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282. Francesco Sforza a Francesco Capra 1452 marzo 18 Milano

Francesco Sforza scrive a Francesco della Capra, famigliare ducale, che accetta il paviglione offerto da Niccolò Campofregoso, ma non in dono. Gli si faccia conoscere il prezzo perché ne manderà i denari. Lo loda per aver richiamato i fanti che avevano abbandonato le loro postazioni e per aver condiviso con loro il suo pane e il suo vino, ma gli dispiace la scarsa considerazione dimostrata nei riguardi del duca per l'impresa della Petra. Siccome viene la buona stagione è indispensabile la costruzione di una bastita per i fanti; provveduto a questa e distribuiti i cento ducati, potrà recarsi da lui per poi ritornare con gli ordini ducali sul da farsi.

[ 85v] Nobili viro Francisco dela Capra, familiari nostro dilecto.
Havimo recevuto le toe littere, alle quale respondendo, et primo, alla parte del paviglione del magnifico misser Nicolò da Campofregoso, rengratiamo mille fiade la soa magnificencia, quale cossì liberamente ce lo proferise in dono; et perché ne habiamo pur bisogno assay, como tu say, serimo bene contenti acceptarlo in vendita, ma in dono no. E bastace assay che sia contento per soa carità et benivolentia verso noy vendercelo, et non guardare ch'el sia alla soa divisa, perché non (a) mancho havimo caro la soa divisa che la nostra propria, perché, siando il nostro animo unito col suo et il suo col nostro, cossì reputiamo le divise soa et nostra una medesima. Siché intendete con sì del pretio et prometteli ti como ti o falli promettere per qualche amico li denari, et levandalo, mandaravelo subito, senza veruna inducia, avisandone del costo, et subito serà mandato là. Et a questo usa ogni presteza a ti possibile.
Alla parte de quelli fanti che havevano abandonato le loro guardie, et del ritorno gli hay facto fare, et della provisione gli hay facta del tuo pane et vino, te ne commendiamo, et hay bene facto, como havimo speranza in te. Ma della incredulità de alcuni et della prava opinione hanno verso noy per lo facto della Petra, ne dole bene grandemente, perché è tucto quanto lo opposito, et a questo ne faccino testimonio Dio et ti. Et hay facto bene ad extirpare quella opinione ad chi l'havesse. Ma perché hozimay vene il tempo calido et se poterà 86r andare et stare per tucto, ne pare che quelli fanti porano pocho giovare stando divisi et sparsi como stano. Per questo ne pariria molto meglio che se facesse una bastita in loco che li potesse più stringere le moralie. Siché a noy pare che tu debbi provedere dove la starebe (b) meglio, e che è como starebe meglio, non guardando sempre alla sententia deli inzegnerii, ma operandoli il tuo intellecto et ingenio. Et postea, mandando prima inante il paviglione, et distribuiti haverà li cento ducati che se debeno havere, et bene provisto il facto dela bastita, et demum informatissimo del tucto, serimo contenti che tu vegni da noy, como tu ne scrivi. Data Mediolani, die xviii marcii 1452. Avisandote che, venuto che seray da noy, informato del tucto, te remandarimo in là cum la commissione de quanto haveray ad fare. Data ut supra.
Ser Iacobus.
Cichus.


(a) In A manancho.
(b) In A starebeno con no depennato.