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375. Francesco Sforza a Bolognino de Attendolis (1453 ottobre 16 "contra Pontevichum").

Francesco Sforza risponde al conte Bolognino de Attendolis di comprendere lo stato d'animo che lo muove a indurre "con poca punitione l'homini (...) ala regula de ben vivere" a sostenere la richiesta di alcuni cittadini di annullare il processo fatto contro gli autori del tumulto pavese. Gli fa, però, osservare di aver così proceduto perchè da parecchi mesi era stato informato dei tristissimi modi usati da quei furfanti (furti e ogni mal costume) per cui "passata l'Ave Maria quasi dubitavano li boni andare per la cità", ed era intervenuto a sollecitare, ma invano, che si vivesse costumatamente. Tale costatazione l'ha convinto a non ascoltare neppure le parole della moglie Bianca Maria, della suocera Agnese e del figlio Galeazzo Maria e ha imposto che giustizia si faccia. Lo sprona a incitare il capitano di giustizia a eseguire la commissione ducale.

Comiti Bolognino de Attendolis.
Havemo recevuto Ie vostre lettere per Ie quale, a suasione de alcuni boni citadini de quella nostra cità, ne persuadeti ad remettere el fallimento et anullare el processo facto de quelli che commisseno el tumulto, alegando voi alcuni respecti per Ii quali ve pare che cosi debiamo fare; ale quale, respondendo, dicemo ch'el ne piace el vostro scrivere et lo laudiamo, rendendoci certissimi che ve moviti a bona fine, como quello che siti amorevele e voressevo che con poca punitione l'homini nostri se reducesseno ala regula de ben vivere. Ma per avisarve dela dispositione nostra, habiando nuy già più mesi passati informatione deli tristissimi modi, quali se servano in quella nostra cità, robbarie et ogni mali costumi ita che, passata l'Avemaria, quasi dubitavano li boni andare per la cità, mandassemo per nostri messi, scrisemo, confortassemo, persuadessemo el ben vivere et costumatamente ad ogni homo Iì, che non è valso, como haviti potuto comprehendere per lo dicto tumulto ali dì passati commetuto contra tanto mancamento del'honore et stato nostro, volimo et intendemo omnino ch'el se facia ragione et iustitia, segondo la comissione facta al capitaneo de iustitia, Ie quale credemo haveriti vedute inanti la receputa de queste, avisandove che, considerando nuy quanto bene è et quanto fructo sia per seguire in fare ragione et iustitia, non havemo voluto ch'el se attendi, nè a parole de madona Biancha, nè de madona Agnesa, né [ 109r] Galeazmaria, quale havesseno impedire questa bona opera de iustitia, dela quale quelli boni citadini, quali ve hanno a scriverve questo ogni dì, se ne trovarano più contenti et leti, vedendo stirpare Ii mancamenti et errori et revivisere la forma del ben vivere in la cità. Sichè, concludendo, ve confortiamo per bene delIa cità ad animare piutosto el capitaneo de iustitia ad seguire la commissione nostra in questa facenda, che fare altramente. Data ut supra.
Ser Iacobus.
Cichus.