consoli di giustizia 1331 - 1797

Data l’estrema frammentarietà dello statuto del 1248, la prima fonte statutaria a cui potersi riferire é lo statuto del 1331, il quale stabiliva che ogni anno venissero eletti otto consoli di giustizia, dei quali quattro “iudices” (uno per ogni porta cittadina) e quattro “layci literati” (anch’essi uno per ogni porta) che rimanevano in carica per sei mesi (Statuto di Bergamo 1331); lo statuto del 1333 fece scendere a quattro il numero complessivo dei consoli (Statuto di Bergamo 1333) e da quello del 1355-74 sparì il riferimento alle porte cittadine (Statuto di Bergamo 1355).
Il passaggio sotto Venezia non vide significative modificazioni almeno sino al 1491. Lo statuto del 1491 stabilì che il collegio dei giudici si dovesse riunire ogni dicembre per eleggere quattro consoli di giustizia, estratti a sorte da due bussole nella quali erano stati collocati i nominativi dei membri del collegio suddivisi in “seniores” e “iuniores”. I consoli estratti, divisi in due gruppi, comprendenti ciascuno uno “iunior” ed uno “senior”, non potevano appartenere alla stessa famiglia o agnazione e, dopo essere stati approvati dal consiglio minore ed aver giurato, duravano in carica per sei mesi, ricevendo dal comune una parte di salario fissa ed una proporzionata al valore delle cause discusse.
I consoli, che non potevano rifiutare di conoscere e definire le cause loro commesse (escluso ovviamente il caso in cui possa essere invocatala legittima suspicione), avevano “in omnibus causis, quaestionibus, seu controversis” giurisdizione “tam contentiosam quam voluntariam” ed erano tenuti a procedere “bona fide et aequaliter” seguendo le disposizioni dei mandati e dei decreti della Serenissima e degli statuti cittadini “sumarie, simpliciter, et de plano et sine strepitu et figura iudicii”.
Dovevano emanare le loro sentenze “concorditer”; in caso di disaccordo, con il parere favorevole delle parti, eleggevano un “assumptus” tra i membri del collegio dei giudici, dovendosi poi uniformare nella sentenza al parere di questo (l’“assumptus” era pagato con il salario che sarebbe spettato al console il cui parere era stato da lui ritenuto errato).
Avevano facoltà di giudicare nel civile senza limitazioni di valore della causa e perciò avevano un banco nel palazzo della ragione dove sedevano col vicario pretorio ed il giudice alla ragione e dazi (Statuto di Bergamo 1491).
Le loro competenze specifiche sono così riassunte dal Da Lezze: “poter inteponer auctorità a donne, tutori, et a simili persone quale da se stesse contraher né distraher” (Da Lezze, 1596).
Gli appelli interposti alle loro sentenze, dovevano essere devoluti ad un altro dottore del collegio dei giudici (eletto dalla parti) il quale poteva “laudar, taliar et moderar la sententia appellata”; poiché non era possibile un ulteriore ricorso nel caso in cui la sentenza d’appello confermasse quella di primo grado, si poteva verificare il caso di iter procedurali rimasti sempre sotto il diretto controllo di giudici cittadini, potendo avere sentenze definitive senza che i processi dovessero uscire dai confini di Bergamo.
Vale la pena di segnale che la magistratura dei consoli di giustizia rimase attiva anche dopo la caduta del regime veneto. La sua attività é infatti testimoniata sino al luglio del 1800, quando venne introdotta una nuova organizzazione per l’amministrazione della giustizia civile (AC Bergamo, inventario Archimedia).

ultima modifica: 19/01/2005

[ Fabio Luini, Cooperativa Archimedia - Bergamo ]