comune di Olginate sec. XIV - 1757

Comune del Monte di Brianza, appartenne alla pieve di Garlate.
Negli statuti delle strade e delle acque del contado di Milano era compreso, nella pieve di Garlate, come “el locho da Olzinà” (Stella, Farina 1992).
Nel 1412 il comune di Olginate, per mezzo di procuratori, prestò giuramento di fedeltà a Filippo Maria Visconti, che aveva riconfermato alla “Martesana superiore” (Monte di Brianza) le esenzioni fiscali già accordate da Bernabò nel 1373 e da Giangaleazzo Visconti nel 1385 ai “loca et cassine Montis Brianze” (Cazzani 1979).
Negli estimi del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti fino al XVII secolo, Olginate risulta inserito nella pieve di Garlate (Estimo di Carlo V, Ducato di Milano).
In un prospetto comprendente tutte “le terre del ducato di Milano et altre con esse tassate per le stara di sale”, risalente al 1572 (Terre Ducato di Milano, 1572), era compresa anche Olginate.
Dalle risposte fornite nel 1751 ai 45 quesiti della real giunta del censimento, si desume che a quel tempo la comunità di Olginate, compresa nella pieve di Garlate – già infeudata con le comunità delle pievi di Garlate e Oggiono nel 1538 a Giovanni Agostino d’Adda (Casanova 1904) – non riconosceva alcun feudatario, banché ci fosse chi pretendeva “antica ragione, cioè il conte Francesco d’Adda”; vi risiedeva allora un luogotenente eletto dal podestà regio abitante in Milano, Leopoldo d’Elio, al quale si pagava a titolo di salario lire 8.6 e “per gli altri suoi incomodi” lire 3.14 annue; il console era solito prestare giuramento presso la banca criminale di Milano, versando soldi 20.
Per quanto riguarda gli organi e gli aspetti della vita amministrativa, la comunità, che aveva allora 812 abitanti, non aveva formalmente consiglio generale, ma tre degli estimati, trascelti dal corpo degli altri interessati della comunità, si addossavano gratis il carico di controllare e firmare i riparti, esaminare la giustezza dei mandati; riferendo man mano “al gremio degli altri estimati tutto ciò che è stato da loro operato”. In pubblica piazza “a suono di campana e con premonizione del console” si eleggevano due deputati “dei più capaci, e questi per le ordinarie diuturne occorrenze, ma sempre però con dipendenza dai tre sovrintendenti nelle cose gravi”; la comunità non aveva allora propriamente un cancelliere in luogo, ma un “vicecancelliere perito”, abitante a Milano, “capace di formare li riparti e far li conti all’esattore”, con emolumento di lire 25 annue. La comunità non aveva “archivio nè stanza per conservare le scritture, dacché le guerre, gli incendi e l’incuria degli oltrepassati” non avevano lasciato che “pochi fogli relativi a liti pessime e di nessun valore”, tenuti “provvisoriamente presso uno dei soprintendenti restando però sotto chiave”, in mano “de' deputati forensi con nota di consegna”; vi era infine un esattore (Risposte ai 45 quesiti, 1751, Olginate; Cazzani 1979).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Saverio Almini ]