comune di Collio sec. XIV - 1797

Nell’estimo visconteo del 1385 (ed anche nel 1389) il comune risultava appartenere alla Valle Trompia (Sabatti 1980, p. 81-82, nota 31); nel 1493 contava 450 anime (Medin 1886), mentre all’inizio del secolo XVII contava 500 fuochi e 2000 anime ed era composto da quattro terre: Divino, Tizio, Memmo, la Piazza (Da Lezze 1610). Nel 1764 vi erano 1555 anime (Descrizione generale 1764). Con sovrano decreto del 3 maggio 1777 la contrada di Memmo fu separata dal comune di Collio (decreto sovrano del 3 maggio 1777), mentre il primo febbraio 1791 fu separato il comune di S. Colombano (decreto sovrano del 1 febbraio 1791), cosicchè il comune di Collio risultò composto da tre comunità separate: Piazza con Tizio, S. Colombano e Memmo.
Nel 1645 tra i magistrati ed ufficiali del comune vi erano 12 consiglieri o consoli, 30 capi di decima, 4 ragionati, cavalieri sopra le vettovaglie, notai dei giudici diffinitori e notai dei consoli, un massaro (Sabatti 1979). Nelle relazioni compilate una in occasione della visita alla Valle del capitano vicepodestà Pietro Vittor Pisani, compiuta nel 1765, e l’altra nel 1785 sono contenute interessanti informazioni relative all’assetto istituzionale della comunità regolamentato dagli “antichi statuti”. Da questi documenti apprendiamo che la comunità di Collio era costituita da 300 fuochi, dieci fuochi formavano un collonello. Ogni collonello eleggeva ogni tre anni un capo. I trenta capi così nominati si riunivano alla fine di ogni anno nella casa pubblica e nominavano tre ellezionarii, ai quali era affidato il compito di eleggere dodici consoli o reggenti, che costituivano il consiglio speciale e che a turno due per bimestre governavano la comunità; quattro ragionati; un cancelliere; i giusdicenti; il notaio del foro e un ministrale. Nella relazione del 1785 si afferma che non vi era il massaro, ma che i contributi erano esatti dai due consoli al momento incaricati del governo e consegnati quindi al tesoriere (Governo Val Trompia e suoi comuni, 1765; Relazione della comunità di Collio, 1785).
Nel 1786 il capitano e vicepodestà di Brescia Nicolò Barbarigo emanò i regolamenti per il governo del comune di Collio, che riconfermano sostanzialmente la validità degli antichi metodi di governo. In essi è citato oltre alla vicinia dei trenta anche il consiglio generale della comunità: sembra che questa istituzione esistesse fin dalle origini del comune, ma che fosse sostanzialmente inoperante: nel primo capitolo dei regolamenti si afferma infatti che era “riuscito sempre difficile l’unire in un general consiglio li capi tuti delle originarie famiglie che vi sono capaci, attese le particolari circostanze del paese, diviso in disperse contrade, composto di un popolo nomade e perlopiù errante” e si stabilisce che esso, in osservanza anche a quanto stabilito da un accordo non meglio specificato concluso nel 1721, dovesse essere convocato solamente per prendere decisioni di particolare importanza. I regolamenti citano anche tra gli ufficiali eletti dal consiglio dei trenta i due andadori, cioè i rappresentanti al consiglio di Valle, mentre il numero dei ragionati è ridotto a tre (Regolamenti per il comune di Collio, 1786).
Nel 1796, stabilita la separazione del comune nelle tre contrade di Piazza e Tizio, S. Colombano e Memmo, che formarono ciascuna un comune autonomo, Alvise Mocenigo, capitano e vicepodestà di Brescia emise i regolamenti per il governo di ciascun comune. Il comune di Piazza e Tizio doveva essere governato dalla vicinia generale, formata da tutti i capofamiglia che eleggeva quaranta consiglieri, due ragionati e sei consoli. La riunione di essi costituiva il consiglio generale, costituito perciò da quarantun membri, al quale era demandato il compito di eleggere il cancelliere e gli altri ufficiali del comune. Ogni anno doveva essere rinnovata la metà dei consiglieri. L’amministrazione del comune era affidata a due consoli, che rimanevano in carica quattro mesi, e ai due ragionati. Il consiglio generale doveva inoltre eleggere due giudici delle cause civili di prima istanza e due di seconda, affiancati da uno o più notai della banca; due andadori al consiglio di Valle, due estimatori della legna da carbone, due estimatori dei danni, un deputato alle vettovaglie, uno o due campari, uno o due fanti. L’ufficio del pubblico massaro doveva essere posto all’incanto.
Il comune di S. Colombano doveva convocare ogni anno entro il mese di dicembre la vicinia generale costituita da tutti i capofamiglia di età superiore ai vent’anni per eleggere il console governatore del comune e il consiglio ordinario, costituito da dodici consiglieri, confermabili per due anni. Il consiglio ordinario a sua volta doveva eleggere un cancelliere, tre ragionati, i giusdicenti del comune, l’andadore per il consiglio di Valle e gli altri ufficiali del comune. La massaria doveva essere posta all’incanto.
Infine il comune di Memmo doveva convocare la vicinia generale costituita da tutti i capofamiglia di età superiore ai vent’anni entro il mese di ottobre di ogni anno per eleggere il console governatore della comunità, il consiglio speciale costituito da otto persone confermabili per due anni, il cancelliere, i giusdicenti, il massarolo, il “basso” console, il ministrale, l’andadore per il consiglio di Valle e due stimatori. La massaria generale era posta all’incanto.
Questi regolamenti emanati il 10 giugno 1796 e successivamente sottoposti all’approvazione del Senato rimasero probabilmente pressochè inapplicati per la cessazione pochi mesi più tardi del dominio veneto (Regolamenti per i tre comuni, 1796).

ultima modifica: 10/12/2003

[ Giovanni Zanolini ]