Ludovico Varese

ambito lombardo

Ludovico Varese

Descrizione

Identificazione: Ritratto di Ludovico Varese

Ambito culturale: ambito lombardo

Cronologia: post 1561 - ca. 1574ca. 1600 - ca. 1649

Tipologia: pittura

Materia e tecnica: tela / pittura a olio

Misure: 118 cm x 224.5 cm

Descrizione: ritratto a figura intera ambientato

Notizie storico-critiche: Ritratto rit
L'iscrizione posta in calce al dipinto ci fornisce gli estremi anagrafici dell'effigiato: Ludovico Varese morto nel 1561. Il Merati ipotizza che potrebbe trattarsi di quel causidico di Milano che onorò il padre Stefano con una memoria sul monumento funebre del 1521, presso il Duomo di Monza (Crespi / Merati 1982, p. 60). Una nota archivistica del 1830 precisa che Ludovico Varese morì con testamento rogato il 10 settembre 1561 (ASHSG XIII, 724).
Nell'annuario de "Il cronista monzese", stilato nel 1838 dal dott. Mezzotti, si ricorda che il nostro "legò al Luogo Pio Convegno una possessione alla cascina Bovatti e Caprotti, coll'obbligo di dare 330 lire imperiali ad uno de' propri discendenti, che vorrà attendere allo studio delle leggi sì civili che canoniche, o di medicina, quando però studi nelle scuole pubbliche d'Italia, e con che detto studio non ecceda anni sette. Ed in caso non vi fossero di detti figli maschi studenti, che sia tenuto detto luogo pio in perpetuo, distribuire le lire 300 imperiali ogni anno a sei figlie nubili, in ragione di lire 50 per cadauna; prescegliendo le orfane di genitori miserabili, ed in ispecie di decaduta famiglia, da eleggersi dai deputati del pio luogo, colla concorrenza del più prossimo e seniore agnato Varese"(Mezzotti 1838, p. 63).
Dallo Statuto Organico della Congregazione di Carità del 1933, che ci informa dello stato attivo di tutte le Cause Pie presenti in Ospedale, sappiamo che il Varese dispose, con contratto di assegno, un "legato [...] per la costituzione di doti a figlie povere"; nel 1933 la Causa Pia Varese rendeva ancora, annualmente, un utile di £. 251,59 (ADHSG 14/3).
Sul rovescio del ritratto si conserva l'etichetta inventariale del 1938 dell'Ospedale Umberto I, mentre il nome del benefattore è inciso a caratteri dorati su una delle lapidi commemorative poste nell'atrio del vecchio edificio di Via Solferino. In assenza di una regolamentazione precedente, fu il Regolamento per le onoranze ai Benefattori del 1943/1945 a stabilire di "perpetuare la memoria dei benefattori dell'Ospedale" con l'incisione del nominativo, in nero o in oro, a seconda dell'entità della donazione, sottointeso che l'incisione in oro attesta una donazione più consistente (ADHSG 24/5).
La donazione fu onorata con un ritratto a figura intera, uno dei pochi esemplari di questo formato rimasti presso il San Gerardo dopo che dalla collezione furono scorporate le opere ritenute di pertinenza dalla Pia Casa di Ricovero per essere consegnate all'Opera Pia Bellani.
Il soggetto, vestito con un abito nero dall'ampio bavero bianco come i polsini, posa in piedi davanti a un tavolo rivestito con un tappeto pregiato sul quale poggia un cappello dalle tese ampie; con la mano sinistra egli impugna l'elsa di una spada mentre con la destra esibisce il testamento, secondo la consuetudine dei ritratti gratulatori.
Se tra Cinque e Seicento l'abito nero contrassegnava il modello maschile austero tanto controriformato che protestante, comune a tutti i ceti, la foggia di alcuni particolari del vestire, come l'ampio bavero, le scarpe col tacco e le coccarde (che entrano in scena solo sul finire del XVI secolo, v. Butazzi 2002, p. 118, 270), oltre al taglio dei baffi e del pizzetto, sembrano contrastare con l'epoca del ritrattato. Un abbigliamento identico al nostro può essere osservato su diversi esemplari provenienti dalla Cà Granda di Milano, databili intorno al quinto decennio del XVII secolo (v. i ritratti di S. Muzio, di G. A. Caravaggio e di G. A. Rosate in La Cà Granda 1981, pp. 129-130; Morandotti 2002, p. 270).
Confidando nella veridicità dell'iscrizione, potremmo trovarci di fronte a un'immagine eseguita 'ad memoriam' in un'epoca lontana dalla scomparsa del benefattore, ricalcando un modello convenzionale di tradizione lombarda di pieno Seicento, o, più verosimilmente, al frutto di un'elaborazione pittorica operata durante un vecchio restauro.
I documenti d'archivio provano, infatti, che nel 1830 il ritratto fu affidato al pittore milanese Sebastiano Storace; la dichiarazione resa dal pittore stesso alla fine dei lavori ("non da chiamarsi restaurati ma fatti di nuovo"; ASHSG XIII, 894), documenta espressamente l'entità del restauro ottocentesco. In quell'occasione lo Storace restaurò per 245 lire milanesi complessive, oltre all'opera in esame, i seguenti ritratti: Sac. Antonio Hortensio (INV. N. 131918), Giò Andrea Toscano (INV. N. 131985), Notaio Francesco Cabiati (INV. N. 131987), Giò Andrea Visconti (INV. N. 131989) (ASHSG XIII, 547/880/903).
Di fatto la campagna di restauri affidata tra la fine del terzo e il quarto decennio dell'Ottocento allo Storace - che lavorando a più riprese passò in rassegna l'intero nucleo di ritratti antichi dell'Ospedale - sembra segnare il primo passo verso l'incremento della Quadreria dei Benefattori, messo in atto dall'Amministrazione dei Luoghi Pii Elemosinieri di Monza, parallelamente a quanto avveniva in tutti gli istituti pii lombardi.

Collocazione

Provincia di Monza e Brianza

Ente sanitario proprietario: A.S.S.T. di Monza

Credits

Compilazione: Mantovani, Gabriella (2007)

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