diocesi di Pavia sec. IV - [1989]

Il primo vescovo di Pavia fu Siro, in un arco di anni imprecisato intorno alla metà del IV secolo. La prima attestazione di un vescovo di Pavia risale al concilio di Aquileia del 381 (Evenzio o Invenzio). L’inizio della diocesi si dovrebbe collocare intorno alla metà del IV secolo. Lo spazio territoriale della giurisdizione ecclesiastica pavese nell’antichità dovette con un buon margine di sicurezza corrispondere a quello del municipium romano (Lanzani 1982).
Va forse fatta risalire al 553, anno del concilio costantinopolitano che condannava i Tre Capitoli, la complessa vicenda relativa alla posizione del vescovo pavese in rapporto alla chiesa romana e al potere longobardo. Le province ecclesiastiche di Milano e Aquileia non avevano accolto la condanna dei Tre Capitoli, venendo a trovarsi in dissenso dottrinale da Roma e dalle posizioni imperiali. Anche dopo il ritono all’ortodossia del metropolita milanese, i vescovi suffraganei in territorio longobardo perseverarono nella loro posizione tricapitolina. A Pavia, capitale del regno longobardo, il vescovo cattolico viveva in una situazione anomala, coabitando con un vescovo ariano. Solo con atto del re Ariperto cessò la gerarchia ariana in Pavia e il vescovo ariano Arostasio si convertì al cattolicesimo romano. L’abolizione dell’arianesimo quale religione ufficiale della gente longobarda fu sancita con la fondazione della chiesa del Salvatore in Pavia, verso la metà del VII secolo. Solo con il sinodo pavese del 698 vescovo e re posero fine alla controversia tricapitolina d’intesa con la Santa Sede. Non è certo se all’inizio dell’VIII secolo il vescovo di Pavia avesse effettivamente un qualche titolo di esenzione dall’arcivescovo di Milano e fosse immediatamente soggetto alla sede romana, oppure se esistesse un diritto della consacrazione romana del vescovo pavese in una situazione di perdurante soggezione alla giurisdizione di Milano. Appare probabile che il rapporto unico tra la sede apostolica romana e quella vescovile pavese instauratosi nell’altomedioevo in seguito al fatto rilevante ma eccezionale della consacrazione romana del vescovo Arostasio sia maturata non da uno specifico caso giuridico, bensì dal progressivo accumularsi di fatti e circostanze, dettate da contingenze religiose e politiche (Lanzani 1982).
La diocesi di Pavia venne nuovamente annessa alla metropoli ecclesiastica di Milano solamente con il concordato napoleonico del 1803. In seguito alla Restaurazione, Pio VII, con la bolla “Paternae Charitatis” del 16 novembre 1819 assegnò nuovamente la diocesi di Pavia alla sede metropolitana di Milano, specificando che la dipendenza da Milano sarebbe cominciata nel periodo di vacanza dopo la scomparsa del vescovo allora in carica (Vigotti 1981).
Il territorio della diocesi pavese nei primi secoli del medioevo doveva riflettere, presumibilmente, le linee di confine dell’età tardo-antica. Il primitivo nucleo della giurisdizione ecclesiastica pavese corrispondeva quindi, in linea di massima, a quello del municipium romano, comprendente il pavese propriamente detto e la Lomellina, sia pure in un contesto non ben definito. Si può presumere che fino al X secolo la diocesi comprendesse parte del comitato di Pavia e del comitato di Lomello, ma doveva mancare una precisa coincidenza tra territori civili ed ecclesiastici (Forzatti Golia 1992). Il contesto territoriale della vita religiosa, dai primi secoli della diffusione del cristianesimo nella campagne fino alla tarda età medievale si basava anche nella diocesi di Pavia sulla struttura pievana. Fin dal IX secolo è documentata l’appartenenza al vescovo di Pavia della pieve di Bassignana; nei secoli seguenti si trovano documentate le pievi di Sant’Eusebio di Gambolò e Santa Maria di Mortara. In una bolla di Onorio III del 1217, che documenta una situazione anteriore, è offerta una panoramica delle dipendenze del vescovo. Tra i possedimenti situati ai confini della diocesi e quelli extradiocesani si trovavano alla destra del Po le pievi di San Siro di Sale, Piovera, Pietra Marazzi, Bassignana, Valenza, Astilianum, San Salvatore Monferrato. Nella zona orientale dell’odierno Oltrepò pavese risultavano comprese nel distretto vescovile pavese Rovescala, Portalbera, Stradella, Pancarana, Bastida (nel XIV secolo) (Forzatti Golia 1992).
Aspetto compresente e complementare rispetto alle pievi rurali per l’organizzazione pastorale diocesana fu quello delle pievi urbane. Nel sinodo pavese dell’anno 850 fu stabilito che come il vescovo era a capo della chiesa matrice (cattedrale) così gli arcipreti dovevano essere a capo delle pievi. Il vescovo quindi era titolare in prima persona della chiesa centrale della diocesi, matrice di tutte le altre. Dal punto di vista territoriale, la pieve urbana, dipendente dalla chiesa matrice, comprendeva inizialmente la città e il suo suburbio, e si ingrandì ulteriormente, verso la fine del secolo VIII con l’ampliarsi dei terreni soggetti alla decima. Lo ius baptizandi era strettamente connesso alla chiesa matrice, vescovile, che doveva consistere in uno o più edifici, distinti per il diverso esercizio delle funzioni. La frammentazione dello ius baptizandi in più chiese e la conseguente delimitazione di circoscrizioni parrocchiali che con i nuovi diritti acquisiti limitavano quelli tradizionali della chiesa matrice può essere forse già intravista tra X e XI secolo, a favore dei monasteri di San Pietro in Ciel d’Oro e San Salvatore. Dalla metà del X fino alla metà circa del secolo successivo, l’autorità vescovile fu messa in crisi per opera di laici e monaci, con il concorso della chiesa privata e del sistema dell’esenzione, che corrosero all’interno la compattezza dell’ambito diocesano, basandosi non più su un tipo di struttura a carattere circoscrizionale, ma su un tipo di struttura organizzativa incentrata sul possesso fondiario e sui rapporti formali personali. Dall’XI secolo si intensificarono le cessioni alla chiesa da parte dei laici di cappelle ricevute o usurpate, o da loro stessi costruite su loro possedimenti; destinatari di quelle restituzioni e donazioni furono spesso i monasteri, che già detenevano chiese e diritti di decima sulle loro proprietà. Possesso e acquisizione di chiese e cappelle ponevano il problema della “cura animarum”, che i monaci rivendicavano per sè. In ogni caso, ancora nel XIV secolo l’azione del capitolo della cattedrale pavese è volta a salvaguardare l’integrità della propria ampia circoscrizione decimale, intesa come giurisdizione. Nel XII secolo alla canonica della chiesa maggiore di Pavia, oltre al diritto di decima, appartenevano in città le chiese di San Giovanni al Fonte, San Savino, Santa Maria delle Mille Virtù, San Pancrazio, San Pantaleone vicino alla chiesa maggiore, e nella diocesi le chiese di Zenzelario, San Crispino di Vidiselo, Castelletto Ticino, San Martino di Fistalino, San Pietro di Garlasco, Merendianus, San Paolo di Sartirana; tale possesso, si può presumere, comportava il diritto di nomina dei rettori e la riscossione delle decime. La formazione delle parrocchie all’interno della città si deve far risalire alla seconda metà del XII secolo; in questo periodo il concetto di parrocchia appare ormai definito come struttura di inquadramento dei fedeli. Tale graduale processo giunge a maturazione nel XIII secolo, quando la parrocchia viene definendosi negli aspetti territoriali, istituzionali e pastorali, e indica nel contempo il livello più basso dell’ordinamento amministrativo civile. Le prime fonti, frammentarie, che permettono di ricostruire le trama delle parrocchie pavesi risalgono al 1232 e agli anni 1248-1254 (Forzatti Golia 1992).
Il vescovo di Pavia aveva anche numerose dipendenze pievane o monasteri posti fuori del nucleo centrale della diocesi. Alcune parrocchie extradiocesane dipendevano per ciò che riguarda la funzione pastorale da abati dei grandi monasteri pavesi, ad esempio San Salvatore e San Pietro in Ciel d’Oro. Le ragioni di tali dipendenze risalgono al periodo anteriore all’XI secolo e appaiono per vari aspetti legati ai problemi dell’immunità, all’evoluzione del potere spirituale degli abati e alla realtà della signoria territoriale (Forzatti Golia 1992). Onorio III donò al vescovo Fulco con il breve 11 maggio 1217 le parrocchie di Sale, Piovera, Pietra Marazzi. Con lo stesso breve furono donate a Pavia la pieve di Val di Nure, la pieve di Calosso, la pieve di Postino e la parrocchia di Pagazzano. Le parrocchie della pieve di Valenza vennero donate alla diocesi di Pavia nel 1014 con diploma dell’imperatore Enrico, mentre San Salvatore fu donata da Onorio III nel 1214 e Santa Maria di Valenza, dipendente dal vescovo di Vercelli, fu acquistata per scambio, insieme alla parrocchia di Rosasco, mediante cessione di Celpenchio e Langosco nel 1578. Stradella fu donata e confermata più volte dal 977 in signoria feudale, mentre Portalbera fu di ragione feudale della mensa vescovile dal 943. La giurisdizione del vescovo di Pavia sul territorio tra Baselica Stefanona e Parpanese va fatta risalire a questo periodo, e a simili “ragioni feudali”, e lo stesso si dica per Rovescala e Luzzano, donate dal 943 e confermate nel 977 dall’imperatore con il titolo di contea, insieme a Bastida e alle terre vicine Pancarana e Castelletto. per quanto attiene infine a Cairate e Sesto Calende, si tratta originariamente di giurisdizioni su monasteri, quello di Sesto Calende fondato dal vescovo di Pavia alla metà del IX secolo, quello di Cairate fondato dal re Liutprando che lo assoggettò dalla fondazione al vescovo di Pavia (Toscani 1984). Anche la pieve di Fontana Fredda, nel piacentino, era un possesso vescovile, forse già nell’XI secolo divenne parte della diocesi di Pavia. Ancora in diocesi di Piacenza il vescovo di Pavia agli inizi del XIII secolo doveva esercitare diritti di giurisdizione spirituale sul territorio di Sarmato. Con il privilegio di Ottone III del 1217 furono confermate alla chiesa pavese altre enclaves extradiocesane e dipendenze ubicate ai margini della diocesi: Astilianum, ai confini con la diocesi di Alessandria, la pieve di Ponte, costituita dalla zona delimitata dal corso del Tanaro, Belbo, Tiglione, Tinella, con le chiese di Costigliole, Calosso, Agliano, Castelnuovo Calcera, Vinchio e Mombercelli; tale territorio venne ceduto alla diocesi di Asti nel 1803. Nel Monferrato, sempre nel privilegio papale del 1217, era menzionata la pieve di San Salvatore; nelle Rationes decimarum è indicata anche la chiesa di San Siro de Sarmatia, la pieve di Penango, presso Moncalvo d’Asti, forse già sottratta alla diocesi di Pavia nel XIV secolo; nella Ghiara d’Adda erano pavesi la pieve di Postino (in territorio diocesano di Lodi) e la pieve di Pagazzano (in territorio diocesano di Cremona) con la parrocchia di Crespiatica, sulla quale il vescovo esercitava diritti di tipo signorile (Forzatti Golia 1992).
Per il XIV secolo le Rationes decimarum del 1322-1323 contengono l’elenco delle chiese della diocesi, impostate su base territoriale. Gli enti ecclesiastici compresi nella prima parte del registro delle Rationes riguardante la città di Pavia sono ripartiti in nove porte, vi vengono elencate 125 chiese e monasteri, oltre ad alcune mansiones di umiliati; la seconda sezione del registro concerne il territorio adiacente alle mura cittadine e il Siccomario. Nella Lomellina il registro menziona le pievi di Lomello, Gambolò, San Nazzaro del Bosco, Albignola, Sant’Angelo, Cilavegna, Sommo, Mede, Carosio, Velezzo Lomellina, Dorno, Breme, Pieve del Cairo, San Pietro di Masnico, mentre Santa Maria di Mortara è indicata come semplice ecclesia. Le pievi documentate dell’Oltrepò, senza continuità territoriale, sono Borgo Priolo, Piovera, Clairano, Totonasco, Rovescala, Baselica, pieve de Braida, Parpanese, Arena Po, San Siro di Sale, Pancarana, Pietra Marazzi, Balbiano, Valenza, Bassignana. Il territorio “intus Papiam, Mediolanum et Laude” appare strutturato nelle pievi di Porto Morone, San Zenone, Filighera, Villanterio, Vidigulfo, Bascapè, Gualdrasco, San Genesio, Baselica Bologna, Copiano, Peguliano, Trivolzio, Sant’Alessio. All’altezza delle Rationes decimarum, le pievi dovevano trovarsi in uno stato di decadenza o per lo meno di povertà (Forzatti Golia 1992). Oltre un secolo più tardi, la visita pastorale del vescovo Amicus de Fossulanis attesta la sopravvivenza dell’organizzazione pievana, rimasta a indicare una circoscrizione territoriale via via erosa dall’emancipazione di nuove parrocchie. Solo in epoca post-tridentina, le circoscrizioni teritoriali delle pievi vengono riorganizzate nel nuovo assetto vicariale, di carattere più marcatamente istituzionale, che non sarà però altrettanto stabile.
All’altezza della visita apostolica del 1576, la diocesi di Pavia si estendeva a nord del fiume Ticino fino a comprendere le località della Zelata, Landriano e Pairana, comprendeva Gugnano e Cerro al Lambro, mentre ne restavano escluse Torrevecchia Pia, Zibido e Vigonzone, appartenenti alla diocesi milanese, e Castel Lambro, lodigiano. Alla diocesi di Lodi appartenevano anche San Colombano e Camporinaldo, mentre Torre d’Arese e Monteleone erano pavesi. La diocesi di Milano possedeva come enclave in territorio pavese la pieve di Chignolo Po, con le parrocchie di Chignolo, Santa Cristina, Bissone, Costa de’ Nobili, Badia, Alberone. A Piacenza apparteneva Monticelli Pavese; lungo il Po la diocesi di Pavia si estendeva a comprendere San Zenone, Zerbo, Pieve Porto Morone. Tutta la Lomellina, a eccezione di Mortara e Gambolò, che appartenevano dal 1530 alla diocesi di Vigevano, e all’abbazia di Acqualunga, era territorio della diocesi di Pavia. Il confine lungo il Po era altrettanto frastagliato: a valle della confluenza con il Ticino erano pavesi le parrocchie della fascia rivierasca da Verrua a Parpanese e a Pievetta, con le parrocchie di Arena, Stradella, Bosnasco, Portalbera, San Cipriano, Baselica Stefanona, e le località di Campospinoso, Mezzanino, Albaredo. A sud del Po, ma a monte della confluenza con il Ticino, Pavia aveva le parrocchie di Castelletto Po, Bastida e Pancarana, cui andava unita Mezzana Rabattone (dipendente dal preposito di Castelletto), inoltre la giurisdizione del vescovo di Pavia era estesa sulle due pievi di Valenza e Bassignana, con le località di Bassignana, Piovera, Sale, Rivarone, Montecastello, Pietra Marazzi, Pavone, Mugarone, Pecetto, Valenza, Monte, Bozzole, Borgo San Martino, San Salvatore, Castelletto e Ticineto. In Oltrepò la diocesi di Pavia possedeva le parrocchie di Torre del Monte e Staghiglione e Rovescala con Luzzano. A questi territori, che costituivano un insieme articolato, ma senza soluzione di continuità, se ne aggiungevano altri, dipendenti dal vescovo di Pavia, ma fisicamente separati dal resto della diocesi: nell’astigiano la pieve di Calosso, con Calosso, Agliano, Castelnuovo Calcera, Vinchio, Mombercelli, Tigliole, Costigliole; nel piacentino, la pieve di Val di Nure, con Val di Nure, Pieve di Revegozzo, Monte Ossero, Leggio, Bettola, Santa Maria, La Costa, Cogno; nel lodigiano l’arcipretura di Postino, con Postino, Dovera, Barbuzzera, San Cassiano, Roncadello, Crespiatica; la parrocchia di Pagazzano nella pianura bergamasca, e infine la giurisdizione sul priorato di Sesto Calende e sul monastero femminile di Cairate nell’alto milanese.
Nel corso del XVIII secolo, le vicende politiche e militari infransero l’unità del principato di Pavia e crearono le premesse perché i confini diocesani venissero rimaneggiati a favore dello stato sabaudo. La politica giurisdizionalista del re di Sardegna obbligò il vescovo di Pavia a stabilre prima a Valenza (1742), poi a Lomello (1750) un secondo vicario generale, con attribuzioni pari a quelle del vicario residente a Pavia, per gli affari riguardanti le parrocchie e gli ecclesiastici sudditi del re di Sardegna; dal 1787 fu stablito a Valenza un secondo seminario per i chierici lomellini e delle pievi di Valenza e Bassignana. L’adeguamento dell’assetto diocesano alla mutata geografia politica avvenne solamente in periodo napoleonico e successivamente con la Restaurazione. Il 22 luglio 1803 il vescovo di Pavia rassegnò al cardinale Consalvi quarantadue parrocchie site oltre il Po e appartenenti alla XXVII divisione militare dell’impero francese, le quali vennero assegnate alle diocesi di Acqui, Asti, Alessandria, Casale e Tortona. Il 2 gennaio 1809 la diocesi di Pavia rinunciò alle parrocchie piacentine della pieve di Val di Nure commendandole al vescovo di Piacenza. Pavia perdette così la pieve di Calosso, le pievi di Bassignana e Valenza, le terre oltrepadane di Bastida, Pancarana e Castelletto Po, le parrocchie rivierasche tra Verrua, Stradella e Parpanese, le enclaves collinari di Torre del Monte, Staghiglione, Rovescala e Luzzano. La diocesi di Pavia, in base alla nuova definizione dei confini stabiliti dalla linea dei fiumi Sesia-Po, ricevette dalla diocesi di Piacenza la parrocchia di Mezzana Corti (1801) e dal vescovo di Casale le parrocchie di Cambiò e Mezzana Bigli. Nel 1799 perdette anche la giurisdizione sul monastero di Cairate, soppresso dalle leggi cisalpine. La Restaurazione, modificando ancora i confini politici, pose la necessità di un nuovo rimaneggiamento dei confini diocesani. Poiché la Lomellina era tornata sarda e il confine nuovamente fissato al Ticino, con la bolla papale 17 agosto 1817 tutte le parrocchie pavesi in Lomellina vennero assegnate al vescovo di Vigevano. Le parrocchie di Mezzana Bigli, Cambiò e Mezzana Rabattone passarono alla diocesi di Tortona. Nel 1819 e 1820 vi furono gli ultimi assestamenti, con la perdita della parrocchia di Pagazzano nella bergamasca, della pieve di Postino nel lodigiano, il priorato di Sesto Calende, la parrocchia di Gugnano, ceduta a Lodi, e con l’acquisto della parrocchia di Monticelli Pavese da Piacenza. Nel corso del XIX e XX secolo i confini diocesani di Pavia non subirono rilevanti modificazioni. Verso la fine del XIX Pavia cedette a Lodi Cerro al Lambro e ricevette Camporinaldo; nel 1925 Milano cedette a Pavia la pieve di Chignolo Po, che costuituiva la più grossa enclave milanese in territorio pavese. L’altra, costituita dalle parrocchia di Torrevecchia Pia, Zibido e Vigonzone passò a Pavia solo nel 1979, anno in cui avvennero piccole modifiche di confini anche con la diocesi di Lodi. La parrocchia di Castel Lambro, lodigiana, passò alla diocesi di Pavia, mentre Camporinalo tornò a Lodi, che acquisì anche la parrocchia di Corte Sant’Andrea (Toscani 1984).

ultima modifica: 19/01/2005

[ Saverio Almini ]