comune di Pavia sec. XIV - 1757
La formazione degli statuti pavesi segue un iter ormai noto. La prima testimonianza è il Diploma imperiale di Federico Barbarossa del 1164 agosto 8 (diploma Federico I) in cui sono riconosciuti alla città “omnes suos bonos usus et bonas consuetudines” manca tuttavia il riferimento esplicito alla possibilità di emettere norme statutarie ( Fagnani 1965 e Porqueddu 1995).
Nel 1176 risulta l’esistenza del Breve consulum “super quod iurabunt consules comunis et iusticiae et credentiae Papie” che costituisce il nucleo primitivo degli statuti (Fagnani 1965)
Con il Diploma del 1191 di Enrico IV, l’imperatore conferma “omnes usus et consuetudines” che i pavesi “habunt vel temporibus serenissimi quondam patris nostri habere consueverunt, seu quas rectores Papie cum consilio non contra leges statuerunt” che indica un implicito riconoscimento del potere normativo della città ( Fagnani 1965).
Nel 1208 viene menzionato un Generale statutum civitatis.
Il Diploma del 1219 (in Winckelmann, Acta imperii inedita saeculi XII et XIV, Innsbruck 1880, rist. anastatica Aalen I, n. 163) conferma le precedenti concessioni riconoscendo “omnes usus et consuetudines, quas habent vel temporibus serenissimi quondam patris nostri habere consueverunt seu quas rectores Communis Papie, qui in concordia ipsius civitatis electi fuerint, statuerint vel statuunt consilio credentiae et voluntate communis predictae civitatis”. In questo periodo il numero dei consoli, che provvedevano all’amminstrazione della città, era inferiore a 10 e i successori erano eletti da una commissione nominata dai consoli stessi. Fino all’inizio del Duecento l’elezione avveniva alle calende di novembre. I consoli si occupavano anche della giustizia penale e civile in appello e della redazione degli statuti (Fagnani 1965).
Al XIII secolo risale un Liber populi scomparso.
Una prima redazione statutaria di cui si possiede solamente un frammento è del 1315, afferma che la divisione per materia (Statuta de Regimine Potestatis per la materia costituzionale e amministrativa, Statuta Civilia per il diritto privato e la procedura civile, Statuta Criminalia per il diritto e la procedura penale) non fosse ancora stata attuata e presume che essa sia apparsa nella versione del 1360 anch’essa perduta, posteriore al primo dominio visconteo. Gli statuti raggiunsero la loro forma definitiva nel 1393 dopo la riforma voluta da Galeazzo Visconti che ebbe i suo i punti chiave nel 1378 1381/82 e nel 1383; si giunge quindi alla versione definitiva del 1393. La la struttura tripartita è ormai stabilita e il numero delle norme diminuisce ulteriormente: gli Statuta de Regimine Potestatis sono costituiti da 67 rubriche, gli Statuta Civilia da 83 e i Criminalia da 60.
Da questo momento in poi gli statuti perdono lentamente la loro vitalità. A partire dal XIV secolo nessuna norma potrà più considerarsi di rango statutario in quanto si tratterà di prescrizioni, anche elaborate a livello locale, autorizzate o confermate dalle autorità superiori.
La rappresentanza dei cittadini era assicurata dal consiglio maggiore, un organo elettivo con durata annuale formato da 200 cittadini della città e dei borghi di Pavia.
Di fatto la città era governata dal consiglio di provvisione costituito da dodici cittadini pavesi che si alternavano con cadenza bimestrale e i cui nomi erano estratti all’inizio dell’anno, fra questi due erano eletti abati e presiedevano l’assemblea.
La riduzione delle famiglie decurionali aveva portato alla necessità di ampliare il ceto dirigente della città e questo scopo fu raggiunto con la riforma del 1549, infatti venne permesso l’accesso al governo della città a centosessantotto casati con un diritto alle cariche proporzionale al numero degli uomini per famiglia. Le condizioni per entrare a fare parte del governo della città e quindi diventare decurione erano l’età non inferiore ai trent’anni, la cittadinanza pavese e il domicilio in città per almeno un anno prima della nomina, la buona fama e il non esercizio di un’arte vile da parte del candidato e del padre.
All’interno del governo della città erano disponibili diverse cariche, alcune remunerate e altre gratuite: erano remunerate quella di oratore e di sindaco che avevano il compito di patrocinare gli interessi della città. Erano salariati gli avvocati che facevano da consulenti nelle cause della comunità. Anche il tesoriere che teneva la contabilità del comune riceveva un salario come pure il ragionato. Ricevevano una paga anche il giudice delle vettovaglie che vegliava sulle frodi alimentari, i signori soprastanti le fortificazioni e il massarolo che curava la gestione delle opere pubbliche.
Non erano salariati i consoli di giustizia che avevano il compito di tutelare donne e minori, i deputati alla visita agerum, i deputati alla carmeria che controllavano il prezzo delle vettovaglie, il deputato e notaio ai pegni da vendere degli ebrei, i sindacatori degli ufficiali, i deputati della sanità, i deputati all’ospitalità che provvedono agli alloggiamenti dei militari, e gli estimatori.
Una successiva riforma del governo cittadino avvenne nel 1588. Nel nuovo ordinamento è chiaro invece l’intento di porre il regime comunale sotto il controllo dell’autorità regia: per evitare che siano elette persone non idonee, il governo si arroga infatti il diritto di nominare personalmente quelli che entreranno nel consiglio per la prima volta dopo la riforma, scegliendone uno o più dalle antiche casate del 1549, dotati dei requisiti; per l’avvenire spetterà alla provvisione eleggere quanti dovranno subentrare ai decurioni mancanti , che per essere ammessi in consiglio dovranno però provare dinanzi al podestà e alla presenza dei sindaci comunali di appartenere a una delle casate descritte e di essere in possesso dei requisiti e, alla fine, presentare al consiglio la detta ammissione scritta. Alle sedute consiliari potranno partecipare ufficiali regi e comunali e altre persone che vogliano esprimere il proprio parere su questo o quel problema, ma senza alcun diritto di voto. La durata della provvisione è portata a sei mesi e ciascun membro rimarrà in carica complessivamente un anno poiché ogni sei mesi si muterà solo la metà dei componenti, mentre l’altra metà rimarrà in carica. La novità principale introdotta dall’autorità centrale è la creazione di una figura istituzionale nuova , i cosiddetti contradicenti, ovvero due consiglieri da eleggere ogni anno, scegliendoli preferibilmente fra i più anziani ed esperti, il cui compito è di contradire et opponere quelle ragioni che per conscienza giudicaranno essere giuste, contra la proposta sarà fatta dagli Abbati. È un sistema ideato per impedire confusione e liti nelle riunioni consiliari, poiché si presuppone che gli altri membri del consiglio evitino di parlare lasciando l’iniziativa ai due prescelti. […] Un’altra figura istituzionale introdotta dal nuovo regolamento è il Conservatore degli ordini, che ha il preciso compito di tenere con cura la raccolta di tutti gli ordini concernenti il comune e di savaguardarne l’osservanza insieme al podestà, “et occorrendo che alcuno pigliasse ardire di volerli impugnare, sotto qual si voglia colore, lo faccia mettere prigione et prenda le informationi di quello haverà detto o fatto et subito ne dia aviso, acciò se gli faccia dare quella punitione, che converrà alla sua temerità”. Probabilmente nelle intenzioni del governo il conservatore degli ordini avrebbe dovuto svolgere oltre che la funzione di custode e tutore dell’ordinamento anche quella di tramite fra centro e periferia, col compito di denunciare alle autorità superiori gli eventuali abusi.
(Porqueddu, Istituzioni e società tra l’inizio del dominio spagnolo e la fine del dominio austriaco, Storia di Pavia, vol. IV t. I pp. 25 – 110, 1995).
ultima modifica: 19/01/2005
[ Elisa Bassi, Cooperativa Arché - Pavia ]
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