diocesi di Vigevano 1530 - [1989]

Le prime chiese battesimali che sorsero in Lomellina furono, forse prima del V secolo, Santa Maria di Lomello, Santa Maria di Vellezzo, Santa Maria di Pieve del Cairo, Santa Maria di Breme, Santa Maria di Sparvara, dipendenti da Pavia; Santa Maria e Sant’Eusebio di Gambolò, Sant’Antonio di Cassolo e Sant’Ambrogio di Vigevano, dipendenti da Milano. Successivamente, sorsero le pievi di Santa Maria di Dorno, San Gaudenzio di Gambolò, San Martino Siccomario, Santa Maria di Sommo, San Nazaro del Bosco, San Michele di Sant’Angelo, San Marziano di Mede, Sant’Alessandro di Zeme. Dopo la formazione della diocesi di Novara, le pievi lomelline, già dipendenti da Milano, di San Vittore di Cassolo, Sant’Ambrogio di Vigevano e quelle che fin lì dipendevano da Vercelli di San Pietro di Gambolò e di Sant’Albino di Mortara passarono a Novara. Passarono sotto Pavia le pievi di San Michele di Sant’Angelo e Sant’Alessandro di Carosio di Zeme, che dipendevano da Vercelli, e quelle di San Marziano di Mede e Santa Maria di Pieve del Cairo, fin lì tortonesi. Questa sistemazione durò, con pochissimi cambiamenti, fino alla costituzione della diocesi di Vigevano, avvenuta nel 1530.
Nell’impianto dell’organizzazione ecclesiale della Lomellina, i monaci ebbero un ruolo fondamentale. I benedettini furono presenti a Sartirana, dove eressero la chiesa di San Paolo, a Gambarana e Lomello, dove edificarono il convento di San Pietro e quello di Sant’Agata. L’espansione dei benedettini fino al XVI secolo comprese le abbazie di Acqualunga e di San Maurizio a San Giorgio, dei cisterciensi (1204), di Erbamala a Cergnago (1271), di Villanova di Cassolo e di San Sepolcro a Ceretto dei vallombrosani; di San Maiolo di Gambolò (1082) dei cluniacensi. Oltre alle abbazie, i benedettini delle varie riforme controllarono anche una quarantina di priorati e grange e otto monasteri femminili. Dopo il 1300 arrivarono i domenicani, aprendo quattro case, e i francescani, che istituirono cinque conventi. A Mortara si insediarono i monaci regolari di Sant’Albino e a Breme i monaci della Novalesa, fin dal 926. Qui l’ordine pose la sua casa madre e si espanse in Italia, Francia e Austria. A Mortara, i clerici regolari di Sant’Agostino gestirono la chiesa di Santa Croce, edificata dal sacerdote Adamo. L’ordine conobbe un grande sviluppo e arrivò a controllare circa cinquanta priorati, due abbazie, sei prepositure e tre ospedali, dando anche un papa, Lucio II.
Fu Francesco Sforza II nel 1530 a premere sul papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) perché fosse istituita una nuova diocesi, che comprendesse un limitato territorio che si staccava dalla diocesi di Novara, appunto la diocesi di Vigevano, fondata con la bolla 16 marzo 1530 "Pro excellenti praeminentia Sedis Apostolicae" (bolla 16 marzo 1530). Il duca milanese intendeva così compensare della propria fedeltà Galeazzo Pietra, pavese, già segretario di suo zio, il cardinale Ascanio Sforza.
La diocesi nacque con sole tre parrocchie, divenute poi cinque nel 1532: quelle di Sant’Ambrogio, San Dionigi e San Cristoforo in città e quelle di Sant’Albino (poi San Lorenzo) a Mortara e di San Gaudenzio a Gambolò. A queste si aggiunse nel 1535 l’abbazia di Santa Maria d’Acqualunga . La diocesi era suffraganea del metropolita di Milano. Il vescovo Pietra fece il suo solenne ingresso a Vigevano il 6 dicembre 1530. Pose subito mano all'organizzazione, convocando il capitolo dei canonici della cattedrale: le costituzioni vennero approvate da Clemente VII il 23 settembre 1531.
Monsignor Pietra istituì nel 1539 la confraternita di Santa Maria Maddalena e nel 1546 approvò quella di San Cristoforo, già istituita dal 1526. A Galeazzo Pietra successe il nipote Maurizio Pietra, che per applicare le prescrizioni del Concilio di Trento, indisse il primo sinodo diocesano nel 1572. I decreti del sinodo furono confermati nella visita di Carlo Borromeo del 1578. Monsignor Pietra innalzò anche il seminario diocesano l’1 gennaio 1566 e partecipò ai tre concili provinciali convocati a Milano. In diocesi promosse l’istituzione di scuole della dottrina cristiana.
A Maurizio Pietra successe nel 1577 Alessandro Casale. Il suo episcopato fu segnato dalla visita di san Carlo nel 1578, che mise in evidenza i problemi ancora notevoli nell’organizzazione della diocesi. Alla morte del Casale iniziò il periodo dei cosiddetti vescovi decorati: si trattò di una successione di tre vescovi promossi dal re di Spagna Filippo II. Il primo fu Bernardino Bricennio, di famiglia spagnola e già legato alla corte iberica con vari incarichi, si distinse per la visita alla diocesi nel 1584 e per avere partecipato ai funerali di san Carlo Borromeo, atto questo rilevante, poiché su sedici vescovi metropolitani, solo quattro furono quelli che seguirono la cerimonia. Gli successero nel 1589 Pietro Fauno Costacciaro e nel 1594 Marsilio Landriano, già nunzio apostolico in Francia, che visitò immediatamente la diocesi e convocò il terzo sinodo. Curò la costruzione della cattedrale, iniziata nel 1532, e portò a Vigevano i barnabiti per l’educazione della gioventù. Partecipò al settimo concilio provinciale, indetto dal cardinale Federigo Borromeo nel 1609.
Al terzo dei vescovi decorati successe il cremonese Pier Giorgio Odescalchi, legato in Svizzera per Clemente VIII e vescovo di Alessandria. Promosse tre visite pastorali e convocò tre sinodi diocesani (1611, 1613 e 1616). Compilò il regolamento del seminario e istituì le Quaranta ore. Istituì pure una congregazione di carità per l’assistenza ai poveri e agli infermi. Morì nel 1620, forse per le conseguenze di un’aggressione e il suo cuore fu traslato nella chiesa della Madonna di Loreto.
Seguì una serie di vescovi spagnoli, promossi dai re di Spagna, i quali, presi da altri e rilevanti impegni politici e amministrativi, furono poco presenti nella diocesi.
Il primo fu Francesco Romero, di Valladolid, carmelitano. A Romero successe Giovanni Gutierrez, nativo di Cordoba. Gli successe Stefano Donghio, genovese formatosi all’università di Salamanca. Giurista e teologo insigne, ma vescovo assenteista, fu infine spostato a Forlì e divenne arcivescovo di Ferrara. L’ultimo vescovo della serie degli spagnoli fu anche il più vicino al suo popolo: Gabriele Adarzo de Santander, madrileno, visitò la diocesi e convocò l’ottavo sinodo diocesano nel 1657. Eresse in collegiata la chiesa di San Lorenzo di Mortara e fu particolarmente soccorrevole verso i poveri. Quando Adarzo de Santander fu trasferito alla diocesi di Otranto, Vigevano rimase senza vescovo per due anni. L’arrivo di Attilio Pietrasana risolse la grave anomalia nel 1659. Il nuovo pastore si dovette confrontare con le pretese non sempre in consonanza con la vita cristiana delle confraternite cittadine. L’attitudine alla conciliazione e alla trattativa del vescovo evitarono scontri e consentirono una composizione delle controversie. Fece una visita pastorale e costruì la sede della curia vescovile. Morì a Roma durante una visita ad limina nel 1665. Gli succedette il milanese Gerolamo Visconti, fin lì vescovo di Novara, e dopo soli tre anni un altro milanese, Giovanni Rasino. Cura precipua di Rasino fu l’istituzione dell’Ufficio teologale per la spiegazione al popolo delle sacre scritture. A Rasino succedette il penultimo dei vescovi di origine spagnola e senza dubbio la personalità più rilevante fino ad allora elevata al soglio episcopale della diocesi di Vigevano: Giovanni Caramuel, di Madrid. Ingegno precocissimo, occupò gran parte dell’esistenza negli studi teologici, morali, filosofici, artistici e musicali. La sua personalità di poligrafo e polemista lo fece emergere su scala europea, gli fece tenere rapporti, a volte polemici, con alcuni dei migliori ingegni del secolo, da Descartes a Gassendi a Marsenne. Criticato dai giansenisti, di cui fu nemico aspro, polemizzò con lui lo stesso Pascal. Caramuel arrivò a Vigevano nel 1673, dopo essere stato vescovo di Campagna e Satriano in Irpinia. Nella nuova diocesi si preoccupò soprattutto della formazione e dell’istruzione religiosa del clero e del popolo. Istituì a questo scopo la Compagnia della dottrina cristiana, che si articolò in un’organizzazione molto complessa, con il coinvolgimento di un gran numero di laici ed ecclesiastici. In cima alla scala gerarchica stava il priore generale, rappresentante del vescovo, cui ubbidivano via via il sotto priore generale, i visitatori della città, i foranei, il cancelliere e vice cancelliere, gli avvistatori, gli operai e i pescatori e le pescatrici, incaricati di recuperare per le strade chi era riottoso alla dottrina. A Caramuel, morto nel 1682, succedette, per bereve tempo, l’ultimo vescovo spagnolo, Ferdinando de Roxas, nativo della zona di Valencia. Dopo tre anni di vacanza, fu nominato vescovo il milanese Pietro Marino Sormani, dei minori osservanti di San Francesco. Il suo fu un episcopato operoso, che portò alla fondazione di nuove chiese in città, al rifacimento del seminario vescovile, con la creazione di venti posti gratuiti. Istituì cinque cappellanie in cattedrale e una scuola di musica. A reggere le sorti della diocesi fu chiamato un sacerdote milanese, Gerolamo Archinto. Archinto approvò infine la congregazione di San Carlo fra i sacerdoti per il suffragio dei confratelli, ancora oggi attiva.
I primi anni del XVIII secolo videro una ridefinizione dell’assetto politico e territoriale: a seguito dei trattati di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714), Vigevano passò all’Austria e divenne capoluogo di provincia, mentre Mortara passò allo stato sardo-piemontese.
Nel 1712, promosso da Carlo VI, salì al soglio vescovile il milanese Giorgio Cattaneo, della Congregazione degli oblati. Curò la formazione cristiana, si occupò del miglioramento dei costumi del clero e del popolo, compì una missione solenne che durò 35 giorni. Morì nel 1730 e gli succedette il patrizio milanese Carlo Bossi, che si occupò soprattutto della formazione cristiana, diffondendo il Compendio della dottrina cristiana del cardinale Bellarmino. Completò anche la chiesa dedicata a San Carlo Borromeo. Durante il suo episcopato avvennero di nuovo grandi stravolgimenti politici: con il trattato di Worms del 1743 la provincia di Vigevano passò ai piemontesi, sotto Novara.
Alla morte di Bossi iniziò la serie dei vescovi piemontesi. Il primo fu Francesco Agostino Della Chiesa, torinese, per soli settantasette giorni. Fu rimpiazzato dall’albese Giuseppe Maria Scarampi, che indisse due visite pastorali e tenne nel 1768 il nono sinodo. Fu molto attivo anche nella promozione di iniziative laiche: eresse la cascina Scarampa, fece tracciare il canale Scarampino, fuse i tre ospedali e iniziò l’edificazione della sede di quello nuovo.
Dal 1801, anno della morte di Scarampi, la diocesi rimase senza vescovo per quattro anni. La vacanza, almeno ufficialmente, fu più lunga, poiché la nomina del nuovo pastore, Nicola Zaverio Gambone, promossa da Napoleone, non venne mai ratificata dalla Santa Sede. Gambone fu poi trasferito da Pio VII a Venezia nel 1807. Poté quindi essere eletto vescovo di Vigevano monsignor Francesco Milesi, veneziano, che lasciò la diocesi nel 1816, anch’egli nominato patriarca di Venezia.
La Restaurazione consentì di riordinare tutto l’assetto organizzativo territoriale delle diocesi: con la bolla 17 agosto 1817 “Beati Petri apostoli principis” (bolla 17 agosto 1817), Pio VII definì i nuovi confini della diocesi vigevanese, facendoli coincidere con quelli naturali della Lomellina, inglobando così anche le parrocchie fin lì sotto la chiesa pavese e quella novarese. Alla fine, la diocesi ne risultò molto ingrandita, inglobando sessantanove parrocchie. Con un decreto del 1817 dello stesso Pio VII, la diocesi di Vigevano fu assegnata alla regione ecclesiastica piemontese, suffraganea del metropolita di Vercelli.
Per tutto il XIX secolo, si assisté all’erezione di numerose nuove parrocchie su tutto il territorio e alla strutturazione della diocesi in vicariati. Parallelamente si verificò, specialmente nella prima metà, una diminuzione nelle vocazioni del clero, la cui formazione avveniva nel seminario di Valenza o di Vigevano. Dalla metà del secolo però tutti i sacerdoti della diocesi si formarono a Vigevano. La politica anticlericale influì sul reclutamento di sacerdoti: le diminuite risorse finanziarie non consentirono il sussidio ai chierici poveri e l’impoverimento delle parrocchie diminuì gli incentivi al sacerdozio.
Il primo vescovo della Restaurazione fu monsignor Giovanni Francesco Toppia, piemontese, che ripristinò le visite pastorali come strumento di conoscenza della realtà diocesana. Convocò anche il decimo sinodo diocesano e ne fece strumento di riorganizzazione della pratica religiosa. Toppia curò particolarmente la formazione seminariale. Riordinò le confraternite le pie società soppresse da Napoleone. A Toppia, morto nel 1828, succedette nel 1830 monsignor Giovanni Battista Accusani. Cresciuto ad Acqui e a Mondovì, si dedicò a un’intensa attività a favore delle classi sociali sfavorite e soprattutto al potenziamento del seminario, secondo il dettato testamentario di monsignor Toppia. Morì nel 1843. L’episcopato del successore Pio Vincenzo Forzani assunse ben altro rilievo. Già vescovo di Susa, Forzani giunse a Vigevano nel 1844. A Forzani toccò confrontarsi con la decisa svolta anticlericale impressa al governo dall’avvento di Cavour e dal prevalere del pensiero e dell’ideologia liberali. Il vescovo intensificò le conferenze episcopali, con l’intento di resistere all’offensiva liberale soprattutto sul piano della formazione e del richiamo ai valori etici. La politica sabauda accentuò il distacco tra clero e classi alte e il vescovo curò soprattutto il rapporto con il popolo. Questo atteggiamento determinò un legame particolarmente intenso tra sacerdoti e popolazione, pur se non mancarono preoccupazioni per la penetrazione di abitudini e comportamenti ritenuti dalla Chiesa pericolosi: il ballo, i giochi in osteria, l’abitudine al bere. Forzani morì nel 1859, nel pieno sviluppo della politica piemontee intesa a un ridimensionamento del ruolo della Chiesa, attraverso le soppressioni delle comunità religiose. Proprio in questo delicato periodo la sede episcopale rimase vacante per ben dodici anni, durante i quali venne retta dal vicario capitolare monsignor Vincenzo Cappelli, già parroco a Gropello. Toccò a lui iniziare la lotta contro le dottrine sociali comuniste e socialiste e affrontare l’apice dello scontro fra Chiesa e Stato nel 1870. Lasciò la diocesi vigevanese per Tortona, di cui fu nominato vescovo, nel 1871.
Pietro Giuseppe De Gaudenzi rappresentò forse la personalità più spiccata del secolo, tra i vescovi vigevanesi. Promosse instancabilmente le vocazioni sacerdotali, compì tre visite pastorali e celebrò tre sinodi, dall’undicesimo al tredicesimo. Cominciò anche un’opera sistematica di intervento in campo assistenziale sui nuovi terreni dela mutualità tra lavoratori. Costituiti i comitati parrocchiali, diede indicazione per la fondazione di società di mutuo soccorso, che investirono quasi soltanto i contadini, con l’eccezione di una società operaia a Vigevano. Su sua iniziativa nacque anche la Società per la diffusione della stampa cattolica. Nel 1891 Giacomo Merizzi prese il posto di De Gaudenzi. Merizzi, nativo di Tirano, proveniva da Como; si trovò a guidare una diocesi ben organizzata e strutturata in quattordici vicarie, settantun parrocchie e sei vicecure, che coprivano un territorio di centosessantamila abitanti, all’inizio di un notevole sviluppo industriale, almeno nella zona di Vigevano. Monsignor Merizzi promosse l’istituzione di un oratorio festivo per la formazione cristiana della gioventù. Il canonico Carlo Clerici fondò, in questa direzione, il collegio convitto Leone XIII, aprendolo anche come oratorio. Ma Merizzi si dedicò anche alla formazione dei chierici: potenziò la commissione per la musica sacra, rinnovò la biblioteca del seminario, riordinò gli studi liceali. Particolare attenzione fu dedicata alle iniziative caritative, soprattutto nella zona della Lomellina. Merizzi sostenne le iniziative di alcuni sacerdoti in questo campo, quali don Francesco Carbonino a Ottobiano, don Giovanni Gazzaniga a Sannazzaro de’ Burgundi e soprattutto don Giuseppe Gennaro, che aprì un ricovero d’assistenza dedicato a Sant’Anna. Merizzi si propose anche una conoscenza sistematica della propria diocesi attraverso una preparazione meticolosa delle visite pastorali, con questionari da far compilare ai parroci. Da essi risultava una confortante pratica religiosa e un’ampia capacità d’intervento. Le confraternite vantavano numerosissimi affiliati: da quella della Dottrina cristiana a quella dell’apostolato della preghiera al Sacro Cuore di Gesù, dalla pia unione delle Figlie di Maria al Terz’Ordine francescano. Il successore, Pietro Berruti potenziò la stampa cattolica, per contrastare la propaganda socialista, e soprattutto promosse iniziative associative. Si realizzarono a Vigevano l’ospizio per le giovani operaie e gli oratori festivi: ambedue le strutture furono affidate alle suore salesiane. Monsignor Berruti fu coadiuvato nella sua intensissima attività sociale da un nutrito gruppo di sacerdoti: Francesco Pianzola, Paolo Caresana, Giovanni Balduzzi, Michele Gerosa, Giuseppe Marotta. Furono costoro ad animare una congregazione di sacerdoti diocesani per la predicazione delle missioni al popolo e per le attività degli oratori (gli Oblati di Maria Santissima Immacolata), che portò nel 1914 alla federazione diocesana degli oratori e all’istituzione dei circoli giovanili cattolici. Berruti fu anche protagonista di altre iniziative, quali la fondazione dell’istituto Negrone. L’iniziativa più rilevante sul piano dell’intervento nel mondo del lavoro fu la fondazione, da parte di padre Pianzola della Congregazione delle suore missionarie dell’Immacolata Regina Pacis, dedite all’apostolato presso le giovani. La congregazione delle Pianzoline si dedicò soprattutto alle lavoratrici delle risaie: apostolato non facile e non privo di rischi, in competizione con le maggioritarie leghe socialiste, con le quali si verificarono anche scontri (a Ottobiano, nel 1920, l’episodio più grave).
Lo scontro con il fascismo investì in pieno anche le associazioni cattoliche e il Partito popolare.
Il nuovo vescovo, Angelo Giacinto Scapardini si insediò in questo clima, nel 1922. Novarese, già vescovo di Nusco e nunzio apostolico in Brasile, fin da subito spostò l’attenzione dal dibattito sociale alla pratica religiosa e soprattutto alla formazione dei giovani attraverso il catechismo, indicendo la prima giornata catechistica diocesana. In questa attività decisiva si rivelerà l’iniziativa delle associazioni, che ricevettero dal vescovo particolare incoraggiamento: l’Azione cattolica, i Circoli giovanili, gli Uomini cattolici, le Donne e le Giovani cattoliche. La notevole espansione dell’Azione cattolica trovò il suo luogo naturale negli oratori: nel decennio 1920-1930 sorsero in diocesi diciotto oratori. Decisive nell’opera di apostolato si rivelarono in questo periodo le Suore missionarie dell’Immacolata. Costituite come si è visto nel 1919 a opera di don Pianzola, ottennero il riconoscimento da monsignor Scapardini nel 1923. La loro attività itinerante permise l’impianto di oratori e di asili e lo sviluppo di una pastorale particolarmente efficace presso i giovani e presso le mondariso, allora parte assai consistente del proletariato agricolo. Ma l’intervento investì anche la realtà operaia, con la costituzione di convitti, l’organizzazione di predicazioni, l’avvio della campagna per l’ottenimento del riposo festivo. Scapardini promosse in particolare il culto eucaristico, sul solco della tradizione delle Quaranta ore: tenne sei congressi eucaristici dal 1923 al 1933, tutti a cadenza biennale. Questa attenzione agli aspetti devozionali fu una delle cause del rifiorire delle vocazioni sacerdotali, assieme alla cura per il seminario diocesano.
Nemmeno la crisi nazionale del 1931 (la chiusura dei circoli dell’Azione cattolica) scalfì l’attività e la compattezza dell’organizzazione vigevanese, che continuò a operare senza evidenze formali, ma con una sostanziale compattezza attorno al suo vescovo, che morì nel 1937.
Il nuovo vescovo, Giovanni Bargiggia, nativo di Lacchiarella, già vescovo di Caltagirone, si astenne da una particolare visibilità politica e promosse piuttosto gli aspetti educativi, devozionali e spirituali. Le sue prime iniziative furono la preparazione di un congresso catechistico diocesano, accuratamente preparato parrocchia per parrocchia, la proclamazione di san Carlo Borromeo come compatrono della diocesi, e soprattutto la celebrazione del quindicesimo sinodo. Questa linea defilata venne mantenuta anche durante la guerra. Tuttavia, alcuni sacerdoti parteciparono direttamente alle attività del CLNAI e diversi cattolici entrarono nei comitati politici e nelle prime amministrazioni libere del dopoguerra. Due sacerdoti furono nominati sindaci: don Bertone a Galliavola e don Tamburelli a Nicorvo. Il mondo cattolico di Vigevano ebbe nella guerra il suo martire: Teresio Olivelli, caduto in Germania. Personalità di antifascista con una grande attenzione alla dottrina sociale, Olivelli venne insignito nel 1953 della medaglia d’oro al valore militare. La sua figura risultò importante in un dopoguerra in cui le forze politiche avverse alla Chiesa cattolica avevano in Vigevano la maggioranza dei consensi elettorali, mantenuti anche il 18 aprile 1948. Monsignor Bargiggia era morto nel 1946 e gli era succeduto Alberto Picconi, il quale promosse fortemente il culto mariano, con cinque convegni tenuti nei centri mariani più importanti: a Valle, a Gropello Cairoli, a Sannazzaro, a Vigevano e al santuario della Bozzola di Garlasco. A essi seguirono le Missioni ad opera dei paolini in preparazione della Peregrinatio Mariae, che si svolse nel 1949 e nel 1950. Ma Vigevano conobbe in quegli anni tumultuosi anche un grande rinnovamento culturale, con la nascita della Pro Vigevano e soprattutto della Società degli amici dell’arte e della cultura.
Picconi morì nel 1952 e lasciò la sede a Luigi Barbero, con il quale si iniziò la realizzazione delle opere sociali auspicate da Olivelli. Sotto il suo episcopato fu inaugurata la Cittadella sociale, promossa da monsignor Barbieri a Pieve del Cairo, consistente in una clinica, una casa di riposo per vecchi lavoratori, una scuola di assistenti sociali, un centro di cultura popolare e una tipografia. Un’attività sociale di notevole impegno fu svolta anche dalle religiose, sia le Suore Missionarie dell’Immacolata che le Suore domenicane dell’Istituto San Giuseppe. Grande impulso venne dato alle strutture per il reclutamento del clero: ristrutturazione del seminario, costituzione del convitto ecclesiastico, acquisto del Grand Hotel a Ceresole Reale per la villeggiatura dei chierici.
Negli anni Cinquanta risaltò con tutta evidenza il problema sociale. Fu convocato un convegno di tutti i parroci, nel 1956, per affrontare la situazione sociale e si diede il via a un intervento continuo e organico, che vide mobilitate tutte le forze della Chiesa: dall’Azione cattolica ai cappellani del lavoro e furono istituite sedi delle Acli, case del catechismo, oratori, un centro assistenza immigrati fino all’istituzione di una colonia marina. Molto attivi furono i comitati civici, che agirono sulla base elettorale. L’azione si fece intensissima a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, soprattutto presso le mondine, che ormai contavano immigrate dal Sud. Si organizzarono pellegrinaggi di massa a Roma, a Lourdes. Nel 1962 a Mortara si tenne un convegno sul tema L’Eucaristia e la Chiesa, che ebbe grande influenza. Anche la stampa diocesana ricevete un adeguato rafforzamento: fu ristrutturato L’Araldo lomellino e fu potenziato il bollettino mensile Santuario Madonna della Bozzola e infine si impose la rivista L’Aurora della Lomellina, fondata nel 1953 e arrivata negli anni Sessanta a una diffusione di quarantottomila copie. Attento alle iniziative di natura più squisitamente ecclesiale, il vescovo promosse due Congressi eucaristici diocesani: a Mortara nel 1962 e a Cassolnovo nel 1966. Essi si posero in consonanza con l’aria di rinnovamento che aveva pervaso la Chiesa a partire dal Concilio Vaticano II.
Monsignor Barbero riprese le visite pastorali, dopo un lungo periodo di preparazione iniziato con un minuzioso questionario nel 1952. Tenne la prima visita nel 1954 e la concluse nel 1957, la seconda dal 1958, centenario delle apparizioni di Lourdes, al 1960, la terza dal 1963 al 1966. La quarta visita pastorale, indetta nel 1969, fu bruscamente interrotta dalla morte del vescovo, avvenuta nel 1971. In quegli anni assunse sviluppo particolare l’attività dell’associazione della Gioventù studentesca, che, sotto la guida di don Comelli, si occupava di assistenza ai pellegrini per Lourdes, di attività a favore degli immigrati, dei Comitati civici e dei Consigli pastorali.
A monsignor Barbero succedette monsignor Mario Rossi.

ultima modifica: 19/01/2005

[ Mauro Livraga ]