pieve dei Santi Gervasio e Protasio sec. XI - sec. XVIII
Pieve della diocesi di Como. La chiesa di Bormio è attestata come battesimale in un diploma dell’imperatore Carlo Magno dell’803 e in uno successivo di Lotario I del 3 gennaio 824 (Salice 1969). Quest’ultimo documento cita la chiesa battesimale di Bormio unitamente a quelle di Mazzo, di Poschiavo e al piccolo monastero di San Fedele sul lago di Mezzola e conferma a Leone, vescovo di Como, i privilegi a lui concessi da Ludovico I e da Carlo Magno (Garbellini 1991). Il diploma di Lotario subì delle interpolazioni; tuttavia la menzione delle chiese, anche se fosse stata aggiunta posteriormente e quindi lasciasse dei dubbi sull'effettiva dipendenza dal vescovo di Como, implicherebbe che esse fossero indiscutibilmente note (Antonioli 1990). Bormio estendeva i suoi diritti spirituali su tutte le valli bormiesi fino a Serravalle, dove giungeva la giurisdizione della pieve di Mazzo (La contea di Bormio 1965). Nell'atto di donazione della chiesa di San Siro di Bianzone e annesse proprietà fatto al capitolo di Bormio dalle sorelle Nalucia e Pagana della Torre, atto steso in Bianzone l'8 febbraio 1100 dal notaio Giovanni Giudice, si legge che tale donazione era in favore dell'arciprete e dei canonici della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio di Bormio. La chiesa plebana, quindi, nel 1100 era officiata dall'arciprete e da alcuni canonici (Sosio 1994). Bormio viene citata, insieme alle pievi di Olonio, Ardenno, Berbenno e Poschiavo, in un documento del 1010, con il quale il vescovo Alberico fondava in Como il monastero di Sant'Abbondio e gli faceva dono dei redditi già appartenuti alla mensa vescovile (Fattarelli 1986). Alla fine del XIII secolo nella chiesa plebana arcipresbiterale dei Santi Gervasio e Protasio di Bormio il collegio canonicale era composto dall'arciprete e da cinque canonici (Perelli Cippo 1976).
Nel periodo visconteo il collegio canonicale raggiunse anche il numero di dodici canonici escluso l'arciprete (Sosio 1994). Nel 1445, all’epoca della visita pastorale del vescovo Gerardo Landriani il canonico prebendato interrogato dai vicari visitatori non era in grado di attestare se, oltre all’arcipretura, le prebende canonicali fossero in numero di cinque o sette; la chiesa, comunque, era allora priva dell’arciprete e di alcuni canonici e le rendite erano amministrate dalla comunità di Bormio (Visita Landriani 1444-1445).
Nel corso del XV secolo si staccarono dalla chiesa matrice di Bormio le chiese di San Nicolò Valfurva, San Gallo di Premadio (1467), Santa Maria di Livigno (1477).
Nell'elenco del clero della pieve di Bormio allegato agli atti del sinodo comense convocato nel 1565 dal vescovo Gianantonio Volpi figuravano l’arciprete della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio di Bormio e i rettori delle chiese di San Siro di Bianzone, San Nicolò Valfurva, Santa Maria di Livigno, San Martino di Pedenosso, San Gallo di Premadio, Santa Maria di Cepina (Sinodo Volpi 1565).
All’epoca della visita pastorale del vescovo Feliciano Ninguarda esistevano in Bormio le chiese di San Vitale martire, Santo Spirito, San Lorenzo martire, Santa Barbara vergine e martire, Santi Fabiano e Sebastiano martiri, San Francesco, Santi Pietro e Paolo apostoli, Sant'Antonio abate nella contrada di Combo, Santa Maria Vergine della Sassella, poi detta della Pazienza, e l'oratorio di San Michele Arcangelo (Visita Ninguarda 1589-1593). A Bormio furono costruite nei secoli seguenti le chiese di San Bernardo, San Gottardo, Sant'Ignazio al collegio dei gesuiti, e gli oratori di San Gaetano, di patronato Gervasi, San Giovanni Nepomuceno, San Ranieri, sul piano del Braulio (Visita Ninguarda 1589-1593, note). Nel territorio della pieve sorgevano le chiese dei Santi Pietro e Marcellino di Poira, Santa Maria di Piatta, Santa Maria, San Giovanni Battista, San Giovanni evangelista di Piazza, San Colombano di Oga, Santi Giovanni Battista e Giovanni evangelista e San Martino della frazione Molina, Santa Lucia di Ostilio, Santa Maria Maddalena della frazione omonima, San Bartolomeo apostolo nella frazione Morignone, San Martino vescovo detta di Serravalle, San Brizio nella frazione omonima, Santi Rocco e Sebastiano di Uzza, Santissima Trinità di Teregua, Sant’Antonio abate di Valfurva, San Gottardo nella frazione omonima, Santa Caterina nella frazione Magnavacca, San Cristoforo di Premadio, San Giacomo di Fraele, Santa Maria di Isolaccia, Sant’Abbondio di Semogo, Sant’Antonio abate di Livigno; esistevano inoltre le “ecclesiae curatae” o “vicecuratae” di San Lorenzo di Oga, Santa Maria di Cepina, San Nicolò in Valfurva, San Gallo di Premadio, San Martino vescovo di Pedenosso, Santa Maria Vergine di Livigno. La terra di Bormio, insieme a villaggi e frazioni, contava circa 1800 famiglie; il paese e il contado propriamente detti ne contavano circa 700, quasi tutte cattoliche (Visita Ninguarda 1589-1593).
Nella prima metà del XVII secolo furono erette le parrocchie di Pedenosso (1624), Semogo (1624), Oga (1632). Nel corso del XVIII secolo Cepina e Isolaccia diventarono parrocchie, Piatta e Trepalle viceparrocchie (Ecclesiae collegiatae 1758; Ecclesiae collegiatae 1794).
Per tutta l’epoca post-tridentina, e in pratica fino agli inizi del XX secolo, il termine pieve venne usato quasi esclusivamente per indicare una circoscrizione territoriale, coincidente con l’antica giurisdizione della chiesa plebana. Su tale base territoriale si venne a sovrapporre la struttura vicariale, di valenza più marcatamente istituzionale. Spettava ai vicari foranei, infatti, presiedere le congregazioni dei parroci. Dalla metà del XVII secolo Bormio è attestata stabilmente come sede di un vicariato, comprendente le parrocchie della pieve.
ultima modifica: 03/01/2006
[ Alessandra Baretta ]
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