Milano e l’industria ciclistica nella Belle Èpoque

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Per la città di Milano, la bicicletta non ha voluto dire semplicemente sport, ma anche affari. Prima ancora che questo nuovo mezzo di locomozione, figlio della rivoluzione industriale, arrivasse alla forma che conosciamo oggi, alcuni intraprendenti milanesi avevano avviato delle attività legate alla nuova moda dei velocipedi.
L’Italia era da poco unita nello stesso Regno e strani mezzi meccanici azionati a pedali iniziavano a destare curiosità, ilarità o passione nei parchi di Londra e di Parigi: a Milano aprivano le officine Giovanni Greco (1867), C. Baroni (1869, poi diventerà ditta Luigi Pisa) e Bartolomeo Balbiani (1870). Entro il 1880 si era unita al gruppo dei pionieri anche la ditta Turri e Porro.

La più longeva guida commerciale della città, la Nuova Guida della città di Milano e sobborghi compilata da Gaetano Savallo, riportava le inserzioni di appena 4 ditte nella sua prima edizione del 1883: nel 1890 le attività economiche legate al ciclismo erano 9 ma all’inizio del Novecento la cifra era salita a 78, superando le 100 inserzioni nel decennio successivo (114 nel 1910, a cui si aggiungevano innumerevoli ditte che offrivano pneumatici, vernici o altri prodotti destinati ai ciclisti).

 

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Inizialmente c’era una notevole sovrapposizione tra attività di produzione di propri modelli, importazione e vendita (talvolta montaggio) di marche già affermate all’estero, riparazione e noleggio. Anche la configurazione dei velocipedi era molto incerta: esistevano modelli molto diversi, con due o tre ruote, di diversa misura e con una diversa posizione del conducente. Queste macchine, oltre ad essere poco affidabili e relativamente pericolose erano esclusivamente un passatempo per giovani alto-borghesi e aristocratici con la passione per lo sport e per le novità tecniche: il prezzo infatti superava il valore di alcuni mesi di paga di un operaio meccanico (una categoria relativamente ben retribuita), impedendone la diffusione popolare e l’uso per le esigenze di trasporto quotidiane.

Il velocipede – una volta perfezionato e reso più accessibile dal punto di vista economico – era destinato a soddisfare nuove forme ricreative e di mobilità. Il punto di svolta furono gli accorgimenti messi a punto da un meccanico di Conventry, John K. Starley che nel 1885 creò la Rover, prima bicicletta “di sicurezza”, con ruote identiche, posizione bilanciata del conducente e catena di trasmissione piatta. Tre anni dopo, un veterinario di Belfast, John B. Dunlop, pensò di applicare delle camere d’aria in gomma alle ruote di legno del triciclo di suo figlio di dieci anni: tutti gli elementi della bicicletta moderna erano disponibili anche per i costruttori italiani (che, ancora per qualche anno, indicarono il nuovo modello come “bicilcletto” al maschile.

Dato il prestigio di cui godevano le marche inglesi, americane e francesi – le prime ad applicare le nuove soluzioni tecniche -molte delle più fiorenti ditte del periodo (Augusto Engelmann, Adolfo Schlegel…) erano importatori di marche europee già affermate, ma non mancavano le iniziative interamente milanesi, alcune destinate a lungo successo. Fra le 13 aziende che figurano nella guida Savallo fra il 1883 e il 1890, nessuna prosegue a pubblicizzare propri prodotti oltre il 1910 (e solo 3 compaiono ancora sull’edizione del 1900), mentre le imprese che figurano per la prima volta nella guida dal 1890 al 1900 (179) ben 3 arrivano ad essere presenti sulle edizioni della Guida pubblicate dopo la Seconda guerra mondiale.

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immagine dal sito http://www.italianways.com/it/

Queste ultime, negli anni cinquanta del Novecento si sono ormai trasformate in grandi aziende, ma la loro origine affonda le radici nelle semplici officine, come quelle avviate da Edoardo Bianchi (nel 1885) e da Umberto Dei (nel 1896) oppure dalla diversificazione delle attività della ditta Prinetti & Stucchi, che dal 1892 affiancò la produzione di biciclette a quella di macchine per cucire e turaccioli

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immagine dal sito http://www.italianways.com/it/

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L’affermazione della bicicletta moderna a Milano non è tuttavia solo una questione tecnologica ed economica: si tratta di una novità totale, quindi non solo le imprese devono imparare “facendo” come produrre e commercializzarla, ma gli stessi utenti finali devono attraversare un periodo di “apprendimento” e capire per quali usi potrebbe essere utile la nuova macchina.
Non deve stupire, quindi, che commercianti e produttori degli anni 1890 e dei primi del Novecento offrano corsi per imparare a utilizzare il nuovo mezzo o – come il Grande Emporio Ciclistico Enrico Flaig di Corso Porta Nuova – pubblicizzino la propria «pista di esercizio», dove apprendere i rudimenti della bicicletta in una situazione più sicura rispetto alla strada.
Non bisogna infine dimenticare il forte pregiudizio dell’opinione pubblica dell’epoca contro i ciclisti: le biciclette erano giudicate pericolose, bizzarre, inutili e addirittura disdicevoli per alcuni categorie (le donne prima di tutto, ma anche i sacerdoti e gli ufficiali). Le ordinanze per regolamentare, limitare o addirittura proibire la circolazione ciclistica si moltiplicarono per tutta la seconda metà dell’Ottocento sia a Milano che nei comuni limitrofi (ad esempio, a Monza e a Treviglio.

 

Milano – Esposizione internazionale 1906 – Padiglione dell’automobilismo e ciclismo – Sala interna

La diffidenza verso il ciclismo venne progressivamente sconfitta grazie all’impegno delle prime associazioni di appassionati milanesi: la Società dei Velocipedisti, il Veloce Club e la sezione ciclistica del Touring Club Italiano. L’attivismo dei club e il sostegno delle aziende alimentava l’organizzazione delle prime competizioni sportive di un certo peso e di un buon numero di testate, nate nel corso degli anni 1890 e destinate a vita più o meno lunga ma a una discreta diffusione: Il Ciclista, La Bicicletta , L’industria della bicicletta, Il Progresso Ciclistico

Il largo spazio dato al ciclismo nei periodici sportivi diffusi nei primi anni del Novecento, come la Gazzetta dello Sport (promossa nel 1896 da Sonzogno, già editore de Il Ciclista) e Motori cicli e sports (1908) testimonia come ormai la bicicletta fosse riuscita a legittimarsi come elemento importante del panorama sportivo, economico e culturale lombardo.

 

Ultimo aggiornamento: 15 Dicembre 2016 [cm]