli specifici relativi al documento, si rimanda alla nota introduttiva che ne precede l’edizione; ma qui è opportuna soltanto una sottolineatura: la presenza del diploma presso l’archivio di Stato di Sondrio pare attestare che un secondo spezzone delle carte dell’archivio di quella famiglia seguì una differente strada rispetto a quella ‘morbegnese’ profilata in precedenza. Probabilmente, infatti, il documento giunse presso l’Archivio di Stato di Sondrio insieme alle carte del già menzionato Carlo Giacinto Fontana. Questo dato pare offrire un supporto all’ipotesi già avanzata nel 1936 da Giustino Renato Orsini. Egli infatti affermò che parte dell’archivio dei Vicedomini fu «ereditato per via materna da Carlo Giacinto Fontana». Tuttavia solo uno studio approfondito e analitico della storia delle carte di quella famiglia, a loro volta oggetto di dispersione, potrà chiarire meglio questi dati, che attualmente rimangono piuttosto vaghi.

Ma una ulteriore prova della forte dispersione a cui le carte dei Vicedomini furono sottoposte viene soprattutto dall’altro documento che si è potuto ritrovare in originale: la donazione del 983 di Ottone II a Bariberto del fu Pietro di una parte delle mura della città di Como, qui edita al numero 3. Il documento è attualmente conservato presso l’archivio storico civico di Pavia. Tale inaspettata collocazione della membrana è determinata dalla sua storia di trasmissione, legata al mercato antiquario e al collezionismo ottocentesco pavese. In dettaglio, si lega alla figura del cavalier Camillo Brambilla di Pavia, avvocato, archeologo e numismatico, che del collezionismo fu uno dei rappresentanti più attivi [8]. E il documento in esame aveva sollecitato l’interesse del Brambilla probabilmente per il fatto che la donazione di Ottone II era avvenuta su richiesta di Pietro, vescovo di Pavia (972–983 o 984) [9]. Proprio questa membrana, insieme ad un’altra ugualmente ‘comasca’ [10], costituiscono le due unità più antiche delle Carte Brambilla: una raccolta «miscellanea di carte d’interesse pavese» [11]. Queste due membrane del Brambilla –insieme al suo archivio– giunsero tramite legato testamentario nell’anno della morte del Brambilla, il 1892, alla Biblioteca Bonetta, di cui il Brambilla, profondo amico del fondatore Carlo Bonetta, fu attivo sostenitore.

Note

[1] G. F. DAMIANI, I Vicedomini e la loro denominazione nella Valtellina, p. 1 e seguenti; ORSINI, I Vicedomini, pp. 3–46; BESTA, Un diploma inedito, pp. 811–819; PEZZOLA, Uno sguardo dal castello di Domofole, pp. 98–135.

[2] Ma si deve avvisare dell’impossibilità di ispezionare in modo sistematico gli archivi locali, ecclesiastici e civili, presenti in bassa Valtellina, poiché quasi nessuno di essi è riordinato: la maggior parte di questi archivi è attualmente inaccessibile.

[3] PEZZOLA, Uno sguardo dal castello di Domofole, pp. 104–108.

[4] APMRB, Sezione C, Vicedomini, serie 2, fasc. 1.

[5] Ivi, serie 1, fasc. 1.

[6] La Breve narrativa è presentata in BESTA, Un diploma inedito, p. 816 e in PEZZOLA, Uno sguardo dal castello di Domofole, pp. 104–135.

[7] Questa copia è trascritta in PEZZOLA, Uno sguardo dal castello di Domofole, pp. 126–135; riproduzione fotografica del recto della prima carta, ivi, p. 105.

[8] Riguardo a questo personaggio: ROMANO, Camillo Brambilla (necrologio), pp. 238–244 e MACCABRUNI, Documenti di uno scavo archeologico ottocentesco, pp. 144–153; Immagini dalla Biblioteca Bonetta, pp. 9–11, 81.

[9] Quale sia stato il percorso che condusse questa membrana nelle mani del Brambilla non è dato saperlo. A questo proposito pare comunque interessante stabilire un raffronto con un altro simile documento comasco di cui pure entrò in possesso il Brambilla: la donazione, del 949 agosto 20, di un altro tratto delle mura della città di Como da parte di re Lotario a Nazario iudex. Tale donazione fu concessa a Pavia, e per questo motivo rientrò a pieno titolo nell’ambito d’interesse del collezionismo del Brambilla. Da Rodolfo Maiocchi veniamo a conoscenza del fatto che il Brambilla «l’ebbe in dono dal notaio pavese Giuseppe Marinoni, e questi alla volta sua lo ricevette dal signor dottor Martino Gualteroni di Morbegno (Sondrio)» (MAIOCCHI, Un diploma inedito di re Lotario, p. 82).

[10] Cf. la nota precedente.

[11] Immagini della Biblioteca Bonetta, p. 81.

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