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318. Francesco Sforza al capitano di giustizia di Milano (1453 settembre 29 "apud Gaydum").

Francesco Sforza scrive al capitano di giustizia di Milano di aver preso atto della notizia dell'arresto fatto dell'abbate di Acqualunga. Dubita, però, che l'abbate abbia avuto parte nel promuovere il tumulto di Pavia, perchè di lui non si sa altro se non che si presentò in castello ed ebbe epressioni non troppo corrette per una persona suo pari e, comunque, ambigue e possibili di contrastanti interpretazioni. Cerchi di avere informazioni da uomini degni di fede.

[ 84v] Capitaneo iustitie Mediolani.
Inteso quanto ne scriveti dela detentione del'abbate d'Aqualonga et la cagione et rispecti per li quali l'haveti facto sostenire, restiamo contenti de quanto haviti facto fina qui. Ma perchè in Ii principii de quello tumulto non intendessemo may che dicto abbate fosse stato colpevole de quello, nè da puoy in qua may ne fo dato per suspecto, nè altro havemo havuto da (a) luy in questa facto, se non ch'el se presentoe in castello e usò quelle parole, quale ne scrivete, le quale, benchè fosseno non honeste, nè conveniente ad uno suo paro, pur, perchè se potriano tore così in bona parte como in cativa con dire che luy se offeriva per quella parte, et cetera, a fare quanto fosse a fare, et anche, dubitando nuy che non ve sia data de luy tale sinistra informatione per odio et malivolentia che li fi portata, a noy non pare nè volemo che pro nunc gli faciate altra novità per mandarlo dove ne scriveti, nè altro. Ma ben volemo e ve comettemo che ve debiate studiare de haverne ancora piu matura et chiara informatione e non malevoli, nè suspecti, ma fidedegni homini non appassionati; et de quanto trovariti faritene avisati per vostre lettere. Data ut supra.
Ser Iacobus.
Cichus.

(a) Segue vuy depennato.