Archivio del Comune di Bormio, Quaterni inquisitionum sorte invernale 1616-17 5 11 14 16 21 gennaio 1617

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Persone
Cristina Motta di Livigno
Barna Motta di Livigno
Procedimento giudiziario
Inchiesta su Cristina Motta, per omicidio (5 - 21 gennaio 1617; 4 - 25 gennaio 1617; 4 febbraio - 21 marzo 1617; 8 marzo - 8 aprile 1617; 25 gennaio - 14 maggio 1617; 3 agosto - 12 settembre 1618)

Cristina Motta, già inquisita per stregoneria nel 1604 con strascichi fino al 1609, viene nuovamente indagata per la morte di Anna, moglie di Giacomo Tonioli di Livigno, avvenuta dopo che la stessa aveva bevuto un poco di vino nella casa di Cristina.

I parenti di Anna interpellarono sia l'astrologo di Lovero che quello di Camoasco, i quali confermarono i sospetti di maleficio contro la donna. I parenti di Anna richiesero allora a Cristina di recitare la formula per annullare il maleficio, affinché i medicamenti potessero agire efficacemente.

Nel corso dell'istruttoria si indaga su di un altro maleficio perpetrato da Cristina: quello contro Domenica Macon che fu urtata durante la messa e che da allora ebbe un continuo malessere non del tutto risolto ai tempi del processo.

Cristina fuggì e quindi fu condannata in contumacia al bando perpetuo.

Nel processo si accenna anche ad una inchiesta per stregoneria subita dalla madre di Cristina, soprannominata la Barna e la Zucca, nomignoli poi ereditati dalla figlia.

1617 die dominico 5 mensis ianuarii.

Constituta fuit in fortiis Communis Cristina quondam Andree della Vulpina de Livigno, Communis Burmii, de ordine magnifici concilii et in executione ordinationis predicti magnifici concilii, de qua apparet sub die sabbati proxime preterita, propter inditia de quibus in processu contra eam formato etc. Que detenta fuit de ordine magnifice provisionis in stuffeta inferiori. (1)

Die vero mercurii 8 mensis ianuarii.

Per magnificum concilium Burmii ordinatum fuit quod suprascripta Cristina in carceribus detenta coram predicto magnifico concilio Burmii constituatur et interogetur super contentis in processu etc.

Qua constituta [fuit] et interogata si scit causam eius detentionis.

R. Signori, no.

I. se ha conosciuta un'Anna detta Cristinella, moglie quondam di Giacomo di Battista di Toniolo.

R. Signori, sì che l'ò conosciuta.

I. Quanto tempo è che la detta Anna è morta?

R. Non me aricordo.

I. se sa da qual malatia ella sia morta.

R. Che ne voglia saper mi? Bisogna dimandar. La sa al Signore.

I. se essa, mentre la detta Anna stete amalata, se fu dimandata andare a visitarla.

R. Fui dimandata una volta falsamente da loro e a scaltrimento, (2) dicendomi che fosse contenta andar là e darli del mio latte, che lattavi un mio putto. Et mi, a bona fede, non pensando ad altro, ne andei. I me fecero tuor del mio et gl[i]elo diedi in una coppa, né so che cose se ne facessero. Poi la madre della nominata Anna, per nome Cristina, me disse che dovesse ingenochiarme et dir quelle parole che loro haverian detto. Così feci e disse come loro comandorno, cioè che Iddio et la Vergine Maria tornasse la sanità a quella Anna, se ben morì da quella infirmità.

I. se sa che infirmità fosse la sua.

R. Perché me domandate di questo a mi? El fu ben ditto che Gioan de Adam de Tonon, qual andete a medico, credo in Valtellina, che la detta Anna non haveva quella infirmità che essa Chrispina era imputata.

I. da chi fosse stata imputata e perché.

R. Da nisun altro, salvo che me fecero dire quelle parole.

I. se sa che imputatione sia la sua al presente.

R. signori, no. Ma guardate ben, signori, quel che fate, perché me pare che le Signorie Vostre vogliano far giuditio sopra di me per le parole che talvolta se dicono al tempo della morte, quando s'è travagliati.

I. se sa che la nominata Anna al tempo della sua morte dicesse et la imputasse lei di qualche cosa di male.

R. Signori, no.

I. se ha magnato et bevuto con la detta Anna.

R. Signori, sì, che più volte haverò magnato et bevuto con lei.

I. se sa da qual'infirmità quella Anna sia morta.

R. Mi non so niente, che la morì come donna da parto, perché quel medico disse, per quanto me referì il detto Gioan de Tonon, che era stato causa che le donne non l'havevano ben regolata nel parto.

I. chi fossero presenti, quando essa se mise ingenochione (3) a dir quelle parole.

R. Vi era il marito della amalata per nome Giacomo, la madre della amalata Anna per nome Christina et una sorella del soprascritto Giacomo per nome Madalena, ma non fui instata a dire quelle parole se non dalla detta Cristina.

Si[bi] dicto: Sapete che Domenega figliola di Battista masaro di Livigno sia guarita? Perché se dice esser stata un tempo amalata.

R. Mi non so niente, che non posso sapere tutti quelli che se amalano et che guariscono.

Sibi dicto: Havete sentito a parlar dell'infirmità di questa Domenega?

R. Non so altro, salvo [che] essendo mi andata a confessarmi dal nostro reverendo, esso mi disse: Comare Chrispina, non eravate incolpata da non so che (a) di questa Domenega de Battista, perché gli siate passata da presso in chiesa et l'habiate zappata? (4) Ma per quanto intendo, non è per causa vostra che la sia amalata. I ve fano torto.

Sibi dicto: Ve aricordate che habbiate fatto questo atto con la detta Domenega, di haverla zappada, overo che gli siate cascata adosso mentre voi li pasaste dapresso in chiesa?

R. Puol essere che l'habbia zapada e lei et dell'altre tante nel andar in chiesa, quando vi sono delle persone molte, et massime che stiamo in chiesa tutte due in un istesso loco, una presso l'altra.

I. se sa che sia mormorato che quella Anna Cristinella, quale seccò tutta (5) poi morse, cossì ancora la detta Domenica siano state maleficate, per la qual cosa essa Anna sia morta et Domenegha sia stata amalata.

R. Signori, no, che mi non ho sentito a dire altro.

Sibi dicto: Avertite, Cristina, a dire la verità di questo che hora se ve dirà, perché voi sete imputata haver offeso alle sudette Anna et Domenega.

R. Sia laudato Iddio, che son donna da bene, né ho maleficiato alcuno per grazia de Dio.

I. se sa perché Simon della Conforta sia morto et la causa della sua longa infirmità.

R. Signori, sì, che di questo non ho mai sentito a dir di lui, né so che sia stato né maleficiato, né so se l'è morto. Ne more ancora di altri, e sarà volontà de Dio.

Nec fuit ultra examinata, sed abducta ad solitum carcerem.

1617 die sabbati 11 mensis ianuarii.

Coram magnifico domino pretore et dominis offitialibus antescriptis, per Nicolaum Rampum servitorem publicum Communis citatus fuit Iacobus quondam Baptiste de Toniolo de Livigno, Communis Burmii, maritus olim Anne Cristinelle olim filie Iacobi Bernardi de March de Livigno suprascripto. Qui interogatus de qualitate eius Anne infirmitatis ultime etc.

R. Saranno di già 14 anni che la detta mia mogliere per nome Anna è morta, et doppo la sua morte son stato un'altra volta essaminato etc. E la infirmità sua fu tale et hebbe principio come racontarò alle Signorie Vostre: Circa il mezo il mese di febraro di quell'anno, che essa morse poi circa la festa di santo Andrea seguente, venni a casa con una cargha di legna. (6) Et perché ella sempre era solita venire ad aiutarmi discargare, ancora quella volta venne per aiutarmi, ma non mi polse (7) agiutar niente, dicendo ella che era stata via alla casa di Cristina del Zucho, che mi ha dato una copa di vino et che quel vino gli haveva causato gran sgrisor, (8) che la non si sentiva bene. Ma non disse altro, né pensai ad altro. Salvo che disse: Se la te l'à dato, siela benedetta! Cossì scaricai la legna. Essa, lamentandosi di questo sgrisore, le dissi che andasse in stua et mi tornai andar a tuor altro legname. Quando tornai la sera a casa, la detta mia mogliere disse a me che quel sgrisore non l'haveva mai abandonata, ne volse cenar niente. Et cossì d'alhora sudetta in poi essa mai più se sentì bene dalla vita sua, né dal stomaco, perché se la magnava qualche cosa, niente pareva che li facesse pro. Quasi ogni tre dì la vomitava non solo la spesa, (9) ma anco altra poltronaria (10) pur asai, che tal volta sarà stato meza pacida (11) di quella robaza. Et in questa mala sua indispositione perseverò sempre, sino che parturì alli X del mese di settembre sequente. Nel qual tempo dopo il parto, essa disse che pareva che gli fosse alegerito asai quel male, et questo meglioramento li durò per quattro o cinque giorni. Poi disse: Ho, caro marito, che quel male mi è tornato un'altra volta, che l pare che habbia nel mio corpo due creature che me stringano il corpo!, seguitando al solito il male. Né essa si purgava il corpo, se non per mezo del vomito, come ho detto. Il nostro reverendo curato presente venne a visitarla e disse che li haveria mandato non so cosa, che se quella li faceva servitio, che gli haveria poi datto qualche cosa altro. Ma quella cosa non gli fece alcuno giovamento. La donna si levò dal letto et al meglio che puoté andete giù dal reverendo, pregandolo a darli qualche cosa altro. Il reverendo li disse: La mia comare, havete il male incarnato. Non vi so dar altro, ma facete bene andar a medico, laudandomi (12) andar dal medico a Lovero di Va[lte]llina. Cossì io, in compagnia del quondam Pietro di Giannin d'Orsina, barba (13) della detta Anna, andassemo dal nominato medico di Lovero, al quale gli dicessemo della infirmità di questa mia mogliere, et come dubitamo che fosse maleficiada. Esso rispose che presto l'haveria saputo. Cossì tolse un anello, (14) lo mise in un reffo, poi mise il reffo in bocca et in mano teneva un'ostia, e faceva pendere l'anello sopra l'ostia et disse: L'è stato una donna che li ha dato da magnare, ma poca cosa. Ma per la povera donna l'è stato asai. Mi gli dimandai se havesse magnato o bevuto. Esso disse: El pega tutt'una! (15) Né noi dimandassimo della persona, né lui me disse altro, ma che me dette medicine de darli in sette volte. Lo pagassemo, poi venessimo via a casa con le medicine. Arivati a casa la sera, la mattina sequente comencisseno a darli la prima medicina, et cossì sino alla quinta, et queste medicine la facevano vomitare tanta robaza ch'era una meraviglia. (16) Nella qual robbaza vi erano delle piume de galine et altra ribalderia come telaza, cavei et simili altre etc. Donde ella ne ricevé gran meglioramento, e andava risolvendosi. Ma ecco che, mentre ella toleva le medicine come ho detto, se ne venne un giorno in casa la nominata Cristina Zucca, la quale al presente se ritrova nelle forze delle Signorie Vostre, senza esser dimandata, et quivi portò la cunna et un suo figlioletto ch'essa Chrispina lattava, la quale stete ivi in la stuva, dove era in letto la mia Anna amalata. Quando mi venni a casa, di già credo fosse costei andata via, et la mia Anna me disse: L'è venuto qui Cristina, la quale è stata qui un pezo. Mi è venuta apresso il letto. Come ha toccato li panni dil letto, poi ha dato una fregada alla sponda del letto, dicendo: Anna al certo che costei mi ha cavezada tras, (17) perché di ben che me sentiva, di novo mi sono tutta conturbata, perché el pare che l sia una cosa che me tiri al'aere. (18) Il giorno seguente la detta Anna (b) ritornò un'altra volta con la creatura et la cunna, la mia mogliere me diceva che dovesse cacciar via la detta Chrispina. Ma mi non li feci altra molestia, né essa Chrispina ritornò poi più, perché se partì dalla casa sua, qual era vicina alla nostra alla Fontana, (19) et mudé (20) su a Poz. (21) Né le altre due medicine che essa tolse gli giovorno più cosa alcuna (ancora che il medico dicesse che le ultime due sariano state quelle che l'haverebbero liberata afatto di quelle poltronarie che haveva nel corpo). Doppo che quella Cristina fu lì in casa quei doi giorni, come ho detto, mi me ne lamentai di questo atto con il reverendo il quale disse: Se tu hai sospetto in costei e che la sia ritornata, vo dubitando che la sarà spedita! (22) Mi ritornai a casa e disse a Anna quel che me haveva ditto il reverendo, et che il reverendo haveva detto, se havessemo potuto farla venire a dire che Dio gli havesse tornata la sanità. Cossì mi andai su a Poz alla casa dilla detta Chrispina a dimandare che la venesse giù a molgere un poco dil suo latte, (23) con intentione che la dicesse poi le parole sudette. Essa, ricusandomi di venire, me disse: La vostra socera va digendo che mi l'ho instriada. Non guarissela più di quel che la voi guarir mi! Mi me partì piangendo e, incontrandomi in Giacomo suo marito, me dimandò dove fosse stato. Li dissi come ero stato a dimandare Cristina sua moglie da parte della mia Anna, che la volesse venir giù a darli dil suo latte, ma che haveva ricusato di venire. Esso me disse: Andate a casa vostra, che questa sera la farò venire giù. Cossì la sera vennero tutti doi da compagnia, et essendovi in stua de l'altra gente pur asai, et essendovi mia socera, a fine che Cristina facesse et dicesse come l'altre, disse che di gratia tutti se volessero mettere in gienochione e dir tre volte che Iddio et la Beata Vergine Maria gli restituisse la sanità alla mia Anna. Cossì tutti fecero cossì, ma al mio credere et per quanto alcuni de quelli che quivi erano presenti, Chrispina non disse assolutamente le parole che dissero li altri. Se partirono poi tutti alle loro case. Essa mia mogliere, vedendo a perseverar nel male, et haveva preso il latte che ne convienne far nutrire la creatura d'altri, me preghò che tornasse a medico. Cossì andai mi in compagnia di Giacomin di Pedrottino via a Camoasco da quel medico, al quale non gli dicessemo che fossemo stati a Lovero, e racontandoli delle infirmità d'Anna, esso me disse: Ma non mi volete dir la verità, perché voi sete stati a Lhovero e non me lo diceste, perché so che li havete date medicine le quali, se voi sapevi procurarvi, gli erano di grandissimo giovamento. Ma el gh'è intravenuto non so che cose. Nel pigliar quelle medicine che li sarà del fastidio. È vero che ne darò qualche cosa per confutarla, poi ve darò una medicina se la volete, ma non vi laudo la pigliate, perché la donna è troppo debile. E guardando su la parete della stua, me disse che Anna saria morta il tal giorno. E cossì da lì a pochi giorni morse, et credo che non falisse se non un dì, di quel che lui me disse. Noi tolessemo la medicina con noi, ma la povera donna per la gran debilità non la puoté pigliare, e da lì a otto giorni morse, et era tutta seccata, et la quale nella sua infirmità sempre diceva queste parole, cioè: Se mi mori, e moro per causa sua!, cioè di quella Cristina. Et è morta su (24) in quello, dicendo: Mi bisogni morire più presto di quel doveria per causa soa! Et a questo furono presenti particolarmente Zenno del Sorgho, Bernardo di Steffen de Marcho et Tona di Silvestro, quali venevano ivi asai volte. Et questo a mia memoria, perché non voglio derogare alla prima mia depositione datta.

I. se il medico di Camoasco gli palesò la persona che havea maleficiata la detta Anna.

R. Signori, no, che a me non disse altro. Potria esser che l'havesse detto qualche cosa di questo al detto Giacomin di Pedrottin, qual venne in mia compagnia, perché lui rimase dreto di me a raggionar con il medico, seben che mi, da lì alquanti dì, li adimandai se il medico havesse detto qualche cosa, chi fosse stato, esso me rispose: L'è mó morta, sia che si voglia. (25) Né altro me disse.

I. de voce et fama dicte Chrispine.

R. A mi non me halla fatto alcun male, né so altro, salvo che l pare che, doppo che la mia Anna è morta, el par che, se l deventa (26) qualche cosa, che la detta Crispina sia murmorada per tale.

Et hoc est. Et qui iuravit etc.

Eodem die.

Coram ut supra citatus fuit Ioannes quondam Adami de Tonon de Livigno, testis ut ante etc. Et qui fuit citatus per Nicolam Rampam servitorem etc.

I. de infirmitate et morte Anne Cristinelle etc.

R. Signori, ben due volte son stato essaminato dalle Signorie Vostre, la prima volta saranno da 12 in 14 anni, la seconda volta è stato l'agosto prossimo passato, et quel me riferis[c]o.

Et ei relecta depositione data mense augusti proxime preterito, confirmavit etc.

Item interogatus super contentis in eius ultima depositione, videlicet: Chi sappi et chi sia stato presente quando quella Anna nella sua ultima infirmità et vicina a morte diceva che ella bisognava morire sforzatamente et inanzi la sua hora per causa di quella Chrispina, che li haveva datto da bevere, et come ella protestò queste parole più volte?

R. Questo lo puol saper come me Zenno del Sorgho, Bernardo di Steffeno di Marcho germano della quondam Anna, poi Giacomino di Pedrottino qual andé a medico per lei, ancora Domenico de Zen di Giacomin de Orsina, qual visitava sovente come parente la detta Anna.

I. de voce et fama dicte Chrispine.

R. Mi non so altro di quello che io [ho] detto alle Signorie Vostre. Sospitione et mormoratione di lei ve n'è pur asai. Che mi sappia che l'habbia fatto mal alcuno, non lo so.

Et hoc est, sub iuramento alias prestito etc. (27)

Die antescripta, sabbati 11 mensis ianuarii.

Infrascripti sunt testes examinati ad instantiam agentium nomine Christine antescripte in carceribus detente, videlicet: Ioannis Valesino et eius filius (c) Gabrielis, super capitulis infrascriptis, videlicet manu scriptis a domino Romerio Grusino notario publico et procuratore etc.

Et primo: sia interogato il reverendo signor curato s'è vero che al aperta (28) et in secreto la figliola di Battista del Monico, Domenica, habbi imputato Chrispina che habbi maleficiata per essersi appogiata detta Chrispina a lei, in chiesa, et da alhora in qua non è stata più sana.

Qui reverendus curatus pater Gaudentius Sanguinella, ordinis minoris Sancti Francisci, (29) super dicto capitulo interogatus etc.

R. Delle cose che essa Dominica me habbi detto in secreto, in confessione, non son tenuto darne relatione come curato, delle palese dirò quel che saprò, conforme alle interogationi fatte. Et è la verità che la detta Domenega ha detto meco che lei haveva havuto paura di quella Chrispina in chiesa, et che l'era et stava amalata.

Item interogatus de contentis in depositione Iacobi Baptiste Tonioli olim mariti Anne Chrispinelle.

I. se la verità è che visitasse quell'Anna nella sua ultima infirmità, et che esso reverendo li dasse qualche cosa per remedio.

R. Puol essere che la visitasse. Non mi aricordo.

I. se quella Anna si lamentasse et dubitasse che fosse stata maleficiata et da chi.

R. Non me aricordo, perché son homo vechio.

Sibi dicto se aricorda, v[enerabile] p[adre], che laudasse per la sua infirmità andar a medici a Lovero o altrove.

R. Non me aricordo.

Item factis pluribus interogationibus super contentis in ipsa depositione, ubi predictus reverendus est nominatus.

R. Non me aricordo, per esser tanto tempo etc.

I. se mentre esso come curato visitò la detta quondam Anna Cristinella nella sua infirmità, essa Anna disse et protestò che moriva come sforzatamente, per esser stata maleficiata da quella Chrispina et per causa sua.

R. Mi non posso dir tal cosa, perché non so niente etc.

Et hoc est.

Eodem die.

Coram ut supra citata comparuit Antoniola filia Ioannis Valesini super capitulo producto, videlicet: Ancora sia interogata Antoniola figliola di Gioan se è vero che Batista del Molin et Iacomo suo genero gli habino comesso che facesse un pocho venire Chrispina in casa sua della detta Antoniola per far che Chrispina ritornasse la sanità a Domenega de Battista, et ch'essa Toniola gli rispose con colera et gli dette cattive risposte, che non fosse mai vero quello che dicevano di sua cognata et, se non fosse stata germana, gli haveria fatto un relasso per la sua mala lingua.

Interogata etc.

R. La verità è che in casa mia sono venuti, cioè Battista Macon, Domenico suo figliolo, Giacom de Battista del Vales marito di Domenica figliola del suddetto Battista Macon et detto Battista Vales, se non tutti insieme separatamente, ma sempre vi fu il marito della soprascritta Domenega, li quali me dissero che fossero in travaglio, perché Domenega sudetta havesse havuto paura et se fosse sgrisolada per causa che Chrispina del Zuccho li era passata dapresso in chiesa, overo che l'havesse zappata, et che perciò fosse io contenta di far che la detta Chrispina venesse in casa mia a dire quelle tre parole ch'essi volevano da lei. Mi dimandai qual parole. Essi mi respondevano: Tu le sentirai poi. Mi, perché essi dicevano che haveva quella Domengha havuto pagura in chiesa da quella Chrispina mia cugnata, come imputarla per cattiva, che mi la tegni per donna dabene, andai in colera, et li mandai via con cattive risposte, dicendo mi che voleva che loro dicessero queste parole alla presentia de testimonii. Et è possibile anco che dicessero che i volevano che quella Chrispina venesse a dire che la gli ritornasse la sua sanitade, ma non ho memoria ferma di questo, perché andai in colera, né mi feci altro di quello essi mi comandorno.

I. de voce et fama dicte Chrispine eius cugnate.

R. Mi la tegni per donna dabene. È ben vero che quell'anno che morì la moglier di Giacomo Parus (30) el par che se dicesse non so che di questa Chrispina, ma non so che cosa, perché se diceva che quella Anna andava fanciognando, cioè fora de si.

Et hoc est etc. Dicens: Di quella Christina mai sentì altro di fatti suoi, nomà (31) ben.

Et hoc est. Nec ei delatum fuit iuramentum propter attinentiam affinitatis, dicens quod: Chrispina è mia cugnata.

Eodem die.

Coram ut supra citatus comparuit Baptista quondam Iacobi del Zurpo de Livigno, testes ab agente nomine dicte Chrispine nominatus.

Qui interogatus.

R. Di questa Chrispina mi non so mal di lei, perché mai mi fece mal alcuno a me, né so ne habbia fatto ad altri. È vero che havendola per sospetto, per paura che hebbe mia nora Domenega figliola di Battista Macon, per un atto che fece la detta Chrispina in chiesa, passando ella apresso la detta Domenegha come si fa, et ch'essa Domenega si spaurì di lei, che poi diceva non sentirse bene. Andai in casa di mia nepote Toniola figliola di mio fratello Gioan Valesino e la pregai che fosse contenta, se la poteva, di far che detta Chrispina venesse in casa sua e dirli che la se sentiva male, et che la dicesse che Dio li dasse la sanità. Ma non fu fatto altro.

I. che cosa esso habbia inteso da Giacomo suo figliolo et da Domeniga sua nuora di questa Chrispina.

R. Non so niente al certo, che non ho sentito parole cattive dalla sua bocca di quella creatura.

I. de voce et fama dicte Chrispine.

R. Di poi che l'Offitio venne dentro a menar fuori la Zucca, madre della detta Chrispina, alhora chi andete via chi dal uscio, chi dal balcone perché Balserino, per quanto ho inteso, andete via, et doppo quella bregada tutta son state in sospetto, cioè Balserino et Caterina sua sorella che dettero luogho. Interogatus.

R. L'è vero che, essendo mi giù alla chiesa che si faceva festa, venne Gioan mio fratello et mio figliolo, quali mi dimandorno et dissero che si mormorava di Chrispina per causa di questa Domenegha. Et mi li rispose che non la conosceva se non per donna dabene, come ancora adesso, perché non me ha mai fatto male. Ma l'è solo le male crette.

Et hoc est. Et dixit: Chrispina è mogliere di un figliolo di mio fratello Gioanni.

Die lune 13 mensis ianuarii.

Coram magnifico domino pretore et dominis offitialibus antescriptis, per Nicolaum Rampum servitorem citatus fuit Bernardinus quondam Steffani de Marcho de Livigno, nominatus in depositione Iacobi quondam Baptiste Tonioli de Livigno suprascripto, de qua sub die sabbati proxime preterita. Et interogatus de infirmitate quondam Anne Chrispinelle de Livigno suprascripte, iam pluribus annis defuncte etc.

R. Ho conosciuto la detta Anna la quale era mia germana, et sono molti anni ch'egl'è morta, ma non so quanti. So ancora ch'ella hebbe una grande et longa infirmità. Che sorte d'infirmità, mi non lo posso sapere. Solo Iddio lo sa, e sarà per i nostri peccati.

I. se esso ha visitata quella Anna in quella sua infirmità.

R. Signori, sì, più ch'una volta. Non me aricordo, né in compagnia de quali altre persone.

I. se quella Anna nella sua infirmità si lamentò che fosse stata maleficiata et se nominò persona alcuna et la causa per la quale essa diceva dover morire.

R. El pò esser ch'essa havesse detto simil parole et non puol esser. Mi non me aricordo, salvo che dalla sua vita usciva sporcheza tale, che per quanto sentiva dire dal marito della amalata, da sua madre et da sua sorella, era cosa che rendeva più presto sospetto de maleficii ch'altrimenti. Non già che mi sospettasse di tal cosa.

I. de voce et fama Chrispine in carceribus detente.

R. Le mormorationi et brontoli sono di lei per quello le Signorie Vostre l'hanno in prigione, di strega. Ma che io sappia che l'habbia offeso né fatto male ad alcuno non lo so, né a mi, né ha nisun di nostri so che habbia fatto male.

I. se quella Anna nella sua infirmità nominò la detta Chrispina.

R. El puol esser. Non me aricordo.

Eodem die.

Coram ut supra per dictum servitorem citatus fuit Tonius quondam Silvestri del Sertor de Livigno, testis ut supra nominatus.

Interogatus etc.

R. La nominata Anna Chrispinella era mia cugina et al mio aricordare la non stete amalata gran fatto, e dico quel che ne so della sua infirmità. Quella Anna, segondo che la vegneva interogada da quei che l'andavano a visitare, la diceva che Cristina del Zucho vostra pregionera li havea datto vino da bevere, et che la s'era parada (32) di non voler bever. Et facendoli quella Cristina instantia, la ne bevete et che, doppo bevuto quel vino, che la se amalé di longo. (33) D'onde poi la era andata sempre redegiando, (34) et come quella Anna morì su in quel per haver bevuto quel vino. Et essendo lì una sera alcune donne che la disponevano a perdonare, essa disse che perdonava a tutti, se non a quella Chrispina. Et di questo ne ho bona memoria.

I. chi fosse presente.

R. Non me aricordo.

I. de voce et fama dicte Crispine.

R. Gueira nominanza non halla, (35) ma mi non mi ho di lamentar di lei in cosa alcuna. Anci, che me posso contentar di lei.

Et hoc est.

Eodem die.

Coram ut supra citatus fuit Iacominus quondam Pedrottini del Cusino de Livigno, testis in processu nominatus, et interogatus presertim super contentis in depositione Iacobi olim mariti Anne Cristinelle.

Interogatus etc.

R. La sudetta quondam Anna Cristinella era mia germana et vicina, la qual stete bonadina (36) amalada d'una fastidiosa malatia che potesse haver una creatura, perché la seccò tutta, e dane la colpa per haver bevuto un poco di vino che li dette Cristina del Zucco che, doppo bevuto esso vino, ella mai più si era trovata sana, et come lei moriva su in quello. E cossì mi andei in compagnia di suo marito Giacomo, qual mi dimandò andar con lui a medico, via a Camoasco, e racontandoli della strana malatia di questa Anna, esso disse che le medicine che gli erano state date dal medico di Lovero di Valtellina erano bastanti haverla liberata dalla infirmità, ma che gli era intravenuto altro, cioè che gl'era refatto il maleficio et che stava in man de Dio che la guarisse. Tuttavia me dette ancora lui medicine, le quali la fecero vomitar gran ribaldaria, ma mi non li guardai in quella. (37)

Sibi dicto: Quando che il medico di Camoasco disse ch'ella era stata maleficiata, ve diselo che persona la fosse stata quella?

R. Ben lui disse che fosse stata una donna, ma non lo disse il nome.

Interogatus.

R. Mi non so che queste cose sieno vere, perché mi lo dico per bocca d'altri, cioè per quel che diceva il medico et la deffonta Anna.

Et hoc est etc.

Eodem die.

Coram ut ante citatus fuit Zennus quondam Francissi della Motta de Livigno, testis ut ante nominatus.

Interogatus etc.

R. Signori, Cristina vostra pregionera è mia germana, perché suo padre Andrea era fratello di mio padre Francesco della Motta, e perciò son per sostentarla, che credo la sia donna daben.

Et factis eis pluribus interogationibus.

R. non recordari etc.

Die vero martis 14 mensis ianuarii.

Coram magnifico domino pretore et domino Gabriele Imeldo offitiale, reverendus pater Gaudentius Sanguinella curatus in Livigno super capitulo parte agentium nomine Cristine Zuche in carceribus detente, interogatus etc. Tenor cuius capituli nempe est, videlicet: Che voglino interogare il reverendo curato a instanza (d) de chi habbi scritto quella lettera al prete de Incugine in Valcamonigha, (38) et de qual tenore sia stata la risposta scrittagli per detto reverendo sopra la infirmità de quella Domenega, se quello reverendo la giudicava maleficiata come li suoi sinistramente la giudicavano.

R. Quella littera mi la scrissi a dimanda di Giacomo, marito dilla detta Domenica.

Sibi dicto: Sotto qual pensiero esso Giacobo fece scrivere quella lettera?

R. dicendo che sua mogliere fosse amalata et per la paura che quella Domenega hebbe in chiesa di quella Chrispina Zucca, et per quella ombra havuta. Che cosa poi habbia in materia di questo risposto quel reverendo de Incugine: La lettera qual è nelle mani delle Signorie Vostre parlarà, et a quella mi rimetto etc.

I. se Cristina Zucca al presente detenuta etc., s[e] quella vive christianamente come avviene a bona catolica.

R. Essa si confessa et comunica doi o 3 volte l'anno, né di lei so altro, salvo quel che se dice di lei et quello credo, quanta (39) a mi, tanto che sia per odio, malevolentia et che sieno buggie. Et hoc est etc.

Die iovis 16 mensis ianuarii.

Congregatum fuit magnificum concilium Burmii, in quo de ordine predicti magnifici concilii constituta fuit dicta Cristina, et ei dicto se ha pensato a quanto gli fu dimandato li giorni passati.

R. Mi non me son pensata altro di quello che ho detto l'altra volta.

I. se l'ultima volta che la quondam Anna nominata è stata in casa sua, che poi non vi è andata più, perché la se amalò poi subito e morse, essa Anna vi andò da lei, overamente se ella la mandò a dimandare.

R. La poteva venire quando ella voleva.

I. che cosa essa dete a quella Anna quella volta da magnare o da bevere.

R. La harà (40) potuto tuorne da per lei et gli ne havrò deto ancora mi, et gli havrò dato pane, ravezone (41) et altra cosa che mangiasse ancora mi.

I. se li dete dil vino da bevere.

R. El pò essere che gli ne dasse, non me aricordo.

I. se essa avanti che se partisse a mudar su a Poz con casa, se andò a visitar quella Anna una volta o più.

R. Non me aricordo.

Sibi dicto: Ve aricordarete che vi andasti con una creatura che lattava et con una cunna?

R. Non me aricordo.

I. da chi fu domandata da casa sua che venesse giù alla casa di Anna a molgere dil suo latte.

R. Fui dimandata da Giacom, marito di quella Anna.

Sibi dicto se fu la mattina, overo la sera et si vi andè subito dimandata, et in compagnia de chi.

R. Fu la sera che fui dimandata. Sì, quella sera venni giù in compagnia credo di quel Giacomo suo marito.

Sibi dicto: Che parole respondesti al detto Giacomo, quando ve dimandò andar giù?

R. Non me aricordo.

Sibi dicto: Ve aricordate che recusasti di andarvi?

R. Signori, no, che non ricusai, perché v'andete subito. Et quando fui là giù, me dimandorno del mio latte. Gli ne diedi. Poi, essendovi ancora altra bregada, dissero che dovessemo mettersi in gienochione a dire che Dio li tornasse la sua sanità. Cossì facessemo tutti.

Et ei factis pluribus interogationibus de contentis in processu etc.

R. Che volete che ve diga? Mi non ho fatto male, né cercato di far male a persona alcuna.

Et ita dimissa fuit ab examine, et ducta ad solitas carceres etc.

1617 die martis 21 mensis januarii.

Per magnificum concilium Burmii ordinatum fuit quod dicta Chrispina in carceribus detenta propter imputationes de quibus in processu et coram etc., coram suprascripto concilio constituatur et denuo interogetur super contentis in processu.

Et sic interogata, presertim se si aricorda esser andata alla casa dilla quondam Anna Chrispinella morta etc. con la cunna et una sua creatura, et quante volte, mentre la detta Anna stava amalata etc.

R. Me aricordo che l'andai una volta et forsi due, et ivi portai la cunna et una mia creatura che lattava, et gl[i]ela designai a quella Anna che la regolasse per intanto che mi andai a ramare (42) un poco di biava.

I. se fece alcuna servitù alla detta Anna quelle volte.

R. Signori, no.

I. se si aricorda che altre volte essa sia stata imputata di haver offeso alla detta Anna.

R. Signori, sì, che una volta, né me aricordo quanto tempo, che havendo quella Anna sparlato contra l'honor mio, mio socero et mio marito portorno la querela, et Giacomo marito della detta Anna fu castigato da libre 21, (43) oltra che bisognò redire.

Sibi dicto: Qual parole furono dette contra l'honor vostro?

R. Non me aricordo.

I. se è vero che l'habbia dato vino da bevere alla detta Anna.

R. Signori, sì, che gli ne diedi. Et ne avanzò un poco nella coppa, et quel poco restante lo dete da bevere a una mia tosa.

Sibi dicto: Perché li deste da bevere quella volta?

R. Perché gli ne dava ancora dell'altre volte, da magnare et da bevere.

I. che parole essa disse a quella Anna, quando gli diede quel vino.

R. Essendo venuta in casa mia, mi gli offerse di darli un poco di vino, dicendoli se voleva un poco di vino. Et essa disse: Sì, che lo tròo. (44) E cossì ne bevete un poco. Et quel'altro poco, come ho detto, lo bevete una mia putta.

I. qual parole rispose a Giacom marito di Anna, quando andé a casa sua a dimandarla che volesse venir giù alla casa di Anna a molgere dil suo latte.

R. Non me aricordo.

Nec fuit ultra examinata etc.

(a) Segue cancellato: perché.

(b) Così nell'originale, evidentemente al posto di Cristina (o Crispina).

(c) Nell'originale: filii.

(d) Nell'originale si ripete: a instantia.

(1) La stufetta inferiore, in dial. probabilm. la sc'tuéta de sót (cf. anche SB048).

(2) Nel contesto: "con astuzia (subdola)", per trarre in inganno, per far cadere nel tranello, it. scaltro "astuto".

(3) Dial. in genöglión "ginocchioni", liv. in sg'giönöglia (Longa 80).

(4) Dial. zapàr "calpestare", qui "pestata col piede" (Longa 276-7), da una base prelat. *tsapp- espressiva del "battere la terra, calpestare" (REW 9599; DEI 5, 4108; Bracchi, BSSV 55, 92-3).

(5) Il rinsecchimento improvviso era normalmente attribuito a un maleficio. Sopravvivono espressioni che ne ripropongono (sotto metamorfosi diverse) la credenza, come il modo di dire sondr. sciüscià fò di vèspi "risucchiato dalle vespe". In altre parti d'Italia per indicare che uno era eccessivamente magro, macilento, mingherlino, si diceva "succhiato dalla donnola", per esempio nel sic. sucàtu di la baddòttula. In forma del tutto esplicita, nel venez. troviamo el par suzzà (o supegà) da le strighe "sembra succhiato dalle streghe".

(6) Dial. una càrga de légna "un carico di legna" (Longa 103), valt., com. càrga "carico che si porta sulle spelle" (Monti 41).

(7) Variante di non mi poté. Perfetto forte analogico all'ant. volse "volle", umbro polsi "potei" (Rohlfs 2, 283, n. 3 e 324-5).

(8) Dial. sg'grìsgiol "brivido, raccapriccio", posch. sgrìsol "ribrezzo, spavento", com. sgrìsol "brivido per freddo o per febbre o ribrezzo" (Longa 228; Monti 273; Mambretti, BSAV 4, 261), bellinz. sgrisôra "ribrezzo di febbre". La sensazione di gelo è ritenuta un segno di influenza malefica. Nel processo celebrato contro la Petrogna nel 1610, si legge: gl'havevano hauto un puoco di suspicione che detta Petrogna gl'havesse fatto algor (cf. SB051).

(9) "Il mangiare", ted. Speise "cibo" (cf. SB038).

(10) Borm. ant. poltronarìa "porcheria", come si dice appena sotto "robaccia". Più avanti incontriamo i sinonimi ribalderia e sporcheza. Probabilmente derivato da poltrón "poltrone", con altre accezioni negative, sulla scorta del proverbio che avverte come l'ozio sia il padre di tutti i vizi, nel caso delle "porcherie vomitate", forse con raccostamento paretimologico a pólt "pappa di farina di segale cotta nel siero grasso del latte di capra" (cf. SB099).

(11) Dial. pazìda "bigoncia, vaso di legno a doghe basse ma piuttosto largo, per mettervi il latte da spannare", forb. bazéda (Longa 192; Monti 177; Mambretti, BSAV 4, 236), dall'alto ted. medio patzeide, a sua volta dal (pre)lat. *bacceta "recipiente" (REW 862; DEG 610).

(12) "Incoraggiandomi, facendomi insistenza". Più avanti: ve darò una medicina se la volete, ma non vi laudo la pigliate, perché la donna è troppo debile… che laudasse per la sua infirmità andar a medici a Lovero o altrove.

(13) Borm. bàrba "zio" (Longa 26-7; cf. SB022).

(14) L'anello era considerato un oggetto pregno di particolare potenza magica, a motivo della sua forma considerata perfetta. In un processo del 1715 leggeremo: il diavolo è venuto dentro in stuva e con le griffe [= artigli] lo voleva prender, ma la sua moglie li diede il figliolino in braccio et un anello benedetto. L'anello nuziale si usa anche come strumento apotropaico per guarire l'orzaiolo (Canclini, Nascita 250).

(15) Dial. al pàga tót ùna, locuzione non più in uso, o anche al fà (l'é) tót ùna "non fa differenza alcuna, è la medesima cosa". Pegar… livignasco alla terza persona.

(16) Nel senso negativo, "che suscitava impressione, stupore".

(17) Dial. cavezàr "mettere in ordine, sistemare, far pulizia", qui in senso antifrastico di "conciare" (Longa 107). Inizialmente valeva "giungere a capo di qualcosa", dal lat. *accapitiare (REW 64; DEG 285-6; VSI 4, 574). L'avverbio tras "molto" non è più in uso a Bormio, ma era ancora testimoniata dal Monti nel senso di "affatto, interamente" (Monti 340) e dal Longa in quello di "troppo, soverchio", tras plén "troppo pieno". Liv. tras "interamente, completamente, del tutto" (Longa 263; Mambretti, BSAV 4, 281). Corrisponde al fr. très "molto, assai" e come quello deriva dal lat. trans "oltre" (REW 8852; Rohlfs 3, 361).

(18) Non risulta del tutto chiaro il senso, perché non esiste più una locuzione parallela nel dialetto attuale. Si deve tuttavia tener presente che gli antichi ritenevano l'aria popolata da spiriti. Qui pare che si debba intendere "mi trascini verso l'alto, mi sollevi quasi in volo".

(19) Località a Livigno, qualche centinaio di metri a sud della chiesa di Sant'Antonio.

(20) Dial. mudàr "cambiare casa; trasferirsi dalla valle nel luogo di monticazione o viceversa", dal lat. mutare "cambiare" (Longa 164; REW 5785).

(21) Vi sono almeno due località con lo stesso nome, una sulla destra e l'altra sulla sinistra orografica del torrente Sc'pöl (IT 6, 43).

(22) "Che non ci sia più nulla da fare" per sottrarla alla condanna.

(23) Come è detto poco avanti, "a darli del suo latte". Dial. mólger "mungere" (Longa 157), qui in senso traslato.

(24) Dial. morir su in "morire in quella convinzione, sostenere fino all'ultimo la stessa cosa" (cf. SB051). Ma più avanti si legge: quella Anna morì su in quel per haver bevuto quel vino. Dunque qui nel senso di "morire a causa di". Si usa anche la locuzione opposta, costruita con la stessa preposizione, vìver su de la campàgna "vivere dalla campagna".

(25) Dial. l'é mó mòrta "è pur morta".

(26) "Se capita, se succede". Lat. tardo *deventare "diventare" (REW 2613 e REWS 2613; DEI 2, 1365), nell'accezione che compare anche nel surselv. davantar, daventàr "avvenire, accadere, succedere", eng. dvanter, voce probabilmente trasmessa attraverso il linguaggio eccles., ripresa dal Vaterunser "padrenostro" (Mt 5, 10): la tia uoeglia duainta "sia fatta la tua volontà" (DRG 5, 535-6; HR 1, 244).

(27) È dunque ritenuto valido il giuramento prestato nelle deposizioni precedenti.

(28) La terminazione -a è caratteristica delle locuzioni avverbiali (Rini 19; Rohlfs 3, 245).

(29) Di fatto curato di Livigno dal 1584 al 1623, anno della sua morte. Cf. St. Livigno, p. 140.

(30) Soprannome da collegare probabilmente col valt. parüsc "pezzetto di legno" (Monti 174), dissimilato da paluccio "piccolo palo, bastoncino" (REW 6182 e REWS 6182). È continuato nel cognome Paruscio.

(31) Dial. nóma "soltanto", anche dóma per dissimilazione (Longa 175-6), valt. nóma "solamente, appena", com. domà, dóma (Monti 69 e 161), dal lat. non magis "non più, soltanto" (REW 5228). La testimonianza che si ricava da questo processo risulta importante per la collocazione dell'accento sulla seconda sillaba, come doveva essere inizialmente.

(32) Dial. paràr "difendere, tenere lontano, impedire", paràs "schermirsi, rifiutarsi" (Longa 188), com. parà "fermare" (Monti 172; cf. SB049 e SB055).

(33) Dial. delónch "subito, immediatamente" (Longa 50; cf. SB038).

(34) Verbo scomparso dall'uso e perciò di difficile decodificazione. Forse da accostare al berg. redesàs (apröf) "appressarsi, avvicinarsi", bresc. redesà "rasentare" dal lat. rasitare "sfiorare" (REW 7075), nel senso di "sfiorare la morte, andare sempre più vicino".

(35) Abbiamo qui testimonianza di una locuzione arcaica, caduta dall'uso: guéira nominanza nu l'à "non ha grande considerazione", dal francone waigaro "molto" (REW 9485; cf. SB059).

(36) Borm. ant. bendìna elativa di dìna "a lungo, per molto tempo", duràr a dìna a dìna "durare tenacemente", a dìna de "a forza di" (Longa 54). Nel processo dina appare con valore sostantivale, come dimostra la composizione con l'aggettivo al femminile bóna. Tell. bindìna "a furia di", bindìna che te fàet "a forza di fare", valt. vindìna "dopo le tante volte", bindìna che te l dìse "dopo le tante volte che te lo dico", albos. bindìna "alla fine", bindìna pô t'è idùt "finalmente poi tu hai visto" (Monti 21). Derivati dal lat. diu "a lungo", con allargamento avverbiale (REW 2629).

(37) "Non sono stato a esaminare il contenuto".

(38) Incugine in Valcamonigha. Ora Incudine, comune in Valcamonica in provincia di Brescia.

(39) Con terminazione -a come marca di avverbio.

(40) Dial. l'arà "avrà" (Longa 343; Rohlfs 2, 332-3). Subito di seguito gli ne avrò "gliene avrò".

(41) Non è chiaro a quale specie vegetale esattamente ci si riferisca. Probabilmente si tratta di erbe di rapa, in dial. röicia "pianta della rapa, Brassica rapa" (Longa 213 e 286), posch. ravìscia "stelo foglioso di rapa" (Monti 210), dal lat. rapicius "che appartiene alla rapa" (REW 7052).

(42) Dial. ramàr "raccogliere, radunare" (Longa 207), probailmente dal lat. tardo *arramare, prendendo lo spunto dall'accezione concreta di "raccogliere i rami" (REW 7035 e REWS 7035). Bol. aramàr "raccogliere, mettere insieme", carr. aramaciàt "fitto" detto di frutti sulla pianta, Bergiola aramacciàt "ammucchiato", it. arramacciare "affastellare, accozzare alla rinfusa; abborracciare" (DEI 1, 299), it. ant. ramare, a ramata "a mucchi" (DEI 5, 3203), catal. ramat "grande quantità".

(43) Il riferimento è confermato dalla sentenza del 1604 febbraio 1.

(44) Si direbbe un presente (variante di trào) del verbo trar "tirare, trarre", non più in uso, nell'accezione specifica di "bere, trarre un sorso". Piatt. trac(h)' "sorso, sorsata", tiran. tracc "sorso", béuan n tracc "bevi un sorso" di vino, valt. tracc "sorsetto" (Monti 338), dal lat. tractus "tirata", "quantità di liquido che si può sorbire senza riprendere il respiro" (REW 8827). Più difficilmente si tratta di una formazione futura contratta di tör "prendere", lat. tollere (REW 8769).