Compreso in: Palazzo Ducale - complesso, Mantova (MN)
Palazzo Ducale - complesso
Mantova (MN)
Indirizzo: Piazza Sordello - Mantova (MN)
Tipologia generale: architettura fortificata
Tipologia specifica: palazzo fortificato
Configurazione strutturale: Si tratta di una vera e propria città-palazzo, totalmente separata e clamorosamente ipertrofica rispetto alla città reale, con i suoi circa 34.000 metri quadrati di estensione, composta dal nucleo più antico della Magna Domus e Palazzo del Capitano, dal Castello di S. Giorgio (Domus Nova), dalla Palazzina della Rustica e dalla galleria della Mosttra, entrambi prospettanti sul cortile della Cavallerizza e dalle addizioni seicentesche nella Corte Nuova.
Epoca di costruzione: fine sec. XIII - inizio sec. XVII
Autori: Ploti, Bartolino detto da Novara, costruzione castello di S. Giorgio; Fancelli, Luca, riqualificazione ambienti del castello S. Giorgio; Pippi, Giulio detto Giulio Romano, costruzione Corte Nuova e palazzina della Rustica; Dattari, Giuseppe, progetto Galleria della Mostra; Bertani, Giovan Battista, addizione nella Corte Nuova, Cavallerizza e chiesa; Facciotto, Bernardino, idea Sala dello Specchio, cortile delle Otto Facce / giardino pensile; Pedemonte, Pompeo, giardino pensile; Brugnoli, Bernardino, giardino pensile; Viani, Antonio Maria, fine lavori Galleria e riqualificazione castello; Bocchi, Zenobio, progetto giardino dei semplici; Pozzo, Paolo, modifiche Scala delle Duchesse, piazza S. Barbara; Albertolli, Giocondo, chiusura e decorazione Sala degli Specchi; Crevola, Gaetano, rifacimento Refettorio (Sala dei Fiumi); Anselmi, Giorgio, rifacimento Refettorio (Sala dei Fiumi)
Comprende
Descrizione
La Camera degli Sposi
La cosiddetta Camera degli Sposi è un ambiente cubico di circa 8 metri per lato, collocato al primo piano della torre nordorientale del castello, con placida vista sui laghi del Mincio. Perfetta sintesi tra naturalismo pittorico, illusionismo prospettico ed esigenze autocelebrative della casata declinate all'antica, nello spirito di un classicismo ormai pienamente maturo, la Camera Picta (così la Camera degli Sposi viene chiamata fino al Seicento nelle fonti) impegna Andrea (Mantegna) per dieci anni fino al 1474, come indica l'iscrizione nel tabellone dipinto sopra una delle porte, che reca anche la dedica a Ludovico III e alla moglie Barbara di Brandeburgo. La finzione pittorica e prospettica ideata dal Mantegna riveste senza soluzione di continuità le ingrate partiture di pareti irregolarmente scandite dalle porte, dalle finestre, dal camino, e scarsamente illuminate, regalando per la prima volta nella storia della pittura italiana l'emozione di un illusionismo 'totale' e di una continua, accattivante, ricercata ambiguità tra il piano della realtà e quello della rappresentazione. Le pareti sono decorate a fresco, con finiture a secco e vaste applicazioni in oro, specie sulla volta, sulla base di una sottile preparazione gessosa.
La parte bassa delle pareti è decorata con uno zoccolo dipinto a fingere un motivo di cerchi in marmi colorati; sopra questa fascia si impostano finti pilastri con decorazioni a candelabra, innestati a capitelli veri dai quali hanno origine i finti costoloni che si intrecciano sul soffitto, a creare un rigoroso impianto architettonico. Se su due delle pareti la decorazione è risolta con finti tendaggi in cuoio impresso in azzurro e oro, sulle pareti nord e ovest i tendaggi sono come scostati e la parete viene ad aprirsi allo spettatore, che risulta coinvolto nella scena che si svolge oltre il finto loggiato;
Nella scena cosiddetta della corte, Ludovico è intento a commentare con un segretario il contenuto di una lettera appena ricevuta, dalla quale apprende la notizia della grave malattia del duca di Milano Francesco Sforza, con il quale il Gonzaga intrattiene stretti rapporti politici e familiari. Accanto a lui la moglie, i figli, alcuni cortigiani offrono uno straordinario catalogo di ritratti, in cui l'acuto realismo mantegnesco si mantiene ben lontano dai pericoli dell'idealizzazione e dell'adulazione.
Nella seconda scena il Gonzaga, in viaggio per Milano, incontra a Bozzolo il figlio Francesco, di ritorno da Roma dopo la nomina a cardinale. Con tale nomina il papa aveva di fatto legittimato la signoria dei Gonzaga sullo stato mantovano e a sigillare questo rapporto collocandola in una lontananza mitica ecco, sullo sfondo della scena, una veduta di Roma; fantastica e idealizzata, perché Andrea non l'ha ancora visitata di persona, con i resti degli acquedotti, dei templi, delle statue, con la piramide di Caio Cestio e il Colosseo a fare da poetico, nostalgico scenario all'epopea dei Gonzaga.
Finzione prospettica ed encomio politico proseguono, culminando, nella decorazione del soffitto. Ora il mondo classico è un serbatoio da cui attingere esempi morali piuttosto che forme, una dimensione da ricuperare anzitutto negli ideali, nello spirito.
Quel confine oscillante tra realtà e finzione che costituisce probabilmente l'aspetto più moderno della stanza, trova il suo apice al sommo della volta, che Andrea ha immaginato aperta su un cielo luminoso: da un parapetto formato dal motivo illusionistico dei cerchi marmorei colorati si sporgono alcune donne, un pavone e putti spericolati con piccole ali di farfalla; un gran mastello con un albero di arancio sta in bilico sopra un bastone, proprio come lo vedrebbe uno spettatore che si ponesse al centro della sala, a guardare all'insù. Intorno all'occhio di cielo torna il motivo padovano, e poi mantegnesco, delle ghirlande intrecciate di foglie e frutti, stese a profusione anche tra i pilastri della loggia dipinta.
Il secondo Rinascimento
L'appassionato entusiasmo per la classicità portò Isabella (d'Este) a riunire, fin dai primi anni mantovani, una piccola collezione antiquaria formata da teste-ritratto, piccole sculture, frammenti di rilievi, medaglie, i bronzetti classicheggianti fusi da Jacopo Bonacolsi detto l'Antico, gioielli e cammei, vasi, alabastri, porcellane, cristalli e miniature. Collocata dapprima nello studiolo del castello di San Giorgio, la collezione fu poi riallestita negli appartamenti in Corte Vecchia, dove la marchesa si trasferì nel 1519, dopo la morte del marito. Qui, insieme con i dipinti del primitivo studiolo commissionati a partire dal 1497 ai maggiori pittori del tempo, gli oggetti della collezione rimasero per un secolo, orgoglio dei Gonzaga e sigillo del loro prestigio culturale, fino alla sciagurata vicenda degli anni 1627-30, quando la grave crisi politica dello Stato e il tracollo finanziario della casata portarono dapprima alla vendita a Carlo d'Inghilterra, quindi alla dispersione del patrimonio collezionistico della corte più intellettuale d'Europa. Ciò che era scampato all'alienazione andò infine distrutto nel sacco di Mantova del 1630. Solo qualche rara reliquia di questo nucleo di oggetti sopravvive ancora - divisa tra lo Studiolo della Scalcheria nel Palazzo Ducale di Mantova e alcune grandi raccolte pubbliche europee -, ma sufficiente a formarsi l'idea della colta varietà e della squisita eleganza del gusto collezionistico isabelliano.
Il percorso degli appartamenti di Isabella comprende anche il cosiddetto 'giardino segreto', un raccolto cortile a pianta quadrata con porticato ionico e nicchie per sculture antiche oggi perdute, che qualcuno ha avvicinato alle limpide, razionali prospettive del Palazzo Ducale di Urbino o al Bramante di S. Pietro in Montorio a Roma. E, del resto, la presenza di numerosi cortili e giardini offre la possibilità, in Palazzo Ducale, di un percorso parallelo e complementare a quello interno delle sale, in linea con la poetica cinquecentesca che stringe in unità, dialetticamente opponendole, l'arte (insieme con il mito dell'antico) e la natura. Ecco dunque accanto alla ufficialità monumentale delle grandi corti d'onore, l'intimità luminosa del giardino di Isabella.
A partire dal 1538 Giulio (Romano) fu impegnato poi nella palazzina della Rustica, affacciata sul cortile della Cavallerizza e verso il lago. La costruzione si articola su due piani con paramento a bugnato rustico: al portico del pianterreno è sovrapposto il primo piano, con finestre rettangolari incorniciate da scenografiche colonne tortili, che imprimono al prospetto dell'edificio un senso di moto prebarocco. Sul cortile della Cavallerizza, prospetta la Galleria della Mostra, lungo corridoio di 65 metri per 7 voluto dal duca Vincenzo nell'ultimo decennio del Cinquecento, iniziato dal cremonese Giuseppe Dattari e concluso da Antonio Maria Viani nei primi anni del Seicento. In linea con le concezioni museografiche più moderne del tempo dipinti, sculture, oggetti d'arte decorativa, curiosità naturalistiche e strumenti scientifici componevano un fitto percorso espositivo, scenograficamente aperto alla vista sulla città e sul paesaggio naturale circostante, sul modello fiorentino della Galleria degli Uffizi, precedente di qualche anno appena.
La necessità di adeguare la residenza signorile alle esigenze del nuovo potere assoluto e al nuovo gusto collezionistico aveva indotto il duca Guglielmo, già negli anni Settanta del Cinquecento, a promuovere una vasta addizione nella Corte Nuova, di cui fu incaricato il prefetto delle fabbriche Giovan Battista Bertani, sorta di efficiente "Vasari mantovano" (Paolucci, 1988).
Al figlio di Guglielmo, il duca Vincenzo I, spetta l'iniziativa della profonda riqualificazione della Domus Nova eretta da Luca Fancelli a fine Quattrocento; i lavori furono affidati, nei primi anni Seicento, al cremonese Viani. Da qui ci si affaccia sul riposante scorcio del Giardino dei Semplici.
Notizie storiche
La Camera degli Sposi
Il prestigio dei Gonzaga si riflette nella complessa vicenda di trasformazioni e stratificazioni architettoniche e decorative che ridisegnò la sede del potere signorile: localizzata nel lembo nordorientale della città, tra le rive del lago Inferiore e una grande piazza aperta nel Trecento (l'attuale piazza Sordello), che ne amplifica visivamente l'importanza a discapito del nucleo comunale del Broletto e della piazza del mercato, la residenza gonzaghesca crebbe nel Quattro e nel Cinquecento fino a costituire una vera e propria città-palazzo, totalmente separata e clamorosamente ipertrofica rispetto alla città reale, con i suoi circa 34.000 metri quadrati di estensione.
Il nucleo più antico del complesso è costituito dai palazzi edificati dalla famiglia Bonacolsi già a fine Duecento: la Magna Domus e il Palazzo del Capitano, prospettanti su piazza Sordello, furono occupate dai Gonzaga dopo il colpo di stato con il quale, nel 1328, divennero signori della città. Sorto alla fine del Trecento per volontà di Francesco I Gonzaga, che ne incaricò l'architetto militare Bartolino da Novara, il castello di san Giorgio si eleva, massiccia fortezza in cotto, a guardia della reggia dalle rive dei laghi di Mezzo e Inferiore. Gli ambienti si raccolgono intorno a una corte centrale quadrata, rafforzata da robuste torri angolari. Quando Mantova, nel 1459, ospitò il concilio convocato da Pio II Piccolomini, Ludovico Gonzaga decise di trasferirsi nel castello lasciando che il seguito del pontefice si insediasse nel Palazzo Ducale. Il toscano Luca Fancelli fu incaricato allora di riqualificare gli interni del castello e al Mantegna, trasferitosi in città nell'estate del 1460 dopo lunghe trattative, fu affidata la decorazione della stanza delle udienze private del Gonzaga, occasionalmente utilizzata anche come camera da letto.
Il secondo Rinascimento
Per l'"insaciabile desiderio di cose antique" e per la straordinaria sensibilità a cogliere, in un costante sforzo di aggiornamento, le tendenze più moderne dell'arte, la marchesa Isabella, figlia di Ercole I d'Este e giovanissima sposa, nel 1490, di Francesco Gonzaga ( figlio del Marchese di Mantova Federico I Gonzaga e di Margherita di Wittelsbach, sorella del duca di Baviera), fu protagonista di uno dei più intelligenti e raffinati episodi di collezionismo e cultura figurativa del Rinascimento cortigiano. Donna mai paga di curiosità culturali, fu educata a Ferrara dall'umanista Battista Guarini e si circondò a Mantova di dotti quali l'Equicola e Paride da Cesarea, frequentando letterati quali Baldassar Castiglione, Matteo Bandello, il Boiardo e l'Ariosto.
La tradizione mecenatistica dei Gonzaga si rinnova a inizio Cinquecento con le iniziative culturali del figlio di Isabella, Federico II che affidando a Giulio Romano la direzione delle fabbriche e delle imprese decorative della città e dello Stato (su tutte palazzo Te) fa di Mantova un autentico laboratorio della grande Maniera italiana, arrivando a "incidere sugli svolgimenti stilistici di Tiziano e a condizionare la formazione di Paolo Veronese".
La tradizione del mecenatismo gonzaghesco continua poi con il duca Guglielmo negli anni Settanta del Cinquecento e con suo figlio Vincenzo I agli inizi del XVII sec.
Uso attuale: corpi principali: museo
Uso storico: intero bene: abitazione signorile
Condizione giuridica: proprietà Stato
Accessibilità: INGRESSO E ORARI MUSEO DI PALAZZO DUCALE
Piazza Sordello, 40
Orario di apertura del Museo:
da martedì a domenica: 8.30- 19.00
(ultimo ingresso ore 18.20)
Giorni di chiusura: tutti i lunedì; 1 gennaio; 1 maggio; 25 dicembre
Biglietto d'ingresso:
Intero € 6,50
Ridotto € 3,25
Prenotazione obbligatoria per la Camera degli Sposi (€ 1, tel. 041 2411897)
E' collegato alla stazione tramite gli autobus linea 4 e circolare n 1 (discesa p. Concordia).
Per l'auto le aree di parcheggio libero sul lungolago sono: viale Mincio, piazza Virgiliana, Anconetta, Campo Canoa.
Riferimenti bibliografici
Mantova storia, Mantova : la storia, le lettere, le arti, Mantova 1958
Percorsi tematici:
Credits
Descrizione e notizie storiche: Balzarini, Maria Grazia; Ribaudo, Robert
Fotografie: BAMS photo Rodella/ Jaca Book; Comin, Isabella
Scheda completa SIRBeC (formato PDF)
Link risorsa: https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MN360-00998/
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