Industrie tessili (LC)

Abbadia Lariana Setificio Monti, Via Nazionale, 93. Epoca di costruzione 1818 – 1869

 

Intorno al 1818 il setaiolo Pietro Monti, venuto da Milano, trasforma un antico follo da pannilana in un filatoio per seta. I macchinari erano azionati da una ruota idraulica azionata dall’acqua del torrente Val Zerbo.

L’edificio è a cinque piani, tre dei quali erano occupati da giostre o piante in tondo doppie: una adibita per il “filato” o prima torsione sinistra, l’altra ad aspe per il “torto” o seconda torsione destra. Gli ultimi due piani erano occupate da incannatoi, stracannatoi, binatoi e dal fondaco o sala della seta. Negli anni 1840-50 i Monti installarono altri piantelli di torcitura del tipo in quadro a bacchetta.

Nel 1869 si ampliò l’edificio aggiungendo un fabbricato per l’allevamento e la filatura dei bozzoli; venne demolito il primo dei due torcitoi circolari al cui posto vennero impiantati i tre torcitoi rettangolari tuttora visibili, anche se molto rovinati. Nel 1885 la concorrenza della filanda Keller di Mandello del Lario portò la famiglia Monti a costruire proprio lì una nuova e moderna filanda, chiudendo definitivamente la filanda di Abbadia nel 1903. Il filatoio viene dato in gestione nel 1923 alla famiglia Cattaneo, che prosegue l’attività fino al 1934.
Il secondo torcitoio circolare, non più in funzione dal allora, fu acquistato dalla famiglia Abegg, quindi smontato e restaurato e poi donato al Museo Technorama di Winterthur in Svizzera nel 1965.
Dopo un lungo periodo di stasi e degrado, nel 1978 entrambi gli edifici, filanda e filatoio, vennero acquistati dal Comune di Abbadia. Dal 1981 iniziò con alterne vicende il recupero del filatoio e il restauro dei macchinari, tra cui il grande torcitoio circolare del 1818, 5 m di diametro, 11 di altezza, con 972 fusi, rimesso in funzione.
Nel 1998 si inaugura il Civico Museo Setificio Monti, allestito nel Complesso Monti (filatoio del 1818, filanda del 1869). Al piano superiore del filatoio si trovano attrezzature, oggetti e accessori usati un tempo per la lavorazione. Sul retro dell’edificio si possono vedere due ruote idrauliche.

1 filatoio
2 filanda

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Bellano Cotonificio Cantoni,  Via XX Settembre 12 .  Epoca di costruzione 1898 – 1902; blocco nuovo 1947

 

La famiglia Cantoni è stata protagonista dell’industria tessile italiana. L’attività era cominciata con l’arrivo a Gallarate verso la fine del ‘700 del commerciante di tessuti Benedetto. Il figlio Costanzo avvia nel 1820 la ditta Costanzo Cantoni, una tessitura di cotone con telai a mano situata nella frazione gallaratese di Vignola. Seguiranno gli opifici di Legnano (1835), Castellanza (1845) e Bellano (1870). Nel 1872 l’azienda fu la prima impresa cotoniera ad fare uso della forma di società azionaria.

In questi anni la guida della ditta passò al figlio Eugenio, che nel 1866 affittò a Bellano alcuni opifici e avviò un impianto di filatura; due anni dopo funzionavano 8600 fusi e si costruì una casa operaia. Un incendio distrusse lo stabilimento che viene ricostruito nel 1898. Nel 2017 il Comune di Bellano ha partecipato al bando regionale “Attract” proponendo come opportunità di investimento il Cotonificio, che potrebbe essere riconvertito a uso ricettivo, a Museo e centro polivalente di promozione delle tipicità agroalimentari e artigianali dell’area.

Il complesso comprende:
1 grande edifico a pianta rettangolare di quattro piani in pietra nera di Moltrasio: sotterraneo magazzino, piano terra rocchettatuea, primo piano rocchettatura e filatoio, quarto piano, filatoio. All’interno colonnine di ghisa.
2 edifici a due piani. Magazzini, uffici, mensa.
3 ponte in ferro sul fiume Pioverna.
4 magazzino del cotone
5 edificio produttivo costruito nel 1947
6 casa operaia del 1868
7. portineria

Link Scheda Cotonificio


Brivio Complesso Gibert. Al Castello, Piazza Carlo Frigerio – FILANDA

 

 


Il castello di Brivio costituisce un esempio di struttura architettonica preesistente riutilizzata, tra fine ’700 e inizio ’800, per scopi industriali: un caso decisamente singolare rispetto ai più consueti di riuso di conventi e monasteri.

Nel 1846 il castello era ormai in rovina, quando l’industriale serico Giuseppe Cantù (fratello del celebre scrittore Cesare), pensò proprio al castello come alla sede più adatta per ospitare i suoi opifici; fortunatamente abbandonò il primitivo progetto di abbattere lo storico edificio, limitandosi a riadattarne gli spazi al nuovo uso. Alcuni anni dopo la struttura lavorava a pieno ritmo e secondo moderni principi produttivi e tecnologici, come dimostra l’introduzione già a metà del secolo della caldaia a vapore.
Nel 1877 la ditta francese “Gibert” acquistò la filanda del castello, come molti altri imprenditori stranieri che, in quegli anni, cominciarono ad operare in Italia nel settore tessile, applicando tecniche produttive e commerciali più moderne rispetto ai piccoli imprenditori locali.

Gli opifici furono ampliati, comprendendo trattura e filatura, con ben 4 torcitoi nel 1893, saliti a 8 nel 1917. La torcitura venne addossata al bastione sud, sopralzando le mura originarie di 2 piani, nel cortile fu collocato il forno per la stufatura dei bozzoli, dotato di un’alta ciminiera, mentre l’ala est verso il fiume, al piano terreno, fu sistemata a dormitorio per le operaie forestiere e a magazzini. La tettoia a portico, che collegava una parte del fronte a lago alla torre tonda, venne chiusa realizzando un ampio ambiente al primo piano con finestroni ogivali, per ospitare il salone delle bacinelle.

Le 3 torri furono sopraelevate di un piano, con copertura in legno e tegole in cotto, e adibite a bozzoliera e magazzini per la seta. L’abi tazione dei proprietari venne ricavata nell’ala est dell’edificio con l’intento di ricreare un ambiente “nobile” di rappresentanza. I lavori di ristrutturazione, mirati a realizzare un complesso industriale moderno e funzionale in armonia con il castello preesistente, non furono affidati, come di consueto, a maestranze locali guidate da un capomastro, bensì a ingegneri di fama, come il milanese Cesare Saldini, che assunse la direzione dei lavori.

I nuovi interventi edilizi, tuttavia, uniti ai precedenti della gestione Cantù, trasformarono ampiamente il castello che, modificato ulteriormente per nuovi scopi produttivi negli anni ’50 del ’900, presenta oggi chiaramente leggibili le varie fasi delle ristrutturazioni subite.
La Ditta Gibert rimase attiva fino al primo ventennio del ’900 e fu l’unico setificio che in quegli anni a Brivio resistette all’ascesa del settore cotoniero, che si affiancò e poi sostituì quello serico.
(testo di Barbara Cattaneo)


Brivio  Filanda Felolo-Mejani

 

Scendendo dal centro di Brivio, lungo il corso dell’Adda, a valle del ponte, si trova la filanda Felolo-Mejani, che faceva parte di un complesso più vasto fatto costruire dalla famiglia Carozzi nel 1830, su una preesistente struttura settecentesca. Intorno a metà ’800, vi operavano 112 lavoranti, per un’attività solo stagionale, con una dotazione di 56 bacinelle. Da una nota dei “fabbricanti con opifizio esistenti a Brivio”, datata 1863, la filanda Carozzi risultava l’unica ad aver introdotto il metodo Gensoul per il riscaldamento delle bacinelle, mentre le altre usufruivano ancora del tradizionale fuoco diretto.

Nel 1876 la proprietà passò alla ditta Francesco Felolo di Milano, che intorno al 1890 completò le operazioni di trattura con la costruzione di un torcitoio di 3 piani, adiacente la filanda, cui era collegato da una scala, per il passaggio veloce del materiale e delle operaie da una fase all’altra della lavorazione.

Al primo piano erano collocate le bacinelle, al secondo gli essicatoi e al piano rialzato le macchine per triturare gli scarti delle operazioni di trattura. Utilizzato a fasi alterne fino al primo dopoguerra e attualmente in ristrutturazione,  l’intero complesso è un esempio di edificio ad uso industriale in cui la funzione primaria è tradotta in un linguaggio stilistico colto.

La filanda venne costruita, infatti, con un intento di “nobilitazione” dell’attività manifatturiera, secondo canoni mutuati dal neoclassicismo: quali il rivestimento in finto bugnato al piano terreno, intervallato nel piano superiore da finestre inserite in cornici in pietra, e il timpano che conclude il lato corto del tetto.

Il corpo a destra della filanda venne costruito successivamente, secondo il revival neogotico di fine ’800, cui sono ispirate le finestre quadrilobate a sesto acuto, mentre il lato nord presenta tracce di affreschi, che rappresentano un gruppo di persone in costume quattrocentesco affacciate ad un balconcino.
In posizione dominante sorge la villa padronale detta “La Scalvata”, che si sviluppa su 3 piani con torre laterale ed è collegata all’opificio da una passerella che attraversa il parco. È l’edificio meglio conservato dell’intero complesso, che presenta comunque nel suo insieme una notevole integrità ambientale e architettonica.
(testo di Barbara Cattaneo)


Brivio, fraz. Toffo,  Filatoio Toffo . Epoca di costruzione presumibilmente 1879

 

Edificio molto alto e stretto su pianta quadrata. Gli ultimi quattro piani hanno un solaio ribassato, presumibilmente a misura dell’altezza di donne bambini, la tradizionale manodopera impiegata nei filatoi. Una ruota metallica procurava il movimento delle macchine. Accanto al filatoio, una casa restaurata corrispondeva al vecchio mulino con torchio da olio detto Molinazzo.

In questo tratto del fiume operava il traghetto che tragittava le operaie dalla sponda bergamasca a quella milanese, dove operavano i filatoi Toffolo e Felolo-Mejani.
Link scheda SIRBeC


Calolziocorte Filanda Mangili, Viale Europa. Epoca di costruzione anteriore al 1843

 

Complesso originario composto da due edifici con altezze diverse disposti a “T”, che comprendeva torcitoio, filanda, ruota idraulica, porticato, casa padronale, abitazioni. Il torcitoio era azionato da una grossa ruota di ferro, alimentata da una derivazione d’acqua sotterranea del fiume Serta. La ruota è stata smantellata negli anni ’50.

Il nucleo originario probabilmente risale al ‘700, ma numerosi sono stati gli interventi e le aggiunte successive. Polo primario per la produzione della seta in Valle San Martino, ha cessato l’attività poco dopo la Seconda guerra mondiale. Fino agli anni ’70 si erano insediate piccole attività come un’officina, una tipografia, un falegname.

Negli anni Ottanta la struttura era degradata. Dal 2004 al 2007 l’area è stata riconvertita in abitazioni e uffici. E’ riconoscibile il corpo della filanda con finestre a sesto acuto e i portici usati per l’immagazzinamento dei bozzoli. Il comune di Corte, unificato poi con Calolzio, era costellato di filande e filatoi che ne costituivano l’asse economico principale, con mulini agricoli e magli alimentati dalle acque del fiume Serta.


Calolziocorte, fraz Sala, Filanda da seta, Via S. Cosmo 55. Epoca di costruzione anteriore al 1843

 

Grosso complesso a più corpi che si affacciano su un grande cortile. La filanda contava su una produzione di circa 250 bacinelle. Vi si effettuavano le ultime operazioni di trattura della seta: l’acqua necessaria era fornita da una grande vasca, ora demolita, al centro del cortile. L’energia elettrica veniva prodotta da una piccola turbina idraulica azionata dalle acque che scendevano dal Monte Marenzo e raccolte più a valle, trasportate poi alla filanda attraverso delle condotte sotterranee.

Tra i passaggi di proprietà più significativi quello della “Veuve Guerin et fils” di lione, un’antichissima impresa nel campo della seta, essendo Lione la capitale della tessitura, mentre l’Italia era la produttrice principale dell’organzino (il filo serico). La filanda era conosciuta come “Ausonia” durante la gestione del signor Leopoldo Haas di Vienne (1939-41). Fu poi rilevata dallo “Stabilimento di San Giorgio” di Torino, e dal “Cotonificio Ponte “Lambro. Il complesso è integro ma in stato di abbandono, tranne una palazzina sede di una industria meccanica.

1 filanda e magazzini al piano terra
2 portineria
3 abitazioni delle filandiere
4 abitazioni padronali e uffici
5 officine di riparazione delle macchine


Dorio Filanda poi Torcitura Barili, Viale Piave 3. Epoca di costruzione inizio XIX sec

 

Il complesso serico in origine era gestito dalla Società delle Strade Ferrate Meridionali che aveva costruito la ferrovia che divide il sito in due parti. Dopo alcuni passaggi di proprietà fu acquistato da Giovanni Barili che prosegui l’attività della filanda e iniziò quella di torcitura. L’attività della filanda cessò nel 1947, mentre proseguì la torcitura.
1 Ex filatoio ed ex torcitoio dal 1924. Edificio con tre piani sulla strada e quattro sotto il livello stradale.
2 Ex essiccatoio dei bozzoli, poi magazzino.
3 Ex filatoio ed ex torcitoio dal 1924. Edificio a un piano a valle della ferrovia.


Ello Filatoio dello Zero, Via Milano 5 . Epoca di costruzione prima metà dell’800

 

Il filatoio dello Zero costituiva, con gli opifici situati al centro del paese, un unico complesso nel quale si svolgeva il ciclo continuo della lavorazione della seta greggia. Questo e gli altri opifici (tutti di proprietà della famiglia De Vecchi) erano collegati da un complesso sistema di conduzione idraulica che, sfruttando le acque della diga a monte, metteva in funzione le ruote di tutti gli stabilimenti.
Il complesso è costituito da una corte chiusa da portici su tutti i lati e da un edificio di sei piani.

Link scheda


Ello Filatoio Dell’Oro o Filatoio della Torre, Via Filatoio. Epoca di costruzione: nel 1803 esisteva un primo nucleo, ampliato prima del 1851

 

 

Il primo nucleo del grande complesso risale alla fine del settecento e viene ampliato fino alla seconda metà dell’Ottocento dai suoi proprietari, i Redaelli Spreafico, i De Vecchi e dal 1932 i fratelli Dell’Oro.
La ditta Pasquale De Vecchi & C. era, intorno a metà ottocento, proprietaria di altri opifici serici, tra cui un filatoio di sei piani con 3312 fusi nella frazione di Ello detta “dello Zero”.

Il filatoio era a 5 piani con 2704 fusi, la filanda con 80 bacinelle su tre piani. L’intero complesso era azionato da 3 grandi ruote idrauliche di circa 6 m di diametro, poste una sopra l’altra all’interno di una torre. Il movimento delle ruote veniva trasmesso con un sistema di cinghie e pulegge ai torcitoi, binatoi e incannatoi sovrapposti nel filatoio. Un sistema di condotte sostenute da un ponticello in muratura metteva in comunicazione la torre con la filanda e vi portava l’acqua necessaria al funzionamento degli aspi e alle operazioni di trattura.

Nel 1870 venne realizzata a monte una vasca di raccolta delle acque, mentre un sistema di canalizzazioni le trasportava al filatoio “dello Zero”. I De Vecchi realizzarono anche dormitori e refettori per operaie forestiere, e “camere di allattamento” per affidare i figli ad una sorvegliante.
L’attività della filanda è cessata dopo l’ultima guerra, il filatoio è stato attivo fino al 1987. La lavorazione della seta veniva eseguita con i cosiddetti piantelli in quadro a bacchetta, risalenti al 1870.
Il complesso è ancora integro, e fa parte dell’Ecomuseo Laghi Briantei.

1 filatoio. edificio a pianta rettangolare a cinque piani
2 filanda. edificio a tre piani che presenta tracce di un porticato al piano terreno e al secondo 18 finestroni semicircolari.
3 torretta di tre piani contenente tre grandi ruote in ferro di 6 m di diametro, ristrutturate nel 1912. L’energia proveniva dal rio Ello che attraversa il paese.
4 filandina

Link scheda


Garlate Filanda Abegg (oggi Museo della seta), via Statale, 490. Epoca di costruzione 1841

 

L’edificio su due piani si sviluppa attorno a u no spazio centrale. L’ingresso è caratterizzato da un portico sostenuto da quattro colonne di pietra. Il fabbricato subisce molte modificazioni in seguito alle diverse funzioni che si sono succedute dal 1841 al 1973.


La filanda, che era costituita da un grande stanzone contenente (nel 1880) 104 bacinelle, viene divisa nel 1934 in due piani dove vengono installate macchine per le successive fasi di lavorazione della seta. I finestroni della filanda vengono sostituiti da finestrelle quadrate. Il salone verso il lago viene adibito ad essiccatoio delle sete. Una ciminiera quadrangolare viene sostituita da una cilindrica, poi demolita.

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Lecco, fraz. Germanedo, Complesso “Mulini Superiori”, poi Industria Metallurgica Costa Curta, Via Rovinata 39 – FILATOIO. Epoca di costruzione intorno al 1849, modifiche importanti tra il 1880 e il 1890

 

Il nucleo dei Molini Superiori era costituito in origine da un unico edificio che si affacciava su un lungo cortile ai margini della attuale via della Rovinata. La concezione d’insieme è stata alterata dall’aggiunta di moderni capannoni su via Rovinata. Comprendeva le abitazioni degli operai annesse alla fabbrica, con lavanderia e cucina in comune. Nel 1882 lavoravano 450 persone, diventate 498 nel 1892. I proprietari crearono un orfanotrofio per “povere fanciulle orfane, derelitte e di poveri genitori che venivano qui cresciute allo scopo di formare delle “buone operaie” Le ragazze, di età compresa tra 11 e 13 anni dovevano vivere nell’orfanotrofio e lavorare nel setificio per otto anni, in cambio di vitto, alloggio e vestiti. L’orfanotrofio era dotato di una cappella di cui non restano tracce. Si hanno anche notizie di un oratorio e di una scuola oggi non più rintracciabili.
1 Filatoio. Vasto e lungo fabbricato con finestre rettangolari
2 Casa per “orfanelle”. Costruzione di quattro piani. Il lato costo è scandito da quattro lesene, inferiormente lavorate ad imitazione del bugnato e nella parte superiore scalfite da linee leggere.
3 Casa per operai. Vasto edificio di quattro piani: il piano terreno è arricchito nella facciata da finto bugnato e l’interno è costituito da una lunga stanza con colonnine in ghisa.


Lecco, fraz. Germanedo, Filanda e filatoio detti “MoIini inferiori”, ora Istituti riuniti Airoldi & Muzzi, Via Airoldi e Muzzi. Epoca di costruzione intorno alla metà dell’800

 

Il nucleo dei Molini inferiori era costituito nel 1875 da una grande filanda di due piani cui si aggiungevano locali adibiti a filatoio ed altri a dormitorio, oggi non più riconoscibili. A questo primo nucleo si aggiungeva quello dei Molini superiori costruito più in alto lungo il corso del Bione. Attorno al 1880 il complesso viene assorbito dalla ditta svizzera Kramer & Muller che crea alcuni servizi, utili anche agli abitanti del paese di Germanedo (lavanderia pubblica, tre fontane di acqua potabile, illuminazione pubblica, opere di canalizzazione e rinforzi agli argini del Bione). L’azienda amplia la vecchia fabbrica re ristruttura i Molini Superiori in modo che nei due complessi si potesse compiere l’intero ciclo di produzione della seta greggia.
L’attività serica cessa nel 1923 e il complesso risente di successive trasformazioni.

1 filanda
2 filanda
3 casa di abitazione proprietari
4 filatoio


Malgate Filanda Reina – Bovara (Ex Stabilini), Via G. Parini 27. Epoca di costruzione 1783; modifiche strutturali intorno al 1830.

 

La filanda, nata dalla trasformazione della settecentesca residenza della famiglia Bovara, viene venduta alla famiglia Reina intorno al 1792. Una importante ristrutturazione avviene nel terzo decennio dell’800, ma l’aspetto esterno risente di successive modificazioni durate fino ai primi decenni del ‘900.

L’edificio è comunque riconducibile a un gusto neoclassico, tipico esempio di funzionalità industriale risolta in termini architettonici: è una caratteristica delle filande e filatoi dell’architetto Bovara, dove è sempre visibile la ricerca stilistica unita alla realtà pratica.

Inoltre l’edificio assume un particolare valore urbanistico sia per la visuale sul lago, sia perché costituisce un completamento delle ali di sviluppo del vecchio nucleo.
Il primo piano a doppia altezza ospitava lo stanzone delle bacinelle, con 36 colonne tuscaniche in pietra molare e volte a botte. Viene usato come luogo espositivo, mentre il resto dell’edificio è residenziale.

Link alla scheda SIRBeC


Mandello Setificio Keller, poi Redaelli Velluti

 

L’industriale svizzero Alberto Keller è uno dei numerosi casi d’imprenditori d’oltralpe che, intorno a metà ’800, investirono capitali nel nord Italia per la realizzazione di industrie tessili. Il complesso “Keller” a Mandello fu considerato un «setificio modello» per «accurata sorveglianza e controllo puntualissimo sulle singole operazioni».

Era costituito da una filanda e un filatoio, con annessa la villa del proprietario, immersi in un grande giardino prospiciente il lago. L’acqua del torrente Meria, convogliata in un serbatoio, azionava con un salto una ruota di 6 m di diametro per il funzionamento dei macchinari.
La particolarità del filatoio è il metodo costruttivo, sia della travatura, composta da solide e resistenti «travi armate», sia del tetto,
realizzato con «sole tegole piane rettangolari alla foggia dei tetti svizzeri». Keller dedicò una particolare attenzione alla salute delle dipendenti, dotando l’opificio di dormitori ampi e arieggiati e istituendo la visita quotidiana di un medico che controllasse le condizioni igieniche.
Intorno al 1895 il setificio venne acquistato dall’industriale lecchese Alfredo Redaelli, che nel 1888 aveva aperto a Rancio di Lecco il primo stabilimento italiano per la tessitura del velluto con telai meccanici. La “Redaelli Velluti”, notevolmente ampliatasi nel tempo, ha mantenuto
la sua sede nello storico complesso, conservandone la residenza padronale dalle eleganti linee neoclassiche, che si concludono con un timpano nel fronte a lago.
Anche l’antica filanda, pur adibita a differenti funzioni, mostra l’originario impianto rettangolare e l’alzato su 3 piani, scandito dai consueti “finestroni”.
(testo di Barbara Cattaneo)


Olginate  Filanda Fenaroli, poi Abegg Via C. Cantù 5. Epoca di costruzione  1850 circa

 

 

Il complesso è stato largamente rimaneggiato dopo la cessazione dell’attività serica (1935). In origine accanto alla filanda erano posti il dormitorio, la residenza padronale, un magazzino e una bozzoliera. Nel giardino c’era una fontana con tre putti in pietra. Elementi propri della villa (giardino, fontana, viale d’accesso) fondevano la sede padronale e la sede della produzione in un nucleo unitario. Dopo essere stato adibito ad officina meccanica, l’edificio della filanda è diventato un ostello.
Il primo piano della filanda era utilizzato come “galletteria” (magazzino dei bozzoli), mentre al secondo si trovava lo stanzone delle bacinelle che nel 1885 ammontavano a 100 per ridursi a 74 e riaumentare a 104 nel 1927. Secondo un registro del 1900 nella filanda erano impiegate 193 operaie.

1 Filanda. vasto fabbricato di tre piani. Al pianterreno restano tracce di un porticato a 13 campate oggi chiuse.
2 Casa di abitazione dei proprietari originariamente divisa dal corpo 1.


Valmadrera Complesso serico Gavazzi detto “Il Filandone”, Via Manzoni 1. Epoca di costruzione 1817-20 villa e filanda; 1834 ricostruzione cappella

 

Il complesso del “Filandone, nato dalla ristrutturazione di un precedente nucleo sei-settecentesco, presenta una generale intonazione neoclassica riscontrabile anche in altri esempi di architettura industriale attribuibili all’architetto Giuseppe Bovara. In questo caso abbiamo una totale integrazione tra criteri funzionali e stilistici.

Villa Gavazzi

Villa Gavazzi

La parte produttiva, costituita dalla filanda e da una grande vasca per la raccolta delle acque, si situa in continuità con la grande villa padronale e la cappella di famiglia, in un vasto parco. L’intervento del Bovara sul corpo della filanda, unita alla villa da una grande serra, sul modello dei giardini d’inverno, appare probabile per la presenza di elementi del linguaggio neoclassico proprio della sua
architettura: dal timpano ai cornicioni e alle lesene poste in alternanza con le finestre.

Annessa alla villa è anche la seicentesca casa Bonacina, dove era collocato il dormitorio per le operaie forestiere e le cosiddette “orfanelle”. Nel 1834 si ricostruisce la cappella di famiglia dedicata a S. Gaetano, adiacente la villa, trasformando l’originaria pianta ottagonale in rotonda con cupola a lanterna, preceduta da un portico ionico.

I Gavazzi iniziarono l’attività a Valmadrera nel 1772, per diventare a metà ‘800 tra i più importanti filandieri della Lombardia: possedevano un’altra filanda e un filatoio sempre a Valmadrera (oggi trasformati in abitazioni), un opificio serico a Bellano ed altri a Oro, Inesio, Cernusco. L’artefice di questa ascesa fu Pietro Gavazzi (1803-1875), che dotò “Il filandone” di moderne tecniche a vapore che consentivano di effettuare la trattura delle sete gregge importate da Cina e Giappone anche nel periodo invernale.

Lo stabilimento aveva già prima del 1859 impianti per l’aspirazione dei fumi maleodoranti provenienti dalle bacinelle, illuminazione a gas e riscaldamento. Il grande parco d’ispirazione romantica che si estende intorno al complesso venne realizzato nel 1840 ca. dall’architetto milanese Giuseppe Balzaretti, famoso per la progettazione di giardini all’inglese, tra cui quelli pubblici di Milano.

La famiglia dotò Valmadrera di varie infrastrutture a beneficio della comunità: un asilo, una lavanderia, due fontane. All’interno della fabbrica c’erano una scuola domenicale e un corpo di pompieri.

1 filanda. Edificio di due piani di cui il secondo con 20 finestre a tutto sesto alternate a lesene, concluso da un timpano.
2 cappella privata a pianta rotonda con cupola a lanterna
3 villa padronale a tre piani di cui i primi due con 10 finestre decorate a stucco e ringhiere in ferro battuto
4 dormitorio. Edificio di origene deicentesca con corte interna
5 uffici. Edificio di tre piani che unisce la filanda alla villa.
6 caldaia e ciminiera
7 serra in ferro e legno

Link scheda SIRBeC


Valmadrera, fraz. Parè Complesso serico Bovara, Via Bovara 36. Epoca di costruzione metà del ‘700

 

La famiglia Bovara fu una delle più antiche e importanti tra quelle operanti nell’industria serica lecchese: già alla metà del ‘700 possedevano un filatoio a Parè, uno a Castello, uno a Lecco ed una filanda a Malgrate. Il complesso di Parè, originario della metà del ‘600, costituì il primo esempio di nucleo industriale sul cui modulo si uniformarono gli altri opifici serici della zona. La maggior parte delle filande del lecchese si svilupparono infatti aggregando l’abitazione padronale con l’edificio industriale.

Negli opifici dei Bovara già nella seconda metà del ‘700 si cercava di introdurre il ciclo completo di lavorazione della seta greggia: i Bovara possedevano già filande e filatoi dotati di incannatoi, mentre gli altri opifici serici rimasero legati ad una produzione ancora artigianale per tutto il ‘700 e per i primi decenni dell’800. Nel 1773 nella fabbrica di Parè lavoravano 13 uomini e 20 donne, un numero superiore alla media di quel periodo.

Il nucleo settecentesco viene ampliato dall’architetto Giuseppe Bovara durante l’800, che diede uniformità stilistica ai complessi residenziali e produttivi. L’attività cessò intorno al 1930.
Il complesso si articolava in due cortili, uno destinato alla produzione e uno di rappresentanza davanti alla casa padronale, che comprendeva la Cappella dell’Addolorata, voluta nel 1756 da Giacomo Bovara. In seguito alla ristrutturazione ad uso residenziale della parte un tempo destinata alla produzione, rimane integra la villa padronale con un corpo centrale a tre piani e due corpi laterali più bassi.

1. Villa padronale
2. Filanda


Ultimo aggiornamento: 11 Dicembre 2020 [cm]