diocesi di Crema 1580 - [1989]
Il territorio di Crema fu definito fin dall’antichità da una sostanziale unità, che ne giustificò poi la costituzione in diocesi autonoma. Eppure, dal punto di vista ecclesiale, l’area cremasca fu divisa per secoli tra tre diocesi: quella cremonese, che copriva un’area sulle due sponde del fiume Serio, quella piacentina e, per un piccolo lembo a ovest, quella lodigiana.
La conformazione territoriale e le vicende storiche possono spiegare una simile situazione. Il territorio denominato anticamente Insula Fulcheria costituiva una sorta di cuneo fra l’Adda e il Serio e raccoglieva la gran parte dell’attuale territorio della diocesi e soprattutto i due centri d’insediamento religioso più rilevanti, Crema e Palazzo Pignano. Ma il territorio cremasco era caratterizzato anche dalla presenza del lago Gerundo, estensione paludosa creatasi tra il 400 e il 750 d.C. a causa delle frequenti esondazioni del Po. Assieme al lago Gerundo, a segnare le vicende del cremasco concorse il Moso, grande palude che ancora nel XVIII secolo misurava venticinquemila pertiche e che fu definitivamente prosciugata dall’apertura del canale di Marzano o Vacchelli tra il 1887 e il 1890.
Alla prima fase della cristianizzazione dell’attuale territorio di Crema vanno rapportati i ritrovamenti archeologici di una basilica paleocristiana e di una grande villa o palatium a Palazzo Pignano. L’importanza del centro di Crema crebbe solamente nell’XI secolo. Matilde di Canossa infatti lasciò l’Insula Fulcheria come beneficio dei cremonesi, ma i cremaschi non accettarono l’ingerenza cremonese e si allearono ai milanesi. Nel secolo successivo, quando l’imperatore Federico I scese in Italia per recuperare la supremazia sull’Italia settentrionale, Crema si presentò come un ostacolo, poiché era nemica dei suoi alleati cremonesi. Nel 1159 Crema subì l’assedio congiunto di imperiali e cremonesi che si concluse con la distruzione della città, ma senza sterminio degli abitanti. Le alterne vicende delle alleanze condussero qualche anno dopo lo stesso Federico a riedificare Crema, nel 1185. Tuttavia, la frammentazione ecclesiastica non fu sanata: il territorio rimase diviso nelle tre diocesi di Cremona, Piacenza e Lodi. Nel periodo della fondazione della città, si insediarono anche cinque monasteri benedettini: San Benedetto in Crema, fondato da Enrico II dei Giselbertini, San Pietro di Ombriano; San Pietro di Modignano; Santissima Trinità in Crema e San Fabiano di Farinate. Il favore dell’imperatore non coincise con quello del papa. Gregorio VIII nel 1187 ribadì i diritti del vescovo di Cremona sul territorio di Crema. D’altronde, anche le alterne vicende dell’impero isolano per un momento Crema: Enrico VI a Cremona investe la città di diritti su Crema e il suo territorio. In verità, l’importanza di Crema era di natura soprattutto strategica, poiché permetteva il controllo dell’accesso all’Adda sul versante sinistro e il possesso di un territorio fertile e produttivo. Ma i cremaschi, alleati dei milanesi e dei bresciani, disattesero i dettati imperiali e successivamente quelli papali. Il conflitto durò, con alterne vicende per tutto il XII e XIII secolo. Intanto, i cremaschi decisero di dotarsi di un tempio degno del ruolo cui aspiravano e iniziarono la costruzione del duomo, che fu sottoposto alla giurisdizione del vescovo piacentino. Intanto iniziava la presenza in città degli miliati.
Nel 1449 i veneziani assediarono la città e la espugnarono. Nel quadro del riassetto politico dell’alta Italia, sanzionato dalla pace di Lodi del 1454, l’occupazione veneziana fu accettata da Francesco Sforza. Il dominio veneto durò, con una brevissima interruzione dal 1509 al 1512 dopo la battaglia di Agnadello, fino al trattato di Campoformio, quando Napoleone cedette la repubblica di Venezia all’impero d’Austria. Crema però fu occupata dalle truppe francesi e inclusa nella repubblica cisalpina.
Lo stato del territorio dal punto di vista pastorale nel XVI secolo è dato dalle relazioni sulle visite compiute dai vescovi delle varie diocesi che si dividevano le parrocchie. Dagli atti di Antonio Scarampo, vescovo di Lodi, risultava che solo Casaletto Ceredano e Passerera dipendevano da sempre dalla diocesi di Lodi. Dalle relazioni di Nicolò Sfondrati, vescovo di Cremona, risultava che la sua giurisdizione si estendeva a nord di Crema, a sud e a oriente per un totale di ventidue parrocchie. La relazione del visitatore apostolico Giovanni Battista Castelli vescovo di Rimini compiuta nel 1579 nelle parrocchie di competenza del vescovo di Piacenza disegnava un quadro accurato della situazione organizzativa del clero e di quella spirituale dei fedeli. Castelli rilevava numerose irregolarità e arbitri, imputabili alla lontananza dei pastori e alla conseguente trascuratezza nelle funzioni, nella tenuta della documentazione, nella stessa tempra morale.
Dopo essere passati sotto la dominazione veneziana, i cremaschi iniziarono a chiedere pressantemente la costituzione di una diocesi autonoma, ma due tentativi, portati da Luigi Vimercati a Bergamo e nel 1497 dal sacerdote Andrea Clavello a Roma, furono frustrati. I due infelici precedenti convinsero i cremaschi a pazientare fino al 1545, quando inviarono tre illustri concittadini a Roma per perorare la nomina a vescovo di Crema di Leonardo Benzone, prevosto del duomo, il quale venne sì nominato vescovo, ma di Volturara Appula in Puglia. I tentativi ripresero nel 1563, con l’invio a Roma di Valerio Amanio, segretario del cardinale Carlo Borromeo. Ma anche stavolta prevalse la contrarietà dei vescovi di Piacenza e Cremona.
Intanto la vita ecclesiale di Crema conosceva ulteriori momenti di decadenza, favoriti dal fatto che i due vescovi lontani preferivano non entrare in conflitto tra di loro e quindi abbandonavano a loro stesse le parrocchie lontane. Anche le visite pastorali furono svolte con poca cura.
Solo il Concilio di Trento costrinse i vescovi piacentini Paolo Burali e Tomaso Giglio e il cremonese Nicolò Sfrondati a riprendere con serietà il ministero della visita.
La relazione di Castelli citata, proprio in ragione della decadenza della pastorale, si dichiarava insieme favorevole alla costituzione della diocesi e perplessa per i conflitti con gli altri vescovi. Forse per intervento di Carlo Borromeo, tuttavia, l’11 aprile 1580, con la bolla Super universas, papa Gregorio XIII elevò Crema al rango di sede vescovile.
I primi vescovi furono tutti patrizi veneti, a garanzia per la Serenissima. La collocazione della diocesi nella gerarchia territoriale fu controversa: dapprima soggetta direttamente alla sede apostolica, Crema fu poi suffraganea della chiesa bolognese, senza effetti pratici, peraltro. Rimase in questa collocazione fino al 1835, quando divenne suffraganea della chiesa metropolitana di Milano.
Il primo vescovo fu Gerolamo Diedo, patrizio veneziano e primicerio di Padova. Diedo fu sostituito presto negli atti dal vicario generale Cristoforo Torniola, gentiluomo cremasco. Due anni dopo monsignor Regazzoni, vescovo di Bergamo, effettuò una visita pastorale, che portò all’istituzione dei vicariati, nel tentativo di riportare ordine nell’organizzazione territoriale. Alla morte di Girolamo Diedo, nel 1585, papa Gregorio XIII nominò vescovo il nipote Gian Giacomo Diedo. Fu costui il vero primo vescovo di Crema: si dedicò infatti a una instancabile attività organizzativa, compresa l’adozione del Rituale brixiense, per porre fine alla confusione nella stessa celebrazione dei riti. Cercò di introdurre le riforme tridentine e rese operativi i vicariati foranei istituiti da Regazzoni. Monsignor Diedo celebrò sette sinodi, istituì una casa di accoglienza per convertite, chiamò a Crema i gesuiti, effettuò nove visite pastorali. Intraprese anche a opere di carità, soprattutto in occasione della rovina della industria del panno e del lino, nel 1611. Morì nel 1616.
Pietro Emo, veneziano, teologo teatino, esercitò il ministero di vescovo fino al 1629. Compì due visite pastorali, favorì il decoro delle chiese, l’aumento della pietà e l’osservanza delle norme canoniche. Organizzò la curia e trasferì il seminario nell’ex convento degli umiliati. Consacrò le chiese parrocchiali di Casaletto Vaprio e di Pianengo. Tenne quattro sinodi. Durante il suo episcopato, gli spagnoli saccheggiarono parte del cremasco durante la guerra tra Venezia e l’impero. Alla sua morte, nuovo vescovo fu nominato il patrizio veneziano Marco Antonio Bragadin. Un anno dopo la città fu colpita dalla peste che dimezzò la popolazione. Bragadin compì una visita pastorale, poi fu trasferito a Vicenza e quindi a Roma, dove fu eletto cardinale. A succedergli fu chiamato nel 1633 il patrizio veneziano Alberto Badoer, che governò la diocesi per quarantaquattro anni. Effettuò diverse visite pastorali, consacrò le chiese parrocchiali di Bagnolo e di Bolzone, tenne un importante sinodo diocesano nel 1650, fece costruire la chiesa di Santa Maddalena e introdusse in città i barnabiti. Fu anche un notevole predicatore. Alla sua morte, la diocesi fu retta per sei anni dall’arcidiacono Cesare Vimercati, poiché il vescovo designato, Marcantonio Zollio, bergamasco, arrivò in diocesi solo nel 1684. Zollio fu comunque un pastore attivo e premuroso verso il suo popolo. Compì due visite pastorali e celebrò due sinodi, attento soprattutto a ripristinare la disciplina nel clero. Curò il seminario e scelse come suo vicario Faustino Griffoni, poi beatificato. L’organizzazione ecclesiale era in questo periodo ben articolata. Il clero cremasco fu sempre numeroso, per vari fattori, non esclusi il desiderio di un riconoscimento sociale e le numerose prebende.
Presso la cattedrale vi era il capitolo, formato dall’arcidiacono e dal prevosto della parrocchia del duomo, da dodici canonici da sei mansionari, da sacristi e chierici e da una trentina di cappellani.
Vi erano poi i rettori parroci delle quattro parrocchie cittadine. I parroci rurali erano quarantotto: verso di loro si indirizzarono gli sforzi per innalzare la qualità dell’attività ecclesiale. Fondamentale fu l’organizzazione della diocesi in vicariati: di Casaletto Vaprio, poi a Trescore; di Casale Cremasco; di Offanengo, di Bagnolo; di Montodine.
Lo strumento per unificare cultura e indirizzi pastorali fu il seminario diocesano, strutturato in un curriculum studi rigoroso basato sulla grammatica, le formule dei riti e delle cerimonie, il catechismo tridentino, il canto fermo e figurato.
La presenza di ordini religiosi in diocesi fu quasi del tutto concentrata in Crema.
Agli inizi del XVII secolo erano scomparsi i benedettini e gli eremitani. I gesuiti lasciarono la città nel 1609, a seguito delle sanzioni veneziane. Nel 1608 i domenicani istituirono il tribunale dell’Inquisizione. I francescani furono presenti con ogni famiglia. Il più importante convento cittadino fu quello degli agostiniani, frequentato da nobili famiglie cremasche, che lo arricchirono di cospicui lasciti. Furono presenti in modo significativo anche i canonici lateranensi. I cisterciensi fondarono l’abbazia di San Bernardo.
Nel 1664 arrivarono a Crema i barnabiti, che occuparono ristrutturandolo il convento di San Marino. Nello stesso periodo erano presenti anche molti Ordini femminili: clarisse, agostiniane, domenicane, cappuccine, convertite, terzine, teresine.
Furono numerose anche le confraternite, le discipline e le corporazioni: dalla compagnia della carità in Sant’Antonio abate, alla confraternita di San Giuseppe, aperta solo ai falegnami e ai muratori, alla scuola della Madonna della Misericordia.
Il consorzio di San Giovanni della carità raccoglieva laici ed ecclesiastici per assistere poveri, ammalati, carcerati. Le più importanti confraternite furono quelle della dottrina cristiana, del Santissimo Sacramento e del Rosario.
In Crema furono attive cinque associazioni di disciplini. Anche le corporazioni di arti e mestieri, se non direttamente religiose, pure operarono con profondo spirito religioso soprattutto verso il santo patrono.
Anche gli istituti caritativi ebbero grande e radicata diffusione: dagli ospedali, l’Ospedale maggiore, fondato nel 1351, istituzione laica e civile e alcuni riuniti nell’Ospedale grande o di Santa Maria Stella; alla casa delle zitelle: fanciulle povere, orfane e bisognose di assistenza; all’istituto delle ritirate, per meretrici salvate dalla strada. Per finire con il Monte di pietà, istituito per combattere l’usura.
Il XVIII secolo si aprì con la nomina di Faustino Griffoni Sant’Angelo, primo cremasco a raggiungere il soglio vescovile, nel 1702. Di origine nobile, si era laureato a Pavia, prima di tornare a Crema dove era ben presto diventato vicario generale. Sviluppò un’instancabile attività e si dedicò con particolare cura al seminario, che ristrutturò. Compì due accurate visite pastorali, insistette per il catechismo ai fanciulli e per l’esame di religione agli aspiranti sposi. Morì nel 1730. Clemente XII nominò come successore il bresciano Lodovico Calini, che consacrò le chiese di Rovereto, della Santissima Trinità, di Ripalta Vecchia, di Vergonzana e di Izano, celebrò un sinodo nel 1737, tanto rilevante che le disposizioni relative rimasero in vigore fino al 1897. Effettuò anche una visita pastorale. Una controversia sull’ampliamento del seminario, che aveva dotato di una notevole biblioteca, lo convinse a rinunciare alla diocesi nel 1751. Il veronese Marco Antonio Lombardi si distinse per le numerose iniziative nel campo dell’edilizia ecclesiastica: portò a termine l’ampliamento del seminario, eresse la sontuosa villa delle Torricelle a Santa Maria della Croce, rifece le case coloniche di proprietà del vescovado. Effettuò una accurata visita pastorale, di cui rimangono i diligenti documenti stilati dai suoi collaboratori, fonte preziosa per la ricostruzione dello stato della diocesi. Alla sua morte, nel 1782, fu nominato vescovo il monaco camaldolese Antonio Maria Gardini, veneziano, tenuto in grande considerazione per i suoi studi teologici. Si adoperò per innalzare la preparazione del clero. Durante il suo episcopato Crema passò dal dominio veneziano a quello francese e poi a quello austriaco. Dopo la sua morte, avvenuta a Vicenza nel 1800, ci vollero sei anni per avere la nomina di un altro vescovo e altri due per vederlo a Crema.
Nella seconda metà del secolo i conventi cremaschi furono tutti liquidati. Cominciò il governo veneto, che nel 1769 soppresse i cisterciensi, i minori osservanti, i terziari regolari e i canonici lateranensi. Continuarono i francesi, che soppressero il tribunale dell’Inquisizione e negli anni seguenti i barnabiti, i terziari del convento di Santo Spirito, i carmelitani i francescani conventuali e gli osservanti, i cappuccini. Stessa sorte toccò alle case religiose femminili.
Il nuovo vescovo, monsignor Tommaso Ronna, milanese, si insediò a Crema nel 1808. Per la formazione del clero, monsignor Ronna riorganizzò il seminario; nel 1813 pubblicò le Istituzioni del Seminario di Crema, con le quali ne riordinava l’intero funzionamento, ritoccando anche il curriculum scolastico. Le sue norme rimasero in vigore fino al 1902.
Monsignor Ronna prese anche energica posizione contro le degenerazioni della devozione popolare, per regolare la quale introdusse una vera e propria regolamentazione, che i sacerdoti erano tenuti a far rispettare. In questo quadro, sollecitò anche la ripresa della devozione mariana, soprattutto attorno al santuario di Santa Maria della Croce.
Quando il vescovo Ronna morì nel 1828, la diocesi andò incontro a un periodo di vacanza talmente lungo, da farne temere addirittura la soppressione. Tuttavia, dopo sette anni arrivò il nuovo vescovo, il milanese Carlo Giuseppe Sanguettola. Egli introdusse in diocesi nel 1840 le canossiane (Figlie della carità) 1840 e le ancelle della carità per l’assistenza morale alle ragazze povere e inabili. Il vescovo curò anche l’educazione maschile, con l’apertura, grazie a un rilevante lascito del marchese Monticelli Strada, di un oratorio, intitolato a San Luigi. La morte di monsignor Sanguettola nel 1854 fu seguita da un altro periodo di vacanza, durato quasi tre anni. Fu infine nominato il cremasco Pietro Maria Ferré, già vicario capitolare. Ferré fu trasferito due anni dopo a Pavia, ma non vi si potè trasferire per l’opposizione del regio governo e rimase dunque alla guida della diocesi di Crema fino al 1867, quando venne trasferito a Casale Monferrato. La sua ispirazione pastorale fu indirizzata alla disciplina del clero e alla formazione cristiana del popolo. Rilanciò infatti la scuola della Dottrina Cristiana. Dal 1867 di nuovo i cremaschi si trovarono senza guida spirituale, poiché il successore di Ferrè, designato fin dal 1859, non potè mai prendere possesso della diocesi, così che monsignor Carlo Macchi, milanese, non figura ufficialmente nella serie dei vescovi. Solo nel 1871 arrivò il nuovo prelato, il cremasco Francesco Sabbia. Anche monsignor Sabbia privilegiò l’istruzione religiosa del popolo attraverso l’insegnamento del catechismo, sostenne la necessità di appoggiare la stampa cattolica, che peraltro ancora non esisteva a Crema, e la presenza attiva dei cattolici nelle amministrazioni, piuttosto che nella politica. Durante il suo episcopato si insediarono a Crema le suore del Buon Pastore.
A un anno dalla morte di monsignor Sabbia, avvenuta nel 1893, fu nominato vescovo Ernesto Fontana, milanese. Dopo cinque mesi dall’ingresso in diocesi, presentò ai fedeli il suo piano pastorale: visita pastorale a tutte le parrocchie, celebrazione del sinodo diocesano e rilancio della catechesi. La visita iniziò nel 1896 e si concluse nel 1897. A questa seguì una seconda visita nel 1906. Nel 1897 si tenne il sinodo diocesano (l’ultimo risaliva al 1738). Temi dell’assise: l’educazione del popolo, la lotta contro la stampa antireligiosa, la sollecitazione alla frequenza ai sacramenti, la disciplina del clero. Si posero in quella occasione le basi per la fondazione, avvenuta qualche anno più tardi, della Società di mutua carità fra il clero cremasco.
La crisi modernista sfiorò anche la diocesi cremasca, seppure in tono minore. Solo tre furono infatti i religiosi che pagarono un prezzo repressivo per le loro idee identificate come moderniste. Il più importante dei tre, don Giuseppe Quadri godè comunque sempre della stima del vescovo Fontana e anche del suo successore. La crisi non ebbe conseguenze rilevanti, anche se il cardinale De Lai, segretario della Congregazione concistoriale, insisteva sulla repressione dei modernisti cremaschi, peraltro non indicati. Ma monsignor Bernardo Pizzorno, succeduto nel 1911 al Fontana, non lo seguì su questa strada. Monsignor Carlo Dalmazio Minoretti sostituì Pizzorno nel 1915, nel pieno della crisi bellica. Pur nelle difficoltà del dopoguerra, il vescovo portò a termine nel 1919 una visita pastorale e organizzò nel 1923 un sinodo diocesano, ispirato a una riflessione non solo sui temi classici dell’educazione del popolo e sulla formazione del clero, ma anche sui nuovi impegnativi temi dell’agire istituzionale e politico. Si preoccupò anche dello sviluppo dell’Azione cattolica e di sollecitare i preti allo studio della sacra scrittura e del diritto canonico. Monsignor Minoretti venne spostato alla sede metropolitana di Genova; gli succedette monsignor Giacomo Montanelli, che arrivò in diocesi nel 1925 per rimanerci solo due anni per essere spostato a Vercelli come coadiutore dell’arcivescovo. Mantenne tuttavia il governo della diocesi di Crema fino al 1930. Il nuovo pastore conservò verso il regime l’atteggiamento indipendente che aveva caratterizzato il precedente episcopato. Nel 1928 fu celebrato il secondo congresso diocesano.
Monsignor Marcello Mimmi, arrivato a sostituire Montanelli nel 1930, si presentò con intenti dichiaratamente ed esclusivamente religiosi. Davanti all’aggressione del regime contro l’Azione cattolica si comportò con grande dignità, disponendo che non fossero forniti all’autorità fascista gli elenchi degli iscritti. A livello locale, il vescovo pose l’accento con ancora maggior forza sull’insegnamento della dottrina cattolica. Lasciò Crema per la sede arcivescovile di Bari.
Lo sostituì il piemontese monsignor Francesco Maria Franco, che sostenne esplicitamente numerose iniziative sociali del fascismo. Monsignor Franco si dedicò a un forte rafforzamento dell’Azione cattolica, che conobbe una notevole espansione, e alla costruzione del nuovo seminario. Nel 1950 Franco diede dimissioni irrevocabili. Fu sostituito da monsignor Giuseppe Piazzi, cremonese, che esercitò il suo magistero per soli tre anni. Si dedicò al problema assistenziale, particolarmente sentito in una fase di trasformazioni sociali enormi e rapidissime, che spostavano la manodopera dalle campagne alle città, creando situazioni di miseria e degrado, promosse la costruzione della Casa del cuore di Crema. Nel 1953 compì la visita pastorale e convocò il sinodo diocesano. Il suo successore, monsignor Placido Maria Cambiaghi, cremonese, rivalutò il catechismo per gli adulti, l’istruzione religiosa del popolo, a cui dedicò una settimana di studio nel 1957, che si concluse con l’istituzione del corso per maestri di catechismo. Nel 1960 promosse il terzo congresso eucaristico diocesano. Si dedicò anche ai giovani e ai lavoratori, cui indirizzò lettere pastorali. E infine ebbe cura di raccomandare la diffusione della stampa cattolica. L’ultimo suo impegno pastorale fu la partecipazione ai lavori del primo periodo del Concilio Vaticano II. Dopo di lui altri due vescovi cremaschi parteciparono all’assise conciliare: monsignor Franco Costa e monsignor Carlo Manziana
ultima modifica: 19/01/2005
[ Mauro Livraga ]
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