comune di Limonta sec. XV - 1797

Terra del Lario orientale, fu feudo imperiale e soggetta, fino alla fine del XVIII secolo, alla signoria dell’abate del monastero di Sant’Ambrogio di Milano.
Nell’anno 835 i due paesi di Limonta e Civenna costituivano una corte, abitata da servi, in tutto soggetti al loro signore, che furono donati dall’imperatore Lotario all’abate di Sant’Ambrogio di Milano. Mutando via via la loro primitiva condizione giuridica, le due ville si organizzarono in comunità rurali. Non è chiaro il primo sorgere dell’organizzazione comunale in queste due terre lariane: il complesso delle competenze proprie dell’istituto comunitativo risulta chiaramente delineato solo negli “statuta locorum Civennae et Limontae” degli anni 1416 e 1418, modificati in parte nel 1589 e infine nel 1640, con un’ultima ristampa nel 1687.
Il pieno possesso del monastero di Sant’Ambrogio su tutta la corte, sul suo territorio e sui suoi uomini continuò con sicurezza fino al principio del XIV secolo. Ma già nel 1158 Limonta e Civenna agivano come due comunità distinte con propri gastaldi e degani, liberi di stringere alleanze con altre terre. Limonta e Civenna si associarono all’epoca del Barbarossa al comune di Bellagio, venendo sciolti da tale legame dal governatore del contado di Como nel 1163.
Il 25 ottobre 1416, comunque, riunita la vicinanza dei due luoghi di Limonta e Civenna sulla piazza di Civenna, sotto la presidenza dei due rispetivi consoli, furono eletti cinque procuratori, i quali, presentatisti all’abate di Sant’Ambrogio, ricevettero investitura, per le due comunità a titolo feudale, del territorio dei due comuni e di tutti i beni immobili, al patto che pagassero la ricognizione al signore; i procuratori a loro volta prestarono giuramento di fedeltà feudale. Il ripristino del vincolo feudale consentiva alle due comunità di tornare a godere delle esenzioni proprie del patrimonio ecclesiastico. Parte della popolazione contestò però tale rinnovata dipendenza, e tentò di far ribadire il legame dei due comuni con la città comasca, alla quale l’abate aveva ceduto la giurisdizione nel XIV secolo.
La separazione tra i due luoghi di Limonta e Civenna , benché iniziata nel XII secolo, si completò solo nel XV: diversi erano stati sempre i decani e i gastaldi, che apparivano tuttavia agire unitariamente quali agenti davanti all’abate negli atti ufficiali. Ciascuna delle due frazioni era tenuta a contribuire una determinata parte del censo. Nel XV secolo le due terre di Limonta e Civenna godevano e disponevano separatamente dei beni comuni (pascoli e boschi) (la cui divisione non si attuò mai in via definitiva). La distinzione tra i due luoghi è da stimarsi completa da quando Civenna e Limonta ebbero ciascuna il proprio podestà; se il cancelliere fu invece uno solo (per entrambe le podesterie), doveva però tenere due rubriche separate per gli atti processuali. Già negli statuti del 1416 era fatto obbligo ai due comuni di eleggersi il podestà, consoli, caneparo, consiglieri; fiscale e cancelliere erano eletti dall’abate. Anche nel tardo XV secolo (si ricorda l’elezione del 5 aprile 1486 fatta “a quibusdam hominibus ipsius loci”) (ASMi, Feudi imperiali cart. 373), l’elezione del pretore (podestà) di Limonta spettava agli uomini del comune, e veniva successivamente approvata e confermata dal vassallo imperiale, abate di Sant’Ambrogio di Milano.
Gli statuti di Civenna e Limonta contenevano disposizioni riguardanti consoli, consiglieri e altri ufficiali della comunità, nonché i rapporti tra costoro, con gli altri abitanti, e il podestà.
Il console di Limonta era tenuto, nell’entrare in carica, a dare idonea sigurtà, nelle mani del podestà, di ubbidire ai suoi comandamenti, notificare i delitti e i delinquenti, in conformità agli ordini, di non andare contro quanto stabilito dagli statuti, pena un’ammenda in denaro; analoga sigurtà era richiesta agli abitanti “o capi di casa per i suoi di casa”, che si impegnavano con tale atto anche a “pagare le taglie e onoranze ai tempi debiti”. Tutti i capi di casa erano tenuti, pena esborso di lire 3 imperiali, a partecipare alle congregazioni della vicinanza.
Il comune di Limonta aveva inoltre il suo consiglio o consiglio generale, con consiglieri eletti con mandato annuale (nessuno vi poteva partecipare con un’età inferiore a diciotto anni), che dovevano provvedere “con la necessaria autorità” alle occorrenze della comunità, deputando a questo scopo due sindaci; in caso di bisogno potevano obbligare i beni del comune (ma con licenza e partecipazione del feudatario). Tutti i consiglieri, una volta eletti, erano tenuti a giurare nelle mani del podestà di svolgere il loro ufficio sinceramente e ad utilità del comune. Nel consiglio generale veniva inoltre eletto un caneparo o tesoriere (anch’egli tenuto al giuramento di prestare fedelmente il proprio ufficio), che doveva rendere conto degli affari del comune; poteva essere confermato nell’incarico, se non c’era ordine contrario del console (statuto di Limonta e Civenna 1589).
Negli estimi del ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti fino al XVII secolo, Limonta risultava inserita nella Vallassina nel “commune di Civenna e Limonta” (Estimo di Carlo V, Ducato di Milano).
In un prospetto comprendente tutte “le terre del ducato di Milano et altre con esse tassate per le stara di sale”, risalente al 1572 (Terre Ducato di Milano, 1572), era compresa anche Limonta.
Alla fine del XVI secolo Limonta contava 38 fuochi per circa 150 abitanti. Nel 1735 aveva invece 52 fuochi (Bonfanti 1958; Bertoni 1966).
L’aggregazione del territorio dei feudi imperiali, tra cui Limonta (non compresi nelle compartimentazioni dello stato di Milano e della Lombardia austriaca del 1757 e 1786), alla repubblica cisalpina avvenne nel novembre del 1797 (decreto 25 brumale anno VI b).

ultima modifica: 12/06/2006

[ Saverio Almini ]