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837. Francesco Sforza a Pietro Campofregoso 1452 ottobre 17 apud Lenum

Francesco Sforza scrive a Pietro Campofregoso, doge di Genova, che, dopo le sue lettere, i colloqui con il suo oratore Sceva e la relazione dell'ambasciatore dogale Bartolomeo riteneva che fosse stata spazzata via ogni incertezza circale cose de Franza. In seguito a quanto dal doge scritto a Firenze, appare che così non è, per cui i Fiorentini e lui si dicono disponibili fare, o una scrittura, o altra intelligentia per dare contentamento alla mente sua, perché l'amicizia con lui sia solida e duratura.

Illustri et potenti domino tanquam fratri nostro carissimo domino Petro de Campofregoso, Dei gratia Ianuensi duci.
Et per più nostre littere, et etiam a bocha dal nostro oratore, domino Seva, deinde dal spectabile Bartholomeo dalevante, vostro ambassatore, la excellentia vostra ne rendemo certissimi che la serà remasta advisata, informatissima et chiara circale cose de Franza, per modo che tenemo la signoria vostra essere bene satisfacta de ogni dubio che l'haveva in queste cose. Et perché nuy habiamo inteso quanto (a) nla signoria vostra ha scripto a Fiorenza in circa questa materia, dicemo che, nonobstante como havimo dicto, che credevamo che la signoria vostra dovesse essere ben chiara del tucto (b) tamen, se ne remanesse niuno minimo dubio et umbreza, che credimo che non, et parà alla signoria vostra che se habbia a fare o una scriptura, o altra intelligentia, o più una cosa che un'altra, siamo aparecchiati, signori Fiorentini e nuy de farlo, perché del canto nostro andiamo [ 308r] liberamente e realmente. Et chi ha voglia de bene attendere, non se cura de bene promettere. Siché, parendo alla signoria vostra, como havemo dicto, che se farà più una cosa che un'altra, sempre sarimo apparechiatissimi a tucto quella sia chiareza, piacere et contentamento della mente vostra, perché l'amititia et fraternità nostra habbia essere inconcussa, durabile et constantissima, como fermissimamente speramo che debbia essere duratura per longo tempo. Ex castris nostris apud Lenum, die xvii octobris 1452.
Ser Iohannes.
Cichus.


(a) quanto in interlinea.
(b) Segue tamen depennato.