comune del principato di Pavia sec. XIV - 1757

Le comunità rurali delle campagne pavesi furono sempre di ridotto o assai ridotto peso demografico. Il quarantasettesimo capo degli “statuta de regimimine potestatis” di Pavia stabiliva il limite di dieci uomini per la costituzione di una comunità. Nel tardo medioevo le comunità rurali (terre) e i borghi si reggevano ciascuno secondo le proprie tradizioni, anche se era riconoscibile uno schema comune. Il consiglio generale dei capifamiglia, che si riuniva una volta all’anno, delegava la conduzione degli affari del comune a pochi deputati ai quali spettava in genere designare i funzionari del comune, ovvero il console, che si occupava della giustizia a livello locale (provvedendo a denunce, arresti, confische) e il cancelliere, che provvedeva all’amministrazione finanziaria. Nella città capoluogo, il sistema, pur essendo assai più complesso e prevedendo una forte riduzione della partecipazione popolare, era sostanzialmente simile (Capra, Sella 1984). Con l’inserimento stabile della città di Pavia e del principato nello stato milanese, attuatosi nel corso del XIV secolo, città e cives mantennero molti privilegi, soprattutto sugli abitanti delle terre del contado, pur dovendo inserirsi in un nuovo quadro politico. Nel principato di Pavia tra XV e XVI secolo si assistette quindi alla contemporanea presenza e complementarietà di legislazione principesca, comune a più parti del dominio, e legislazione statutaria, con gli elementi di particolarismo che tale legislazione comportava.

Nelle campagne pavesi erano dotate di statuti propri le comunità di Santa Cristina e Bissone, Port’Albera, Vidigulfo, Villanterio, Belgioioso, Casorate (Fontana 1907; Cavagna Sangiuliani 1907).

In Oltrepò le comunità dotate di statuti furono Broni, Casteggio, Montebello, Mondondone, Port’Albera, Rivanazzano, Fortunago; gli statuti di Stradella e quelli di Cecima furono stati emanati dal vescovo Pietro Grassi nel 1418. Gli statuti di Cecima costituirono un modello per molte altre piccole comunità. Ebbe suoi statuti a partire dal XIII secolo anche la città di Voghera; gli ordinamenti vogheresi vennero confermati nel XIV ed editi nel XVI secolo (Fontana 1907; Cavagna Sangiuliani 1907).

In Lomellina ebbero statuti particolari Candia, Castelnovetto, Groppello, Lomello, Mortara, San Nazzaro de’ Burgundi, Sartirana Lomellina, Semiana, Tromello, Vigevano. Sappiamo da notizie bibliografiche che ebbero statuti anche Bassignana, Gambolò, Palestro, Rosasco, Sant’ Angelo e Mede (Duboin 1827-1854; Fontana 1907 ; Cavagna Sangiuliani 1907).

Il sistema amministrativo vigente tra XIV e XV secolo nei comuni delle campagne pavesi può essere ricostruito in modo esemplificativo dall’esame degli statuti di Casorate, concessi dal vescovo di Pavia Pietro Grassi il 6 maggio 1418 come riconoscimento di norme consuetudinarie. Il comune era dotato di un podestà coadiuvato da una “familia” che rappresentava gli interessi della comunità e amministrava la giustizia penale. Era presente un consiglio formato da dodici componenti ai quali erano affidati i poteri “providendi, statuendi et ordinandi”. La giustizia civile era amministrata da due consoli elettivi con carica semestrale. L’amministrazione delle finanze pubbliche era affidata al tesoriere eletto dal consiglio a cui rispondeva; il suo incarico durava sei mesi. Altri ufficiali erano il camparo, eletto annualmente dal consiglio, e il messo (Porqueddu 1980).

L’ingresso dello stato di Milano, di cui il pavese faceva parte, nei domini di Carlo V nel 1535 non implicò mutamenti profondi nella struttura amministrativa dei territori annessi, così anche la promulgazione delle nuove costituzioni del 1541 si collocò nel solco del rispetto della tradizione (Capra, Sella 1984).

Nei comuni continuavano nelle loro funzioni i consigli generali, come organo deliberante, i consoli, investiti di compiti di polizia locale, e uno o più sindaci. Le comunità più importanti erano governate da un consiglio ordinario e in esse aveva sede generalmente un podestà, rappresentante periferico dell’autorità superiore dello stato, che, oltre a rivestire il ruolo di giudice, garantiva con la sua presenza la liceità delle assemblee pubbliche.

L’organizzazione amministrativa delle comunità pavesi, consolidatasi nel corso dei secoli secondo le tradizionali norme sancite dalle consuetudini e degli statuti locali, si ritrova sostanzialmente immutata nella documentazione raccolta in occasione delle operazioni censuarie iniziate nel secolo XVIII da Carlo VI e terminate in età teresiana. Particolarmente utili sotto questo aspetto risultano le “risposte ai 45 quesiti” fornite dai cancellieri delle comunità alla giunta del censimento. La zona interessata dall’indagine comprendeva le aree storiche in cui era suddiviso il territorio pavese, cioè la campagna soprana, la campagna sottana, il parco vecchio, il parco nuovo, e il vicariato di Settimo. Quest’ultima zona venne aggregata al principato di Pavia nel 1756.

Alla metà del XVIII secolo nel pavese risultavano centoquarantasei comuni comprese le cassine, la cui aggregazione ai comuni maggiori era solamente formale e nascondeva una sostanziale autonomia fiscale e amministrativa.

I comuni erano raggruppati per delegazione. La campagna soprana comprendeva la delegazione II di cui facevano parte Battuda, Casorate, Cerro, Papiago, Pilastro, Pissarello, Rognano, Soncino con Cassina Cavagnate, Torradello, Torrino, Trovo, Villarasca, Zelada; la delegazione III con Bereguardo, Brusada, Calignano, Marcignago, Molino Vecchio e Divisa, Origioso, Robecchino, San Perone, Tirogno, Trorriano, Trivolzio, Vellezzo; la delegazione IV formata da Baselica Bologna, Carpignago, Casadico, Cassina Maggiore, Cassina Scacabarozzi, Cosnasco, Giovenzano, Giussago, Guinzano, Liconasco, Moirago, Molino de’ Perotti, Nivolto, Noveto, Ronchetto, San Colombanino, Turago Bordone, Villanova de’ Beretti; la delegazione V con Cassine Calderari, Cassina de’ Tolentini, Cassina Serigari, Cassina Tentori, Cassina Trebigliana, Cittadella, Molinazzo, Montebello, Santa Sofia con Vignate, San Varese, Torre d’Isola, Villalonga. La campagna sottana era divisa nelle delegazioni VI, VII, VIII, IX, X, XI. Della delegazione VI facevano parte Belvedere, Ca’ de’ Levrieri, Ca’ de’ Tedioli, Ca’ della Terra, Cassina Oltrona, Cassina Valle, Foss’ Armato, Moncucco, Motta San Damiano, Ospedaletto, Prado, Santa Croce, San Damiano, Torre Bianca, Vaccarizza, Vimanone; la delegazione VII era costituita da Barona, Calignano, Carpignano, Cassina del Broglio, Cassina de’ Mensi, Ceranova, Guardabiate, Lardirago, Lossano, Marzano, Ronchetto, Sant’ Alessio, Spirago, Strazzago, Vialone, Vistarino, Vivente; appartenevano alla delegazione VII Albaredo, Albuzzano, Alperolo, Beatico, Belgioioso, Buttirago, Filighera, Linarolo, Montesano, Santa Margherita, Torre d’Astari, Vigalfo; la delegazione VIII era formata da Corte Olona, Costa San Zenone, Genzone, Monteleone, Santa Cristina, San Zenone, Spessa, Spessetta Barbiana con Spessetta Speciana, Torre dei Negri, Zerbo; la delegazione X contava Badia, Bissone, Campo Rinaldo, Caselle, Casone del Mezzano, Cassina del Mezzano, Chignolo, Miradolo, Pieve Porto Morone; infine la delegazione XI era formata da Copiano, Gerenzago, Inverno, Magherno, Monte Bolognola, Torre d’Arese, Villanterio.

Il parco vecchio era costituito dalla sola la delegazione XII formata da Cantugno e Mirabello.

Il parco nuovo, che costituiva la delegazione XIII, contava Borgarello, Comairano, Cassina de’ Sacchi, San Genesio, Gualterzano, Ponte Carate, Porta d’Agosto, Torre del Mangano.

Il vicariato di Settimo, costituente la delegazione XIV, era formato da Bornasco, Corbesate, Gualdrasco, Misano Villareggio e Zeccone.

Dall’esame delle risposte fornite ai 45 quesiti della giunta del censimento si rileva che in tutte le comunità c’era un consiglio generale che si adunava tra luglio e novembre per il riparto delle imposte e ai primi di gennaio per il rinnovo delle cariche comunali. Anche nei comuni che dichiaravano di non avere consiglio, i capi di casa venivano convocati almeno una volta all’anno insieme ai “maggiorestimi” e agli ufficiali del comune. Questi consigli si svolgevano alla presenza del iusdicente locale (podestà regio o feudale), talvolta sostituito da un luogotenente.

I podestà raramente risiedevano nella comunità e in genere si facevano rappresentare da luogotenenti o attuari.

L’amministrazione della giustizia era affidata al podestà di nomina feudale se il comune era infeudato, altrimenti dipendeva dal podestà regio di Pavia. All’epoca della rilevazione per i 45 quesiti, su centoquarantasei comuni circa due terzi erano infeudati.

A seconda dell’importanza della comunità variava il numero dei deputati (tra dodici e due). Alcuni dei cassinaggi più piccoli erano privi di consiglio e venivano amministrati direttamente dal fittabile del proprietario.

I deputati erano coloro ai quali competeva “il carico di amministrare, diffondere e invigilare per l’indennità del pubblico e altresì conservare le rendite del medesimo”; avevano anche “la cura sopra la formazione de’ pubblici riparti” (Isetta, Mei 1980). In alcuni comuni della campagna soprana oltre ai deputati rurali c’era anche un deputato civile (Marcignago, San Perone, Torriano, Trivolzio, Vellezzo, San Varese, Trovo, Battuda, Giussago, Ronchetto). In genere il deputato civile era il maggiore estimato o un uomo di sua fiducia (Isetta, Mei 1980).

Nelle comunità che dichiaravano di non avere deputati le loro funzioni erano svolte dai maggiori estimati che, in realtà, dovevano prendere parte attiva al governo di tutti i comuni.

Laddove il console non veniva eletto con un pubblico incanto, infatti, era scelto dal fittabile del maggiore estimato.

Nei comuni era inoltre presente un cancelliere salariato, che talvolta cumulava l’incarico di più comunità.

Tutte le comunità dichiaravano di rivolgersi, in caso di necessità, ai sindaci generali della provincia per la difesa dei propri interessi (Isetta, Mei 1980).

ultima modifica: 30/11/2006

[ Saverio Almini ]