monastero di San Nicolò 1446 - 1797

Monastero benedettino olivetano maschile.
Gli olivetani si installarono a Rodengo il 14 novembre 1446 (Picasso 2002 a, p. 106) subentrando in una struttura originariamente cluniacense, passata in commenda entro il 1399 e ridotta in stato di grande abbandono durante il governo dell'ultimo beneficiario, Corradino Caprioli che, nonostante la volontà di Eugenio IV che aveva posto gli olivetani a Rodengo, continuò fino al 1450 a difendere la sua posizione e ad occupare il cenobio (Picasso 2002 a, pp. 105-106; Spinelli 2002 b, p. 43). Alla base della chiamata degli olivetani a Rodengo, già nelle intenzioni del primo commendatario, il cardinale Angelo d'Anna Sommariva, sembrano esserci la volontà di Pietro del Monte, primo vescovo bresciano di origini veneziane (Picasso 2002 a, p. 106) e il fatto che "Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer, aveva favorito in ogni modo la riforma di Santa Giustina a Padova ed era incline ad estenderne l'osservanza tra i monasteri ... con l'ingresso degli olivetani si ebbe la prima introduzione nella diocesi di Brescia di una congregazione benedettina espressione della riforma monastica del Quattrocento" (Picasso 2002 a, p. 106). Gli olivetani introdussero a Rodengo un'esperienza di elevata spiritualità e di prosperità (Picasso 2002 a, p. 106). Nell'ambito della rinascita del monastero, essi si occuparono da subito del ripristino della liturgia da un lato e della gestione economica e della riorganizzazione patrimoniale dall'altro; grazie ai proventi scaturiti da una oculata gestione del patrimonio monastico poterono occuparsi del restauro, ampliamento e ricostruzione del cenobio e della chiesa (Breda 2002 b, pp. 148-156; Begni Redona 2002, pp. 213-244; Brizzi 2002, pp. 290-299). Per quanto riguarda la gestione economica fu importante, nel primo periodo di vita olivetana a Rodengo, l'operato del priore Andrea Griffi (Tagliabue 2002 a, p. 118) e di Sigismondo del Monte, fratello del vescovo Pietro, a lungo cellerario e amministratore dei beni del monastero (Picasso 2002 a, p. 107). Nel secolo successivo il priore Innocenzo Manerba diede impulso alla rinascita economica del monastero grazie al ritorno alla gestione diretta di molti beni e alla concessione dei diritti d'uso delle acque ottenendo così un aumento della produttività delle terre e il superamento della frammentarietà dei possedimenti (Fiori 1991, pp. 47-48; Picasso 2002 a, p. 107). Dal XVII secolo le notizie sul patrimonio si fanno più dettagliate grazie agli estimi, che resituiscono una situazione economica simile a quella del secolo precedente. I monaci possedevano terre, mulini e diritti di acque già appartenuti al priorato cluniacense che li aveva preceduti, poste in Franciacorta (Comini, Cavadini, Dotti, Piccinelli 2002, pp. 325-326) e nella bassa bresciana a Comezzano, già sede in età cluniacense di un'azienda agricola ispirata alle nascenti grangie cistercensi (Fiori 1991, p. 47). Per quanto riguarda gli enti aggregati, dagli estimi risultano dipendenti da Rodengo piccole chiese, cappelle e oratori nella zona, già legate ai cluniacensi di San Dionigi a Ponte Cingoli e di Santo Stefano a Rodengo (Comini, Cavadini, Dotti, Piccinelli 2002, p. 332; Prestini 2002 a, p. 386), tra cui la chiesa di Santa Giulia di Cazzago, patronato della famiglia Cazzago (Bettoni 2000 p. 191; Vecchio 2004 pp. 83-116). Ai possessi già cluniacensi gli olivetani aggiunsero nuovi beni a Lograto e Trenzano, a dotazione dei monasteri da essi creati a Lograto e a Brescia. Nel 1564 "la congregazione olivetana ottenne dal papa Pio IV i beni in Lograto, con l'impegno di costituire un monastero: tuttavia Lograto non riuscì mai a decollare come vero monastero" (Comini, Cavadini, Dotti, Piccinelli 2002, p. 328; Prestini 2002 a, pp. 413-414; Fiori 1988, p. 13): quindi "si pensa di compensare la mancata edificazione del monastero in Lograto, con la fondazione, ben vista anche dal vescovo Zorzi, di un cenobio in città" (Prestini 2002 a, p. 414). L'8 marzo 1623 Gregorio IX approvò l'ingresso degli olivetani di Rodengo nel monastero da loro fondato a Brescia e dedicato a santa Francesca Romana (Prestini 2002 a, p. 414), che presto si ampliò con l'acquisto delle case vicine. Il piccolo ente, sempre dipendente dal monastero di Rodengo, fu soppresso per l'esiguità della comunità monastica il 29 ottobre 1771 e i monaci che lo occupavano si trasferirono a Rodengo (Comini, Cavadini, Dotti, Piccinelli 2002, p. 323; Prestini 2002 a, p. 422) e i beni in Lograto e Trenzano, detenuti in usufrutto da Rodengo furono confiscati. A proposito della consistenza numerica dell'ente, fino al 1570 vi fu un continuo sviluppo, con un massimo di quarantasei presenze (Tagliabue 2002 a, p. 121). Nel 1650, in seguito alle inchieste promosse da Innocenzo X per conoscere lo stato degli ordini religiosi, si dovette "prefissare un numero di monaci in base alle risorse economiche e patrimoniali del monastero", stabilito a venti unità (Tagliabue 2002 a, p. 122). Nel 1796, a un passo dalla soppressione, erano presenti a Rodengo dodici monaci (Tagliabue 2002 a, p. 138). Nel 1797, prima del 18 giugno, il monastero di San Nicolò venne soppresso: la data esatta non è nota "poiché ... risulta mancante il decreto di soppressione nelle raccolte a stampa dell'epoca e tra le carte degli archivi. Tuttavia un documento datato 18 giugno 1797 ... consente di collocare la soppressione anteriormente a tale data" (Comini, Cavadini, Dotti, Piccinelli 2002, p. 331).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Diana Vecchio ]