Ritratto di Giuseppe Verdi con il cilindro
Boldini, Giovanni
Descrizione
Autore: Boldini, Giovanni (1842-1931)
Cronologia: ca. 1889 - ca. 1895
Tipologia: disegno
Materia e tecnica: carta / grafite, china
Misure: 290 mm x 445 mm
Descrizione: tracce di matita di grafite, inchiostro di china su carta
Notizie storico-critiche: Centinaia furono i ritratti che Giovanni Boldini realizzò durante tutto l'arco della sua vita. Oltre ai fogli di carattere strettamente privato, abbozzati rapidamente attraverso un segno informale, si inseriscono all'interno della sua sterminata produzione grafica anche una serie di disegni a matita, carboncino o inchiostro di china raffiguranti, insieme alle numerose figure che affollavano le strade e i caffè parigini, le maggiori personalità dell'imprenditoria e della cultura europea.
Se pur "totalmente privo di cultura letteraria, Boldini fu tuttavia un sincero amante della musica" (Tofanello 2015), la sua travolgente passione per il melodramma portò l'artista a frequentare i maggiori teatri parigini e a conoscere i più grandi musicisti che calcavano le scene della capitale francese.
Tra queste personalità vi fu Emanuele Muzio, a cui l'artista fu legato da sincera amicizia. Muzio fu impresario musicale e direttore del Théâtre Italien e grazie a lui Boldini, nel Natale del 1884 poté conoscere Giuseppe Verdi. Del maestro emiliano, per il quale nutriva grandissima ammirazione, Boldini realizzò una serie di opere che lo raffigurano. Tra queste, tre sono eseguite a matita su fogli di carta: un piccolo abbozzo con il profilo di Verdi e due schizzi più definiti che lo ritraggono con la moglie, da dietro, tra gli spettatori del teatro Vaudeville, conservati in collezione privata a New York (Doria, vol. 1, 2011; nn. 1529-1531). Sicuramente più famose sono invece due tele: la prima a olio con la figura del maestro a grandezza naturale di tre quarti, iniziata nel marzo del 1886 e conclusa solamente più tardi, (oggi a Milano presso la Casa di Riposo per Musicisti Fondazione Giuseppe Verdi) e la seconda realizzata a pastello, con il busto di Verdi in cilindro e sciarpa bianca, eseguita in poche ore nell'aprile dello stesso anno, all'interno del suo studio parigino in place Pigalle (conservato presso la Galleria Nazione d'Arte Moderna di Roma).
Quest'ultimo ritratto, divenuto la principale icona verdina, fu presentato alle maggiori esposizioni dell'artista e lo stesso Boldini gli fu talmente affezionato da rifiutare in più occasioni di privarsene; solo nel 1918 grazie alla mediazione della principessa Letizia di Savoia, accettò di donare l'opera allo stato italiano.
Il "Ritratto di Giuseppe Verdi col Cilindro" ebbe un tale successo che la casa editrice Ricordi ne affidò all'incisore Paul Lanfond, in collaborazione con lo stesso autore, la traduzione ad acquaforte. Tra i disegni preparatori realizzati da Boldini e destinati alla traduzione incisoria, secondo quanto affermato da Piero e Francesca Dini si conserva una prima versione a matita in collezione privata a Milano (Dini, Dini 2002, vol. 1, p. 265, n. D.30), mentre il foglio a inchiostro di china oggi conservato al Gabinetto di Disegni del Castello Sforzesco ne costituirebbe una seconda versione. Questa tesi è in contrasto con quanto precedentemente supposto da Raffaele Calzini il quale, nel 1934, nella prefazione della vendita all'asta delle opere rimaste nell'atelier dell'artista dopo la morte, indica il foglio in questione come disegno preparatorio per la famosa opera, rimasto appeso alle pareti del suo studio fino alla fine della sua vita (Calzini 1933). È, invece, maggiormente plausibile che in quella fredda mattina, nel ritrarre il maestro, Boldini abbia utilizzato direttamente i pastelli, in quanto, la seduta di posa era stata rapidissima, e ciò renderebbe pertanto improbabile la realizzazione di un disegno preparatorio (cfr. A. Molinverni, in Boldini lo spettacolo della modernità 2015 pp. 345-346 nn. 176, 178). Confrontando poi il disegno con l'acquaforte di Lanfond si notano delle incongruenze formali che ci portano a mettere in dubbio anche l'ipotesi avanzata da Piero e Francesca Dini. La datazione più probabile sarebbe invece quella fornita dalla critica in occasione della mostra "Boldini Lo spettacolo della modernità" del 2015, che ne colloca l'esecuzione tra il 1889 e il 1895.
Il disegno a china, così come per gli altri ritratti di Verdi eseguiti da Boldini, si caratterizza per uno spiccato carattere introspettivo e un potente fascino emotivo. Con sguardo intenso e penetrante l'effigiato guarda dritto lo spettatore, lasciando trapelare una leggera malinconia espressa dagli occhi penetranti. Nella parte inferiore dell'opera i tratti decisi e veloci d'inchiostro descrivono il busto del maestro attraverso linee parallele, diventando invece più morbidi e fitti sul volto e sul copricapo ed evidenziando, nel loro intreccio, i lineamenti del viso: la bocca sottile, i peli della barba e le ombre che si proiettano sul capo.
Il disegno, acquistato per le Civiche Raccolte milanesi dalla Galleria Scopinich alla sopracitata asta del 1934, dal 1974 è stato esposto nelle sale del Museo Teatrale della Scala e solo il 17 dicembre 2014 è tornato all'interno nelle raccolte del Gabinetto di Disegni del Castello Sforzesco.
Collocazione
Milano (MI), Civiche Raccolte Grafiche e Fotografiche. Gabinetto dei Disegni
Credits
Compilazione: Mascellino, Bruno (2017)
Scheda completa SIRBeC (formato PDF)
Link risorsa: https://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/4y010-02257/
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