Collegiata di S. Maria Maggiore - complesso
Lomello (PV)
Indirizzo: Via Castrovecchio - Lomello (PV)
Tipologia generale: architettura religiosa e rituale
Tipologia specifica: chiesa
Configurazione strutturale: Si presenta come un edificio a tre navate dotato di un transetto sporgente e tre absidi, la cui centrale è preceduta da una campata di coro rettangolare in senso trasversale, con effetto di progressione scalare in profondità delle cappelle. La chiesa è lunga circa 60 metri, considerando anche le campate più occidentali dirute, e ha una larghezza di 19 metri circa, mentre il transetto misura 22 metri circa. Nel settore orientale l'abside nord è di ripristino: venne ricostruita integralmente durante i restauri novecenteschi, peraltro senza preventivo sondaggio archeologico. L'imponente catino absidale maggiore, largo più di otto metri, è decorato all'interno da una sequenza di arcate cieche su esili semicolonne. Il transetto sporgente è "basso", ha cioè un'altezza intermedia tra quella della navata centrale e quella dei collaterali e presenta volte a botte in senso trasversale nei bracci. Si tratta di una soluzione planivolumetrica che si trova connesso all''architettura monastica.
Epoca di costruzione: primo quarto sec. XI
Comprende
Descrizione
E' considerata una delle massime realizzazioni della prima architettura romanica europea, in virtù della straordinaria carica sperimentale che essa esibisce sia sul piano progettuale che tecnico-costruttivo.
Nel redigere la scheda sulla collegiata lomellina per il primo volume dell'Italia Romanica, Sandro Chierici scriveva: "arrivando oggi a Lomello non si può fare a meno di domandarsi come sia possibile che un luogo così fuori da ogni via di comunicazione possa vantare una delle più importanti basiliche romaniche del territorio lombardo". Quei caratteri di "apparente" isolamento a cui faceva allusione Chierici non sono per fortuna venuti meno, essendo la Lomellina una delle poche zone di pianura che resiste ancora, miracolosamente, alla devastazione del paesaggio lombardo.
Le più significative novità si concentrano nel lungo corpo di navata, definito da una sequenza omogenea di pilastri articolati, legati però secondo una ritmica alternata ad archi diaframma che scandiscono l'invaso centrale in campate. Ogni campata maggiore corrisponde di conseguenza, nel rispetto di un'ancora embrionale costruzione gerarchizzata dello spazio, a due campatelle nei collaterali. I pilastri possono leggersi come piloni circolari "espansi" in direzione longitudinale, a cui aderiscono due lesene di dimensioni differenti, ma proporzionate sul modulo del piede romano, perché realizzate con materiale laterizio di reimpiego: lesena maggiore (circa 59 cm, due piedi) verso la navata maggiore, lesena minore (29-30 cm, un piede) verso i collaterali a portare gli archi trasversi delle volte a crociera, sostenute, lungo il perimetrale, da esili semicolonne. Gli archi longitudinali dalla bella doppia ghiera falcata risultano così sorretti, con l'intermediazione di una sorta di abaco lapideo appena modanato, da semipilastri cilindrici, in cui il laterizio si presta anche alla definizione di semplici capitelli a smusso angolare, caratteristici di tutta una serie di edifici di area padana entro la metà dell'XI secolo. Uno ogni due pilastri, la lesena maggiore in direzione della navata centrale si connette, come si diceva, a un arco diaframma caratterizzato sui lati da due bifore di alleggerimento. Nei pilastri non legati allo sviluppo degli archi diaframma la lesena corre in verticale fino alla soffittatura lignea introdotta nei restauri del secolo scorso, ma è noto da foto d'epoca che essa si connetteva in antico a un sistema di mensola e colonnina lignea che reggeva la copertura e che venne purtroppo rimosso da Chierici.
La facciata presenta nel settore centrale corrispondente alla nave maggiore, l'unico ancora leggibile, una scansione verticale ternaria data da lesene che si raccordavano in alto con archetti pensili rampanti, ed è traforata a mezza altezza da cinque grandi monofore a spalle dritte. In corrispondenza della seconda campata del collaterale nord è ancora possibile indovinare lo stipite di un originario ingresso alla chiesa, mentre in posizione corrispondente sul fianco sud (la campata venne riattrezzata come cappella privata nel XVIII secolo) si scorge un arco murato che è stato interpretato come traccia di una scomparsa absidiola. Una cappella in simile posizione è anomala e senza confronti, e si potrebbe pensare in alternativa a un secondo accesso alla basilica, forse addirittura il principale, data la posizione a sud, in direzione del centro dell'abitato. Nella prima campata di sud-ovest si ergeva la torre campanaria (scomparsa) scandita, come appare ancora per un breve tratto sul fianco occidentale, da una lesena mediana in due specchiature, presumibilmente raccordate in alto da una teoria di archetti pensili e replicate su più registri in altezza.
Resta da notare l'interessante e ardito sistema di passaggio in controfacciata, una sorta di stretto corridoio voltato a botte e sorretto da archetti pensili molto sporgenti, funzionale all'accesso alla torre campanaria e alla circolazione a scopo manutentivo nei sottotetti dei collaterali.
Notizie storiche
La collocazione certa della chiesa lomellina ai decenni iniziali dell'XI secolo ne fa l'espressione più emblematica per il territorio lombardo del fervore costruttivo degli anni attorno al Mille, di cui parla Rodolfo il Glabro con espressioni di entusiastica esaltazione in riferimento alla Francia e all'Italia.
Se oggi l'area è periferica rispetto agli assi viari principali dell'Italia nord-occidentale, a partire dal I secolo d.C. e poi per tutto il corso del Medioevo il centro di Laumellum si venne a trovare in posizione strategica, dal momento che la riorganizzazione augustea delle comunicazioni con la Gallia ne fecero una statio dell' arteria principale della cosiddetta via Romea. È così che il vicus di Laumellum si trova citato in molte fonti itinerarie romane soprattutto dopo il III secolo (con l'aumento di importanza anche dal punto di vista difensivo-militare), dunque come luogo attrezzato con strutture di accoglienza.
Il segno più evidente di simile trasformazione in senso militare del vicus è la cinta muraria che si conserva ancora in alzato per un breve tratto del settore occidentale, reimpiegata dalla facciata di Santa Maria.
Ottone, figlio del giudice pavese Cuniperto, verrà ricordato dal 1001 al 1025 come protospatarius, conte palatino, conte di Pavia e infine nel 1018 conte di Lomello. È senz'altro al conte Ottone, figura di primo piano della politica ottoniana nell'Italia settentrionale, e ai suoi successori che va ricondotta l'iniziativa della costruzione di una basilica tanto mirabile, come già intuito un secolo fa dal grande studioso americano Arthur Kingsley Porter .
A lui il merito della riscoperta; dopo una fortuita visita al monumento, ne pubblicò una prima analisi nel 1911 nella rivista Arte e Storia, per poi tornarvi in una scheda della Lombard Architecture (1916). Porter vide la chiesa prima dei restauri condotti dal soprintendente Gino Chierici a partire dal 1939. L'edificio era ancora rivestito in tutte le sue parti da stucchi tardobarocchi che obliteravano la sezione dei pilastri romanici e soprattutto la nave maggiore era coperta da una volta in muratura inserita all'inizio del XVIII secolo, e certo prima del 1738, perché già descritta da una visita pastorale del vescovo Francesco Pertusati di quell'anno. Mancava l'abside nord successivamente ripristinata, mentre quella sud era nascosta da un ambiente di sacrestia che venne abbattuto solo nel 1974. Per contro, se la scansione romanica dell'edificio si poteva ancora indovinare nelle campate dirute occidentali, la presenza della volta aveva obliterato e al contempo conservato il precedente sistema di copertura lignea e soprattutto parte di un eccezionale apparato decorativo in stucco. L'analisi della tecnica muraria e della sua decorazione parietale e il confronto con altri edifici fondanti del primo romanico lombardo come il Santo Sepolcro di Milano portò Porter ad avanzare una datazione, circa 1025, destinata a imporsi nella storiografia del Novecento.
Tra il 1939 e il 1954 Chierici ripristinò la chiesa romanica abolendo gli stucchi barocchi e la volta settecentesca, e reintegrando dove necessario le monofore del cleristorio che erano state sostituite da finestre ovali. Un rapido scavo nei pressi del secondo pilastro nord individuò anche la probabile quota pavimentale originaria della chiesa, e i restauri continuarono con la distruzione della cappella novecentesca della Madonna del Rosario sul fianco nord della chiesa, con la ricostruzione dell'absidiola nord e con lo scavo nell'area dell'abside maggiore che fruttò nel 1944 il rinvenimento della cripta.
L'ipotesi avanzata da Segagni di tre fasi costruttive, con un cantiere che prende avvio attorno al 1025 dal blocco orientale e prosegue con le due campate più orientali della navata maggiore e corrispettive dei collaterali (II fase) per concludersi con il proseguimento del corpo longitudinale fino alla cortina muraria tardoromana nella seconda metà dell'XI secolo, può essere oggi avvallata.
Uso attuale: intero bene: chiesa
Uso storico: intero bene: collegiata
Condizione giuridica: proprietà Ente religioso cattolico
Credits
Compilazione: Ribaudo, Robert (2013)
Aggiornamento: Marino, Nadia (2014)
Descrizione e notizie storiche: Schiavi, Luigi Carlo
Fotografie: BAMS photo Rodella/ Jaca Book; Marino, Nadia
Scheda completa SIRBeC (formato PDF)
Link risorsa: https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LMD80-00765/
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